Calpestati i diritti dei cristiani in Iraq: la testimonianza di un sacerdote di Mossul
Per la quarta volta, domani a Baghdad, si incontreranno le diplomazie d’Iran e Stati
Uniti per discutere della sicurezza in Iraq. Intanto nel Kurdistan iracheno elicotteri
turchi hanno bombardato alcuni siti dei ribelli del PKK mentre a Bassora in un’azione
dell’esercito britannico sono rimasti uccisi una donna e un bambino: il Ministero
della difesa di Londra ha aperto un’inchiesta. A Kirkuk, in un agguato, ha perso la
vita un ex ministro dei lavori pubblici. Resta forte la preoccupazione per mons. Paulos
Faraj Rahho, l’arcivescovo caldeo di Mossul rapito in Iraq il 29 febbraio scorso.
In un’intervista al SIR, il nunzio apostolico in Iraq e in Giordania, mons. Francis
Chullikat, ha chiesto l'intervento della comunità internazionale. Sconcerto è stato
espresso dal principe di Giordania. Al microfono di Christopher Altieri sentiamo
la testimonianza di don Firas Al Beno, sacerdote siro-cattolico di Mossul,
studente presso l’Università Gregoriana di Roma:
R.
– La mia riflessione mi porta sempre laggiù, in Iraq, di fronte a tutti i problemi
che abbiamo, di fronte alla discriminazione e alla violenza contro i nostri diritti,
che sono calpestati. Dopo l’ultimo evento, il sequestro dell’arcivescovo, centinaia
di cristiani hanno lasciato Mossul. Non si sa ora cosa accadrà dopo che sarà scaduto
l’ultimatum, giovedì.
D. – La Chiesa in Iraq è una
Chiesa antica. La presenza cristiana è rimasta forte e salda anche in periodi di grave
persecuzione. La Chiesa irachena, forse, sta vivendo ora uno di questi periodi. Ma
qual è la differenza che lei percepisce tra questo momento e gli altri che si sono
susseguiti nella storia?
R. – Nei primi secoli della
diffusione dell’Islam in Iraq, i cristiani erano numerosi, tanto che la loro forza
li ha spinti fino in Cina a portare il Vangelo: parliamo del VII-VIII secolo. Ora
non abbiamo più tutta quella forza, perché siamo diminuiti tantissimo e questo per
tante cause. Poi, negli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, anche durante la
guerra con l’Iran, che è stata la più sanguinosa ed è durata 8 anni, così come durante
l’embargo e sotto il regime di Saddam, non c’era spaccatura, non c’era divisione fra
cristiani e musulmani, che anzi convivevano normalmente. Dopo l’occupazione, siamo
stati considerati come traditori dell’Iraq e questo perché gli americani e l’Europa
sono considerati cristiani. Questa guerra è, dunque, considerata un po’ come se fosse
una crociata contro i musulmani. Noi siamo cristiani e quindi siamo identificati con
gli “occupanti”, come appartenenti a questi “crociati”. Così, purtroppo oggi siamo
considerati come traditori dell’Iraq.
D. – Chi è
che sta ora spargendo sangue nel Paese e perché?
R.
– Non lo sappiamo. La gente cammina per la strada, viene sequestrata ed uccisa. C’è
certamente il conflitto, l’occupazione e il terrorismo e questo porta delle conseguenze.
L’Iraq è diventato ormai un campo di guerra.
D.
– Cosa serve adesso affinché il cristianesimo riesca a sopravvivere in Iraq?
R.
– Abbiamo anzitutto bisogno di un forte sostegno da parte dei veri cristiani d’Occidente.
Noi non abbiamo bisogno di soluzioni politiche, ma abbiamo bisogno di un intervento
umanitario che ci porti ad una riconciliazione vera, ad una riconciliazione del popolo
iracheno e quindi fra sciiti e sunniti, ad una riconciliazione fra musulmani e cristiani,
ma anche fra curdi ed arabi.
D. – Il Santo Padre,
la scorsa domenica, ha lanciato un nuovo appello sia per la liberazione dell’arcivescovo
di Mossul, sia anche per la cessazione generale della violenza…
R.
– Il Papa ci porta sempre nel suo cuore. E’ un vero padre che porta tutti i suoi figli,
con tutte le loro sofferenze, nel cuore e le porta davanti a Dio, attraverso la preghiera.
Abbiamo bisogno in modo straordinario di questa preghiera, perché soltanto attraverso
la preghiera è possibile compiere dei miracoli. L’Iraq non si potrà salvare se non
per mezzo di un grandissimo miracolo, che è quello di riuscire a portare la carità
e la pace in Iraq.