Una ricerca svela l'impossibilità della pratica religiosa nella Corea del Nord
In una recente indagine i rifugiati nordcoreani riferiscono l’impossibilità della
loro pratica religiosa. La ricerca è stata condotta da Database Center per i Diritti
Umani e le conclusioni sono state così illustrate dal direttore John Yoon Yeo-sang:
"I risultati mostrano che sebbene i nordcoreani pratichino, nei limiti della più stretta
segretezza, le attività religiose, queste siano in generale impossibili nella loro
attuazione". A Seoul, la Commissione episcopale per la riconciliazione delle persone
coreane ha supportato l’indagine e ne ha pubblicati i risultati a febbraio. "La ricerca
è stata condotta per stabilire la realtà delle religioni presenti nella Corea del
Nord attraverso una concreta evidenza, e ciò sarà uno dei principali indicatori per
la prospettiva di evangelizzazione del Paese" dice il direttore del Centro, Yoon.
Le autorità nordcoreane, da parte loro, hanno subito ribattuto che nel Paese è ufficialmente
ammessa la libertà di religione e che si contano circa 500 sedi di culto protestante.
Inoltre, sostengono, si sono molte persone che praticano attività religiose sia privatamente
che insieme ad altri, e il numero è in forte incremento. Per parte cattolica si sottolinea
che la ricerca di Database Center rappresenta un contributo speciale per programmare
l'evangelizzazione nelle zone nordcoreane, come anche un dato concreto di valutazione
dell'effettiva presenza di libertà religiosa e delle persecuzioni denunciate dagli
intervistati. (S.G.)