Tragedia di Molfetta: per il vescovo della città si fa poco per evitare gli incidenti
sul lavoro
“Un lavoro per vivere e non per morire”. Lo si legge nello striscione che ha aperto
oggi a Molfetta, in provincia di Bari, il corteo dei sindacati organizzato per esprimere
solidarietà alle famiglie dei 5 operai morti due giorni fa durante il lavaggio di
un’autocisterna. Indette anche due ore di sciopero generale in tutta la Puglia. Oggi
è lutto cittadino pure a Genova dove si celebrano i funerali di un portuale morto
nella notte di venerdì. Sul grave fenomeno delle morti bianche e sulla tragedia di
Molfetta Massimiliano Menichetti ha raccolto il parere del presidente nazionale
delle ACLI, Andrea Olivero:
R. –
E’ una tragedia che mette in luce alcuni degli aspetti più drammatici di questa situazione,
dell’insicurezza che c’è nel nostro Paese. Da un lato, il fatto che, in qualche modo,
era una tragedia evitabilissima e con le tecnologie odierne, senza costi rilevanti,
anche facilmente evitabile. In secondo luogo, ancora una volta il nostro Paese vede
la solidarietà tra i lavoratori. La tragedia ha assunto i numeri drammatici che si
sono visti proprio perché ciascun operaio è venuto incontro all’esigenza dell’altro.
Questo è un fatto da sottolineare, soprattutto in questo momento, visto che spesso
il mondo del lavoro viene definito come un luogo nel quale ciascuno pensa solo a se
stesso. In ultimo, il fatto che il nostro sud vive ancora di più i rischi nel mondo
del lavoro.
D. - Le normative ci sono, vengono anche incrementate,
ma sono rispettate?
R. – Il problema è proprio questo,
perché da un lato le aziende continuano a pensare che si possa considerare la sicurezza
soltanto un costo e costruiscono il loro modello di impresa in questa prospettiva,
quindi senza investire fino in fondo sulla sicurezza. Dall’altro lato, perché i cittadini,
i cittadini-lavoratori, spesso sottovalutano i rischi che incontrano e quindi non
fanno tutto quello che è in loro potere per denunciare l’insicurezza e chiedere un
cambiamento di rotta.
Sulla tragedia di Molfetta ascoltiamo
la riflessione del vescovo di Molfetta, mons. Luigi Martella, raccolta da Fabio
Colagrande:
R.
– Non è semplice trovare le parole giuste, le parole adatte in certi momenti. Credo
che la parola più giusta e più consona sia proprio il silenzio. Il silenzio che dice
tante cose, il silenzio che è preghiera, sostegno, conforto, consolazione. La città
è sconvolta e man mano che il tempo passa si sta rendendo conto della gravità di quello
che è successo. Ancora una tragedia sul lavoro e questa volta proprio sotto casa.
D.
– Il vostro comunicato parla di cinque nuovi martiri…
R.
– Martiri, perché tutto questo ha un risvolto davvero di grande solidarietà. Il primo
operaio è sceso nella cisterna ed è rimasto giù; il secondo è sceso per aiutarlo,
e così il terzo, il quarto e il quinto. Vorrei dire che è stata davvero una catena
di amore! Per aiutare il loro compagno di lavoro, hanno trovato la loro fine.
D.
– Mons. Martella, guardando al lunghissimo e drammatico elenco delle morti sul lavoro
in Italia, c’è il rischio veramente che il rispetto della persona resti oggi schiacciato
dalle urgenze della produttività economica, in un momento di crisi economica come
quello attuale?
R. – Purtroppo non ci si può illudere
che gli incidenti sul lavoro possano finire né con una maggiore prudenza, né tanto
meno con una legge. Ci vuole una cultura della vita. Oggi ci vorrebbe un impulso maggiore
per dire che la vita va difesa, rispettata, custodita. Nonostante questi ripetuti
incidenti, ci perdiamo sull’onda delle considerazioni delle parole e non agiamo, non
agiamo abbastanza.