Appelli di Benedetto XVI all'Angelus per la Terra Santa e per l'Iraq: in nome di Dio,
lasciate le vie dell'odio e della vendetta. Il Papa invita i giovani alla Liturgia
di giovedì prossimo in vista della GMG
Pace e solidarietà per la Terra Santa, al posto della violenza e dell’orrore. Trepidazione
per la sorte dell’arcivescovo caldeo, mons. Rahho, e per gli iracheni ancora vittime
di una “violenza cieca e assurda”. E’ stato questo il doppio appello di Benedetto
XVI, risuonato al termine dell’Angelus di stamattina in Piazza San Pietro. Poco prima,
il Papa - ispirato dal Vangelo della quinta Domenica di Quaresima, che racconta della
risurrezione di Lazzaro - aveva affermato che, secondo la fede, “la morte del corpo
è un sonno da cui Dio ci può risvegliare in qualsiasi momento”. Quindi, dopo gli appelli
per la Terra Santa e l’Iraq, il Pontefice ha invitato i giovani romani alla Liturgia
penitenziale in San Pietro di giovedì prossimo, in preparazione alla GMG di Sydney.
Il servizio di Alessandro De Carolis:
“Nei
giorni scorsi, la violenza e l’orrore hanno nuovamente insanguinato la Terra Santa,
alimentando una spirale di distruzione e di morte che sembra non avere fine. Mentre
vi invito a domandare con insistenza al Signore Onnipotente il dono della pace per
quella regione, desidero affidare alla Sua misericordia le tante vittime innocenti
ed esprimere solidarietà alle famiglie e ai feriti”.
L’Angelus
che parla di risurrezione e di fede in Cristo datore di Vita porta il Papa ha considerare,
subito dopo la preghiera mariana, la barbarie sanguinosa che è tornata a sferrare
un nuovo colpo alle speranza di pace del Medio Oriente:
“Incoraggio
le autorità israeliane e palestinesi nel loro proposito di continuare a costruire,
attraverso il negoziato, un futuro pacifico e giusto per i loro popoli e a tutti chiedo,
in nome di Dio, di lasciare le vie tortuose dell’odio e della vendetta e di percorrere
responsabilmente cammini di dialogo e di fiducia”.
E
subito dopo, un altro scenario, teatro di altri drammi e di una attesa angosciosa
per Benedetto XVI:
"E’ questo il mio auspicio anche per l’Iraq,
mentre trepidiamo ancora per la sorte di sua eccellenza Mons. Rahho e di tanti iracheni
che continuano a subire una violenza cieca ed assurda, certamente contraria ai voleri
di Dio".
Prima di dare voce alle sue preoccupazioni
e alla sua preghiera per i drammi dei Paesi mediorientali, Benedetto XVI aveva parlato
di vita e di morte, di fede e di speranza, seguendo il filo del Vangelo sulla risurrezione
di Lazzaro. Il suo ritorno alla vita, ha detto in certo senso, è un preannuncio di
morte per Gesù. Perché in quell’“ultimo grande segno” - la risurrezione pubblica del
fratello di Marta e Maria - Cristo dà ai Sommi sacerdoti del Sinedrio e agli scribi
la “prova vivente della sua divinità”: è il miracolo che scatena in loro la volontà
di uccidere il Nazareno. Ma è anche un episodio che assomma in sé i grandi valori
dell’umanità - amicizia e dunque compassione e dolore per la morte di una persona
amata - e l’essenza stessa della missione terrena di Gesù: la vittoria di Dio sulla
morte. “Il nostro amico Lazzaro s’è addormentato, ma io vado a svegliarlo”, dice Gesù
ai discepoli, stupiti. Dio, ha affermato il Papa, vede la morte fisica “come un sonno,
da cui ci si può risvegliare”:
“Questa signoria sulla morte non
impedì a Gesù di provare sincera compassione per il dolore del distacco. Vedendo piangere
Marta e Maria e quanti erano venuti a consolarle, anche Gesù ‘si commosse profondamente,
si turbò’ e infine ‘scoppiò in pianto’. Il cuore di Cristo è divino-umano: in Lui
Dio e Uomo si sono perfettamente incontrati, senza separazione e senza confusione.
Egli è l’immagine, anzi, l’incarnazione del Dio che è amore, misericordia, tenerezza
paterna e materna, del Dio che è Vita”.
Anche
Marta, sorella di Lazzaro, all’arrivo apparentemente tardivo di Gesù, si lasciò andare
allo sconforto. Ma ebbe il privilegio di sentire dalle labbra stesse del Maestro l’affermazione
che è il cuore del messaggio cristiano: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede
in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”.
E come Cristo chiese subito dopo a Marta: “Credi tu questo?”, allo stesso modo, da
duemila anni la medesima domanda - ha ribadito il Papa - Gesù la “rivolge a ognuno
di noi:
“Una domanda che certamente ci supera, supera la nostra
capacità di comprendere, e ci chiede di affidarci a Lui, come Lui si è affidato al
Padre. Esemplare è la risposta di Marta: “Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo,
il Figlio di Dio che deve venire nel mondo”. Sì, o Signore! Anche noi crediamo, malgrado
i nostri dubbi e le nostre oscurità; crediamo in Te, perché Tu hai parole di vita
eterna; vogliamo credere in Te, che ci doni una speranza affidabile di vita oltre
la vita, di vita autentica e piena nel tuo Regno di luce e di pace”.
Un
grande applauso si è levato dalla folla raccolta sotto la finestra del Papa quando
Benedetto XVI - nei saluti in sette lingue del post-Angelus - ha invitato i giovani
della diocesi di Roma alla Liturgia Penitenziale di giovedì 13 marzo, da lui presieduta
alle ore 17.30 nella Basilica di San Pietro:
“Sarà un momento
forte di preparazione alla XXIII Giornata Mondiale della Gioventù, che celebreremo
la Domenica delle Palme e che culminerà nel luglio prossimo con il grande incontro
di Sydney. Cari giovani di Roma, vi invito tutti a questo appuntamento con la Misericordia
di Dio! Ai sacerdoti e ai responsabili raccomando di favorire la partecipazione dei
giovani facendo proprie le parole dell’apostolo Paolo: ‘Noi fungiamo da ambasciatori
per Cristo:… lasciatevi riconciliare con Dio’”.