Textul din cotidianul L'Osservatore Romano care a stârnit reacţii, pertinente şi mai
puţin, despre păcate sociale moderne
(RV - 11 martie 2008) Noile forme ale păcatului social: este titlul
interviului acordat ziaristului Nicola Gori de mons. Gianfranco Girotti, episcop regent
al Penitenţieriei Apostolice, tribunal suprem de for intern, adică pentru forul conştiinţei
în Biserica catolică. Interviul a fost publicat de cotidianul vatican L’Osservatore
Romano în ediţia de duminică 9 martie, după ce Papa, cu două zile mai înainte, primise
în audienţă participanţii la cursul anual organizat de Penitenţieria Apostolică pentru
formarea permanentă a duhovnicilor. În cadrul interviului, mons. Girotti abordează
o vastă gamă de probleme actuale, afirmând, între altele, că în prezent pocăinţa este
considerată tot mai mult în dimensiunea ei socială, având în vedere faptul că relaţiile
sociale au slăbit şi în acelaşi timp s-au complicat din cauza globalizării.
La
începutul articolului autorul enumeră câteva noi forme de păcat ce se prezintă la
orizontul umanităţii, aproape ca un corolariu al procesului globalizării, fenomen
imposibil de oprit: manipulările genetice; poluarea mediului înconjurător; discrepanţele
sociale; inadmisibila injustiţie socială.
Titlul articolului corespunde doar
parţial conţinutului interviului, fără a oferi baza doctrinară şi definiţia păcatului
social. Aceasta a fost tratată şi de papa Ioan Paul al II-lea în Exortaţia Apostolică
"Reconciliere şi Pocăinţă" din 2 decembrie 1984, partea II, la n.16 intitulat
"Păcat personal şi păcat social".
Iată textul în limba italiană: Peccato
personale e peccato sociale 16. Il peccato, in senso vero e proprio, è sempre
un atto della persona, perché è un atto di libertà di un singolo uomo, e non propriamente
di un gruppo o di una comunità. Quest'uomo può essere condizionato, premuto, spinto
da non pochi né lievi fattori esterni, come anche può essere soggetto a tendenze,
tare, abitudini legate alla sua condizione personale. In non pochi casi tali fattori
esterni e interni possono attenuare, in maggiore o minore misura, la sua libertà e,
quindi, la sua responsabilità e colpevolezza. Ma è una verità di fede, confermata
anche dalla nostra esperienza e ragione, che la persona umana è libera. Non si può
ignorare questa verità, per scaricare su realtà esterne - le strutture, i sistemi,
gli altri - il peccato dei singoli. Oltretutto, sarebbe questo un cancellare la dignità
e la libertà della persona, che si rivelano - sia pure negativamente e disastrosamente
- anche in tale responsabilità per il peccato commesso. Perciò, in ogni uomo non c'è
nulla di tanto personale e intrasferibile quanto il merito della virtù o la responsabilità
della colpa.
Atto della persona, il peccato ha le sue prime e più importanti
conseguenze nel peccatore stesso: cioè, nella relazione di questi con Dio, che è il
fondamento stesso della vita umana; nel suo spirito, indebolendone la volontà e oscurandone
l'intelligenza. A questo punto dobbiamo chiederci a quale realtà si riferivano
coloro che, nella preparazione del Sinodo e nel corso dei lavori sinodali, menzionarono
con non poca frequenza il peccato sociale. L'espressione e il concetto, che
ad essa è sotteso, hanno invero diversi significati. Parlare di peccato
sociale vuol dire, anzitutto, riconoscere che, in virtù di una solidarietà umana tanto
misteriosa e impercettibile quanto reale e concreta, il peccato di ciascuno si ripercuote
in qualche modo sugli altri. E', questa, l'altra faccia di quella solidarietà che,
a livello religioso, si sviluppa nel profondo e magnifico mistero della comunione
dei santi, grazie alla quale si è potuto dire che «ogni anima che si eleva, eleva
il mondo». A questa legge dell'ascesa corrisponde, purtroppo, la legge della discesa,
sicché si può parlare di una comunione del peccato, per cui un'anima che si abbassa
per il peccato abbassa con sé la Chiesa e, in qualche modo, il mondo intero. In altri
termini, non c'è alcun peccato, anche il più intimo e segreto, il più strettamente
individuale, che riguardi esclusivamente colui che lo commette. Ogni peccato si ripercuote,
con maggiore o minore veemenza, con maggiore o minore danno, su tutta la compagine
ecclesiale e sull'intera famiglia umana. Secondo questa prima accezione, a ciascun
peccato si può attribuire indiscutibilmente il carattere di peccato sociale.
Alcuni
peccati, però, costituiscono, per il loro oggetto stesso, un'aggressione diretta al
prossimo e - più esattamente, in base al linguaggio evangelico - al fratello. Essi
sono un'offesa a Dio, perché offendono il prossimo. A tali peccati si suole dare la
qualifica di sociali, e questa è la seconda accezione del termine. In
questo senso è sociale il peccato contro l'amore del prossimo, tanto più grave nella
legge di Cristo, perché è in gioco il secondo comandamento, che è «simile al primo».
E' egualmente sociale ogni peccato commesso contro la giustizia nei rapporti sia da
persona a persona, sia dalla persona alla comunità, sia ancora dalla comunità alla
persona. E' sociale ogni peccato contro i diritti della persona umana, a cominciare
dal diritto alla vita, non esclusa quella del nascituro, o contro l'integrità fisica
di qualcuno; ogni peccato contro la libertà altrui, specialmente contro la suprema
libertà di credere in Dio e di adorarlo; ogni peccato contro la dignità e l'onore
del prossimo. Sociale è ogni peccato contro il bene comune e contro le sue esigenze,
in tutta l'ampia sfera dei diritti e dei doveri dei cittadini. Sociale può essere
il peccato di commissione o di omissione da parte di dirigenti politici, economici,
sindacali, che, pur potendolo, non s'impegnano con saggezza nel miglioramento o nella
trasformazione della società secondo le esigenze e le possibilità del momento storico;
come pure da parte di lavoratori, che vengono meno ai loro doveri di presenza e di
collaborazione, perché le aziende possano continuare a procurare il benessere a loro
stessi, alle loro famiglie, all'intera società.
La terza accezione di peccato
sociale riguarda i rapporti tra le varie comunità umane. Questi rapporti non sempre
sono in sintonia col disegno di Dio, che vuole nel mondo giustizia, libertà e pace
tra gli individui, i gruppi, i popoli. Così la lotta di classe, chiunque ne sia il
responsabile e, a volte, il codificatore, è un male sociale. Così la contrapposizione
ostinata dei blocchi di nazioni e di una nazione contro l'altra, dei gruppi contro
altri gruppi in seno alla stessa nazione, è pure un male sociale. In ambedue i casi,
ci si può chiedere se si possa attribuire a qualcuno la responsabilità morale di tali
mali e, quindi, il peccato. Ora si deve ammettere che realtà e situazioni, come quelle
indicate, nel loro generalizzarsi e persino ingigantirsi come fatti sociali, diventano
quasi sempre anonime, come complesse e non sempre identificabili sono le loro cause.
Perciò, se si parla di peccato sociale, qui l'espressione ha un significato evidentemente
analogico. In ogni caso, il parlare di peccati sociali, sia pure in senso analogico,
non deve indurre nessuno a sottovalutare la responsabilità dei singoli, ma vuol essere
un richiamo alle coscienze di tutti, perché ciascuno si assuma le proprie responsabilità,
per cambiare seriamente e coraggiosamente quelle nefaste realtà e quelle intollerabili
situazioni. Ciò premesso nel modo più chiaro e inequivocabile, bisogna subito aggiungere
che non è legittima e accettabile un'accezione del peccato sociale, pur molto ricorrente
ai nostri giorni in alcuni ambienti, la quale nell'opporre, non senza ambiguità, peccato
sociale a peccato personale, più o meno inconsapevolmente conduca a stemperare e quasi
a cancellare il personale, per ammettere solo colpe e responsabilità sociali. Secondo
tale accezione, che rivela facilmente la sua derivazione da ideologie e sistemi non
cristiani - forse accantonati oggi da coloro stessi che ne erano già i sostenitori
ufficiali - praticamente ogni peccato sarebbe sociale, nel senso di essere imputabile
non tanto alla coscienza morale di una persona, quanto ad una vaga entità e collettività
anonima, che potrebbe essere la situazione, il sistema, la società, le strutture,
l'istituzione. Orbene la Chiesa, quando parla di situazioni di peccato o denuncia
come peccati sociali certe situazioni o certi comportamenti collettivi di gruppi sociali
più o meno vasti, o addirittura di intere nazioni e blocchi di nazioni, sa e proclama
che tali casi di peccato sociale sono il frutto, l'accumulazione e la concentrazione
di molti peccati personali. Si tratta dei personalissimi peccati di chi genera o favorisce
l'iniquità o la sfrutta; di chi, potendo fare qualcosa per evitare, o eliminare, o
almeno limitare certi mali sociali, omette di farlo per pigrizia, per paura e omertà,
per mascherata complicità o per indifferenza; di chi cerca rifugio nella presunta
impossibilità di cambiare il mondo; e anche di chi pretende estraniarsi dalla fatica
e dal sacrificio, accampando speciose ragioni di ordine superiore. Le vere responsabilità,
dunque, sono delle persone. Una situazione - e così un'istituzione, una struttura,
una società - non è, di per sé, soggetto di atti morali; perciò, non può essere, in
se stessa, buona o cattiva. Al fondo di ogni situazione di peccato si trovano sempre
persone peccatrici. Ciò è tanto vero che, se tale situazione può essere cambiata nei
suoi aspetti strutturali e istituzionali per la forza della legge o - come più spesso
avviene, purtroppo - per la legge della forza, in realtà il cambiamento si rivela
incompleto, di poca durata e, in definitiva, vano e inefficace - per non dire controproducente
-, se non si convertono le persone direttamente o indirettamente responsabili di tale
situazione.
De observat bine: Problema ridicată de articolul din
L'Osservatore Romano, nu are ca obiect păcatele capitale, spre care au lunecat discuţiile
din ţară. Tratând în principal despre atribuţiile trbunalului suprem de for intern
"Penitenţieria Apostolică", se subliniază faptul slăbirii simţului păcatului în epoca
contemporană şi răspândirea unor păcate având un pronunţat caracter social, deşi,
orice păcat personal are şi o dimensiune socială, cum se afirmă în documentul "Reconciliatio
et Poenitentia", n.16.
La întrebarea care sunt,
după părerea sa, noile păcate, mons. Gianfranco Girotti
răspunde: „Există diferite arii în cadrul cărora astăzi se desprind atitudini
păcătoase împotriva drepturilor individuale şi sociale. Înainte de toate aria bioeticii,
în domeniul căreia nu putem să nu denunţăm unele violări ale drepturilor fundamentale
ale naturii umane, prin experimente, manipulări genetice, ale căror rezultate sunt
greu de prevăzut şi de ţinut sub control. Un alt domeniu, specific social, este cel
al drogurilor, prin care se slăbeşte psihicul şi se obscurează inteligenţa, lăsând
mulţi tineri în afara circuitului bisericesc. Şi apoi aria discrepanţelor sociale
şi economice, în care cei mai săraci devin mereu şi mai săraci iar cei bogaţi din
ce în ce mai bogaţi, alimentând o injustiţie socială de neadmis, aria ecologiei, care
îmbracă astăzi un interes relevant”.
Acesta este textul din cotidianul
L’Osservatore Romano, care a stârnit, după cât se pare, numeroase reacţii
şi comentarii în mass-media din România, ce-i drept, unele pertinente, înţelegând
bine dimensiunea socială a păcatului, altele, în schimb, total extra chorum,
întrucât autorii lor fie că nu sunt deloc acasă în materie sau au pierdut o bună ocazie
de a tăcea pentru a rămâne filozofi. Aici serviciul audio:
Noţiunea
de păcat social nu este nouă. Iată, de pildă, cele şapte păcate sociale (n.r.
- nu e vorba de "capitale") potrivit lui Mohandas Karamchand Gandhi, aşa cum le-a
enumerat în sptămânalul "Young India" întemeiat de el, la 22 ocotmbrie 1925. Deşi
în mod normal termenul "păcat" este asociat unui context religios, Gandhi îl foloseşte
aici în sensul mai amplu ca "ofensă adusă demnităţii fundamentale a omului". Chiar
dacă a fost formulată în urmă cu peste 80 de ani, lista pare actuală...
1)
politică fără principii: 2) afaceri fără moralitate: 3) ştiinţă fără umanitate; 4)
cunoaştere fără caracter; 5) bogăţie fără muncă; 6) divertisment fără conştiinţă; 7)
religie fără sacrificiu;
La acestea şapte, Arun Gandhi, nepotul lui Mahatma
şi fondator al Institului "Gandhi pentru non violenţă", a adăugat un al optulea: