2008-03-15 16:22:06

Intervista con il cardinale Bertone sul suo viaggio in Armenia e Azerbaigian


Dal 4 al 9 marzo scorsi il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone ha compiuto un importante viaggio in Armenia e Azerbaigian. Al suo rientro ha rilasciato una intervista congiunta a Giovanni Peduto della Radio Vaticana, a Carlo Di Cicco dell’Osservatore Romano e al Centro Televisivo Vaticano:
 
D. – Perché una visita del segretario di Stato in Armenia e in Azerbaigian, nonostante le forti tensioni in quella regione?

 
R. – L’Armenia e l’Azerbaigian hanno una densità tale di storia, anche di storia religiosa, e sono ai confini tra l’Europa e l’Asia, che attirano tanti visitatori e non potevo, di fronte agli inviti specifici delle autorità religiose e delle autorità civili di queste due Nazioni, non fare una visita in nome e per mandato del Papa. D’altra parte, come sappiamo, già Papa Giovanni Paolo II aveva visitato queste due regioni, suscitando un grande entusiasmo, una grande adesione, un ricordo incancellabile.

 
D. – Nei suoi discorsi, pronunciati in Armenia e in Azerbaigian, lei ha sottolineato l’importanza del dialogo ecumenico e tra le religioni. Può riferirci un po’ sulla situazione attuale nei due Paesi a tal riguardo?

 
R. – L’Armenia si caratterizza per una convivenza tra la antica comunità armeno-apostolica e la comunità cattolica degli armeni. In Azerbaigian convivono una grande comunità musulmana e due piccole comunità cattolica e ortodossa. Sono due Paesi caratteristici. In questo senso, il dialogo prettamente ecumenico è molto sviluppato in Armenia: ricordiamo la visita a Roma del catholicos armeno, Karekin I, i rapporti perfino di amicizia tra Giovanni Paolo II e Karekin I e dal 2001 con Karekin II. Per quanto riguarda l’Azerbaigian, ricordiamo anche i rapporti dello Sheik ul-Islam, che è il grande capo dei musulmani del Caucaso, con la Chiesa cattolica e con il Papa stesso-Si può ben dire perciò che sono due Paesi emblematici per i rapporti tra Chiese cristiane e per i rapporti tra la Chiesa cattolica e il mondo islamico. Naturalmente, con caratteristiche e connotazioni ben differenti ma con una ricchezza di storia che riguarda anche le origini del cristianesimo. Sappiamo che, secondo una antica tradizione, i due Paesi furono evangelizzati dagli Apostoli Bartolomeo e Taddeo. Proprio a Baku, la capitale dell’Azerbaigian, per esempio, dal direttore della Società storica locale, ci sono stati mostrati i resti della cosiddetta tomba di San Bartolomeo. Perfino in un Paese musulmano come l’Azerbaigian sono conservati con rispetto i resti archeologici, i segni dei ricordi della prima evangelizzazione cristiana. Pensiamo poi che da queste terre sono passati i grandi missionari del Medio Evo per andare fino alla Mongolia e verso la Cina: ricordiamo la famosa via delle carovane, la via della seta. Adesso, i rapporti tra la Chiesa cattolica e il Catholicos di Etchemiadzin, che ha la sua Santa Sede proprio a Yerevan, sono molto buoni e attendiamo prossimamente la visita a Roma del catholicos Karekin II. C’è un dialogo intenso, positivo, una collaborazione, una stima reciproca; la grande stima – come già annotato – per Papa Giovanni Paolo II e ora per Papa Benedetto XVI è indubbia, fuori discussione. L’autorità morale del Papa è riconosciuta e apprezzata, e così i rapporti tra lo Sheykh-ul-Islam Allah Shukur Pasha Zade, il capo dei musulmani, e la Chiesa cattolica. La stima che manifesta questa grande autorità religiosa musulmana verso la Chiesa cattolica, verso il Papa, è molto grande e non ha subìto nessuna flessione: anche in questi ultimi tempi è stata manifestata nei discorsi pubblici, di fronte ai capi delle comunità musulmane dell’Azerbaigian e del Caucaso.

 
D. – Lei ha sostato in preghiera davanti al monumento delle vittime armene. Di quali vittime si tratta?

 
R. – Purtroppo, si tratta un numero sterminato di vittime; un milione e mezzo circa di persone sono state eliminate nel 1915. Intervenendo a difesa del popolo armeno, Benedetto XV, già nel medesimo anno, parlò di “un popolo che rischia di essere condotto alla soglia dell’annientamento”. Quindi, sono cristiani trucidati per lo scoppio di quello che è stato definito il “Grande Male” che ha colpito l’Armenia e il popolo cristiano dell’Armenia. C’è una grande venerazione per queste vittime, che sono l’esempio del martirio di un popolo all’inizio del secolo XX, che ha intrapreso – purtroppo – quel calvario di genocidi che ha caratterizzato questo secolo. Allora, era doveroso inchinarsi davanti a queste vittime e portare l’omaggio della Chiesa cattolica come, peraltro, aveva già fatto Papa Giovanni Paolo II. Devo dire che sono andato anche al monumento delle vittime dell’eccidio comunista degli azeri. Come si sa, dopo la caduta del muro di Berlino, sono stati trucidati centinaia di azeri. Sostando davanti al monumento che ricorda questo dramma ho portato i fiori come omaggio della Chiesa cattolica. Il Presidente dell’Azerbaigian indipendente Heydar Aliyev ha il merito di aver saputo superare i conflitti ed effettuare le riforme più importanti nel Paese.
 
D. – Ora che lei è rientrato in Vaticano, quale risonanza ha nel suo animo l’incontro con il popolo armeno?

 
R. – Anzitutto, il ricordo incancellabile della devozione, della religiosità del popolo armeno. Un ricordo che diventa anche preghiera, che diventa comunione di intenti, collaborazione in campo ecumenico e in campo interreligioso; è un ricordo che mi mette davanti agli occhi – anche visivamente, non solo per avere studiato la storia e le carte – i volti di tante persone, sia della Chiesa apostolico-armeno, sia della Chiesa cattolica armena.

 
D. – Lei ha dipinto l’Azerbaigian come modello di convivenza tra le religioni. Si tratta di un modello di dialogo imitabile?

 
R. – Ho visto concretamente in Azerbaigian la stima di cui godono le piccole Chiese – la Chiesa ortodossa russa e la Chiesa cattolica. Si tratta di circa 390, forse 400 fedeli cattolici. E’ un modello di convivenza, perché, ad esempio, il presidente che ho citato - Heydar Aliyev – con la disponibilità dello sceicco musulmano, aveva offerto il terreno per la ricostruzione della chiesa della comunità cattolica che era stata distrutta sotto il regime comunista. E’ un segnale che testimonia un rispetto per le altre religioni, da parte sia delle autorità politiche sia delle autorità religiose musulmane dell’Azerbaigian, che è ammirevole, e dove certamente è riconoscibile il connotato di una società moderna, laica, che però riconosce il valore pubblico delle religioni per lo sviluppo e per la pacifica convivenza in una comunità politica. Mi sembra, quindi, che sotto questo profilo sia un modello imitabile, direi esportabile, naturalmente con i mezzi pacifici, perché altrimenti andremmo contro il principio di libertà. Da imitare, perché non si tratta di pura “tolleranza” in senso negativo: perché la tolleranza può avere una connotazione negativa, quasi che sia un atteggiamento forzato; qui si tratta di una tolleranza positiva, che aiuta le altre religioni ad esprimersi anche pubblicamente, come è stato in Azerbaigian con la costruzione della chiesa, e anche con le attività a sfondo sociale che la Chiesa cattolica svolge. L’ho visto, per esempio, con la comunità delle Suore di Madre Teresa che ha istituito un centro di aiuto, di raccolta dei senzatetto, e le suore sono stimate e rispettate dalle autorità e, naturalmente, dal popolo azero.

 
D. – I cattolici in Azerbaigian non arrivano nemmeno a 400 unità. Quale futuro ha questa piccola comunità?

 
R. – Intanto, è una comunità che vive intensamente la propria fede e che prega. In occasione della inaugurazione della nuova chiesa cattolica un coro di non cattolici, di non cristiani, un coro di azeri – il Coro della Filarmonica di Baku, accompagnato dall’Orchestra – ha cantato un’“Ave Maria” bellissima in latino e in azero. Quindi, il rispetto della comunità cattolica e, direi, l’attrazione della comunità cattolica, le sue preghiere, le sue tradizioni – la tradizione di devozione alla Madonna, la Madre di Gesù – esercitano la loro influenza. Poi, il rispetto di questa comunità collegata alla “Grande Chiesa”: è un piccolo gregge – come dice Gesù nel Vangelo – una piccola comunità, ma intimamente legata alla grande Chiesa cattolica – quindi universale – e alla Santa Sede, alla autorità morale del Papa, che è molto stimato. E poi, è una Chiesa che propone: propone l’annuncio di Cristo con il rispetto e l’osservanza – naturalmente – delle regole di vita della comunità musulmana, ma che acquista giorno per giorno, sempre più stima e rispetto e forse, in futuro, potrà anche crescere numericamente. A questo proposito vorrei ricordare il lodevole impegno dei Salesiani provenienti dalla Slovacchia, che si prendono cura della comunità cattolica, con la proiezione di cui ho appena parlato.
 
D. – C’è una lezione utile che viene da queste realtà minoritarie religiose per i Paesi a maggioranza cattolica e di antica tradizione cattolica?

 
R. – Intanto, direi l’esigenza di conservare intatta la propria identità in forma propositiva – non in forma impositiva – e poi, la povertà dei mezzi che caratterizza queste piccole comunità, che non hanno le grandi strutture dei Paesi di antica cristianità, ma che si impongono per la credibilità della professione della loro fede: non hanno paura di professare pubblicamente la loro fede, sono stimati anche perché sanno pregare. Diverse persone, anche non cristiane, quindi non battezzate, partecipano a volte ai loro momenti di preghiera. Quindi: non bisogna aver paura di presentare e proporre la propria identità, ma occorre tenere un atteggiamento di grande rispetto per le altre religioni, di dialogo e di collaborazione, soprattutto sui valori fondamentali della convivenza umana.

 
D. – Conserva una immagine speciale di questo suo viaggio in Armenia e Azerbaigian?

 
R. – Senza dubbio. Non posso ormai trascorrere la mia vita – e anche i miei sogni – senza i richiami di queste due grandi realtà, e non posso nemmeno impostare la mia preghiera quotidiana senza invocare l’aiuto del Signore per queste comunità, per le persone che ho conosciuto, il loro volto, la loro missione nella difficile situazione di questi due Paesi, e senza pensare anche alla storia: una storia, come ho detto, molto densa, impregnata di ricordi cristiani. Pensiamo che i primi secoli di vita dell’Azerbaigian sono intrisi di segni dell’attività dei primi cristiani, una comunità cristiana viva, professante la propria fede, forse evangelizzata dagli Apostoli o dai primi discepoli degli Apostoli. Il Signore Gesù è il Signore della Storia anche di questi Paesi, dove adesso i cristiani sono un piccolo gregge, ma nonostante ciò dobbiamo essere certi che ogni segmento temporale della storia di ogni nazione può essere decisivo, non solo per la storia della Nazione specifica, ma anche per la Storia dell’umanità. Ecco: in Armenia e in Azerbaigian, come in tutti i Paesi circostanti, c’è una specie di intreccio di complessità, di bellezza, di ricordi, un mosaico etnico ma anche di influssi che dal lontano passato continuano ad incidere sul presente, e forse anche a costruire un futuro che speriamo sempre migliore. Un futuro di convivenza pacifica, un futuro di fraternità.
 







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