Nel cuore del Congo, un gruppo di suore missionarie di Santa Gemma di Lucca aiuta
i ragazzi di strada a riappropriarsi della propria vita
Offrire la speranza di una vita dignitosa ai ragazzi di strada: è l’impegno portato
avanti a Bukavu, nella Repubblica Democratica del Congo, dalle sorelle missionarie
di Santa Gemma di Lucca. Cuore del progetto di recupero di questi giovani è il Centro
“Amici di Gesù”, fondato 15 anni fa dai padri saveriani ai quali sono succedute le
suore di Santa Gemma. Per una testimonianza su questa esperienza, Alessandro Gisotti
ha intervistato suor Elisabetta Giussani:
(Musica)
R.
– Questi ragazzi sono abbandonati a loro stessi, alla ricerca però della sopravvivenza.
Quindi, in qualche modo, sono anche costretti a rubare per poter mangiare, costretti
a dormire all’aperto, anche accanto ai mercati, perché non hanno altro riferimento
nella città.
D. – Qual è l’impegno per questi bambini
delle suore di Santa Gemma?
R. – L’impegno è nella
direzione, innanzitutto, della ricerca di questi ragazzi, perché ci sono degli operatori
di strada che si fanno presenti negli angoli di qualche piazza o di qualche mercato,
per individuare questi ragazzi e poterli avvicinare. E a loro viene fatta innanzitutto
la proposta di venire al centro per un pasto, perché il centro offre anche questa
possibilità. Quindi, diventerebbe un’opportunità per loro di evitare di rubare. Se
accettano di entrare a far parte del centro, a loro viene offerto un ciclo di alfabetizzazione.
Normalmente coloro che sono sulla strada non hanno neanche completato il ciclo di
studi ed essendo già in un’età in cui non è possibile iscriverli alle scuole normali,
allora viene offerta questa possibilità. Al termine di questo ciclo di alfabetizzazione,
si dà loro l’opportunità di una formazione professionale. Per cui negli anni sono
state fatte proposte differenti, per avviare le persone ad un mestiere.
D.
– Si può dire che grazie al centro “Amici di Gesù” delle suore di Santa Gemma, questi
bambini, questi ragazzi riscoprono il valore della vita e in un certo senso si riappropriano
della propria vita, che non è più solo sopravvivenza...
R.
– Sicuramente, tanto che anche il nome dato al progetto di recupero, “Amici di Gesù”,
era stato scelto inizialmente dai padri saveriani, che iniziarono l’attività negli
anni ’90, per la quale poi è stata chiesta la nostra collaborazione. Era proprio il
desiderio di far riscoprire loro una nuova identità e la loro vera dignità: non più
i ragazzi della strada, ma gli amici di Gesù. Ci accorgiamo per esempio che anche
crescendo tornano e nel momento per esempio in cui fanno delle scelte particolari,
immediatamente si sentono di dover informare le suore che li hanno aiutati a crescere.
Si sposano e vengono dalle suore. Cercando la casa, chiedono alle suore se possono
individuare anche loro qualcosa. E’ un legame, comunque, che continua.