2008-03-09 14:07:00

Appelli di Benedetto XVI all'Angelus per la Terra Santa e per l'Iraq: in nome di Dio, lasciate le vie dell'odio e della vendetta. Il Papa invita i giovani alla Liturgia di giovedì prossimo in vista della GMG


Pace e solidarietà per la Terra Santa, al posto della violenza e dell’orrore. Trepidazione per la sorte dell’arcivescovo caldeo, mons. Rahho, e per gli iracheni ancora vittime di una “violenza cieca e assurda”. E’ stato questo il doppio appello di Benedetto XVI, risuonato al termine dell’Angelus di stamattina in Piazza San Pietro. Poco prima, il Papa - ispirato dal Vangelo della quinta Domenica di Quaresima, che racconta della risurrezione di Lazzaro - aveva affermato che, secondo la fede, “la morte del corpo è un sonno da cui Dio ci può risvegliare in qualsiasi momento”. Quindi, dopo gli appelli per la Terra Santa e l’Iraq, il Pontefice ha invitato i giovani romani alla Liturgia penitenziale in San Pietro di giovedì prossimo, in preparazione alla GMG di Sydney. Il servizio di Alessandro De Carolis:RealAudioMP3





“Nei giorni scorsi, la violenza e l’orrore hanno nuovamente insanguinato la Terra Santa, alimentando una spirale di distruzione e di morte che sembra non avere fine. Mentre vi invito a domandare con insistenza al Signore Onnipotente il dono della pace per quella regione, desidero affidare alla Sua misericordia le tante vittime innocenti ed esprimere solidarietà alle famiglie e ai feriti”.

 

L’Angelus che parla di risurrezione e di fede in Cristo datore di Vita porta il Papa ha considerare, subito dopo la preghiera mariana, la barbarie sanguinosa che è tornata a sferrare un nuovo colpo alle speranza di pace del Medio Oriente:



“Incoraggio le autorità israeliane e palestinesi nel loro proposito di continuare a costruire, attraverso il negoziato, un futuro pacifico e giusto per i loro popoli e a tutti chiedo, in nome di Dio, di lasciare le vie tortuose dell’odio e della vendetta e di percorrere responsabilmente cammini di dialogo e di fiducia”.

 

E subito dopo, un altro scenario, teatro di altri drammi e di una attesa angosciosa per Benedetto XVI:



"E’ questo il mio auspicio anche per l’Iraq, mentre trepidiamo ancora per la sorte di sua eccellenza Mons. Rahho e di tanti iracheni che continuano a subire una violenza cieca ed assurda, certamente contraria ai voleri di Dio".

 

Prima di dare voce alle sue preoccupazioni e alla sua preghiera per i drammi dei Paesi mediorientali, Benedetto XVI aveva parlato di vita e di morte, di fede e di speranza, seguendo il filo del Vangelo sulla risurrezione di Lazzaro. Il suo ritorno alla vita, ha detto in certo senso, è un preannuncio di morte per Gesù. Perché in quell’“ultimo grande segno” - la risurrezione pubblica del fratello di Marta e Maria - Cristo dà ai Sommi sacerdoti del Sinedrio e agli scribi la “prova vivente della sua divinità”: è il miracolo che scatena in loro la volontà di uccidere il Nazareno. Ma è anche un episodio che assomma in sé i grandi valori dell’umanità - amicizia e dunque compassione e dolore per la morte di una persona amata - e l’essenza stessa della missione terrena di Gesù: la vittoria di Dio sulla morte. “Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato, ma io vado a svegliarlo”, dice Gesù ai discepoli, stupiti. Dio, ha affermato il Papa, vede la morte fisica “come un sonno, da cui ci si può risvegliare”:



“Questa signoria sulla morte non impedì a Gesù di provare sincera compassione per il dolore del distacco. Vedendo piangere Marta e Maria e quanti erano venuti a consolarle, anche Gesù ‘si commosse profondamente, si turbò’ e infine ‘scoppiò in pianto’. Il cuore di Cristo è divino-umano: in Lui Dio e Uomo si sono perfettamente incontrati, senza separazione e senza confusione. Egli è l’immagine, anzi, l’incarnazione del Dio che è amore, misericordia, tenerezza paterna e materna, del Dio che è Vita”.

 

Anche Marta, sorella di Lazzaro, all’arrivo apparentemente tardivo di Gesù, si lasciò andare allo sconforto. Ma ebbe il privilegio di sentire dalle labbra stesse del Maestro l’affermazione che è il cuore del messaggio cristiano: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”. E come Cristo chiese subito dopo a Marta: “Credi tu questo?”, allo stesso modo, da duemila anni la medesima domanda - ha ribadito il Papa - Gesù la “rivolge a ognuno di noi:



“Una domanda che certamente ci supera, supera la nostra capacità di comprendere, e ci chiede di affidarci a Lui, come Lui si è affidato al Padre. Esemplare è la risposta di Marta: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”. Sì, o Signore! Anche noi crediamo, malgrado i nostri dubbi e le nostre oscurità; crediamo in Te, perché Tu hai parole di vita eterna; vogliamo credere in Te, che ci doni una speranza affidabile di vita oltre la vita, di vita autentica e piena nel tuo Regno di luce e di pace”.

 

Un grande applauso si è levato dalla folla raccolta sotto la finestra del Papa quando Benedetto XVI - nei saluti in sette lingue del post-Angelus - ha invitato i giovani della diocesi di Roma alla Liturgia Penitenziale di giovedì 13 marzo, da lui presieduta alle ore 17.30 nella Basilica di San Pietro:



“Sarà un momento forte di preparazione alla XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, che celebreremo la Domenica delle Palme e che culminerà nel luglio prossimo con il grande incontro di Sydney. Cari giovani di Roma, vi invito tutti a questo appuntamento con la Misericordia di Dio! Ai sacerdoti e ai responsabili raccomando di favorire la partecipazione dei giovani facendo proprie le parole dell’apostolo Paolo: ‘Noi fungiamo da ambasciatori per Cristo:… lasciatevi riconciliare con Dio’”.

 

(applausi)








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