Benedetto XVI all'udienza generale denuncia l'assurda condizione di quanti sono detenuti
e torturati per le loro convinzioni ideali e religiose. Appello ai docenti: non svilite
l'insegnamento in nozionismo, approfondite i temi culturali ed etici
Un appello in difesa di tutti coloro che sono ingiustamente imprigionati, e non di
rado torturati, per le loro idee politiche e religiose e la consapevolezza che, in
un tempo non facile di integrazione delle culture, la possibilità che esse convivano
in armonia risiede nella concordia ispirata da Dio. Sono due dei temi che hanno orientato
la catechesi di Benedetto XVI all’udienza generale tenuta oggi in Aula Paolo VI. Ampio
anche lo spazio dedicato alla scuola e agli obiettivi dell’insegnamento: il Papa ha
invitato i docenti e le scuole in genere ad approfondire i messaggi culturali ed etici
- senza ridursi a una mera trasmissione di nozioni - per poi concludere con un singolare
saluto in latino ad un istituto svedese che lo insegna tutt'oggi ai suoi allievi.
Il servizio di Alessandro De Carolis:
Boezio
e Cassiodoro: due uomini di ingegno al crocevia della storia, che assiste al tramonto
della cultura greco-romana e al suo non indolore innesto in quella predominante, a
matrice barbara, degli Ostrogoti e dei Goti. Benedetto XVI ha presentato queste due
figure come altrettanti spiriti che coltivarono il disegno - impedito dalle traversie
personali e dalle vicende del tempo - di “una possibile conciliazione” del patrimonio
ellenistico-romano e di quello cristiano con la nuova mentalità e le culture delle
popolazioni nordiche del quinto secolo. Boezio pagò con una lunga e cruda detenzione
in carcere, e poi con la vita, questo impegno intellettuale e il Papa lo ha proposto
come simbolo delle gravi ingiustizie spesso presenti, ha detto, anche oggi in “tanta
parte della ‘giustizia umana’”:
“Ogni detenuto,
per qualunque motivo sia finito in carcere, intuisce quanto sia pesante questa particolare
condizione umana, soprattutto quando essa è abbrutita, come accadde a Boezio, dal
ricorso alla tortura. Particolarmente assurda è poi la condizione di chi, ancora come
Boezio che la città di Pavia riconosce e celebra nella liturgia come martire della
fede, viene torturato a morte senza alcun altro motivo che non sia quello delle proprie
convinzioni ideali, politiche e religiose. Boezio, simbolo di un numero immenso di
detenuti ingiustamente di tutti i tempi e di tutte le latitudini, è di fatto oggettiva
porta di ingresso alla contemplazione del misterioso Crocifisso del Golgota”.
Anche
dalla sua cella - ha proseguito il Papa, che alla fine saluterà un gruppo di detenuti
del carcere di Lanciano - Boezio non smise di cercare Dio, “bene supremo verso cui
tende ogni essere umano anche senza saperlo”. Il dramma di una prigionia crudele non
lo indusse a ripiegarsi su se stesso, ma anzi a rifiutare una fatalistica “accettazione
della sofferenza”, perché essa - affermò Boezio - nega la speranza di incontrare Dio
nella preghiera:
“Nel carcere [Boezio] cerca la
consolazione, cerca la luce, cerca la saggezza. E dice di aver saputo distinguere,
proprio in questa situazione, tra i beni apparenti - nel carcere essi scompaiono -
e i beni veri, come come l’autentica amicizia, che anche nel carcere non scompaiono.
Il bene più alto è Dio”.
Contemporaneo di Boezio,
anche Cassiodoro - ha spiegato Benedetto XVI - a non “lasciare svanire nella dimenticanza
tutto il patrimonio umano e umanistico, accumulato nei secoli d’oro dell’Impero Romano.
E perché ciò non avvenisse, ebbe una intuizione decisiva per le sorti culturali anzitutto
dell’Europa:
“Concepì l’idea di affidare proprio
ai monaci il compito di recuperare, conservare e trasmettere ai posteri l’immenso
patrimonio culturale degli antichi, perché non andasse perduto. Per questo fondò Vivarium,
un cenobio in cui tutto era organizzato in modo tale che fosse stimato come preziosissimo
e irrinunciabile il lavoro intellettuale dei monaci (…) E questo senza nessuno scapito
per l’impegno spirituale monastico e cristiano e per l’attività caritativa verso i
poveri”.
In modo analogo a mercoledì scorso,
il Papa ha effettuato un breve passaggio nella Basilica di San Pietro per salutare
la folla di fedeli prima di recarsi in Aula Paolo VI. Una folla composta in larga
parte di studenti, ai quali il Pontefice ha affidato questa riflessione sul ruolo
dell’insegnamento in un periodo nel quale, ha osservato, la scuola “affronta notevoli
sfide che emergono nel campo dell’educazione delle nuove generazioni”:
“Per
questo motivo la scuola non può essere soltanto luogo di apprendimento nozionistico,
ma è chiamata ad offrire agli alunni l’opportunità di approfondire validi messaggi
di carattere culturale, sociale, etico e religioso. Chi insegna non può non percepire
anche il risvolto morale di ogni umano sapere, perché l’uomo conosce per agire e l’agire
è frutto della sua conoscenza”.
Inedito, poi,
il saluto in latino che Benedetto XVI ha indirizzato, al termine dell’udienza generale,
agli studenti di un Istituto della città svedese di Skora, la “Schola Cathedralis
Scarensis”, nel quale si insegna e si studia la lingua latina:
“Volumus
omnino eorum confirmare et incitare studia... Vogliamo incitarli
agli studi mentre qui a Roma visitano le vestigia cristiane e degli antichi romani:
da questa esperienza si acuisca il loro patrimonio umano e spirituale”.