Intervista all’arcivescovo Celestino Migliore, intervenuto in Commissione ONU sullo
status delle donne
Promuovere i diritti della donna attraverso l’educazione e il riconoscimento della
sua dignità nella famiglia e nella società: è quanto sottolineato ieri dall’arcivescovo
Celestino Migliore alla 52.ma sessione della Commissione ONU sullo status della donna.
L’osservatore permanente della Santa Sede al Palazzo di Vetro di New York si sofferma
sui punti fondamentali del suo intervento in questa intervista di Alessandro Gisotti:
R. -
Ciò che sorprende è il constatare come in altre parti del mondo la donna non goda
dell’accesso all’educazione. Il fenomeno è così grave che una decina d’anni fa ha
portato l’ONU a inserirlo come una necessità da implementare in favore delle donne,
delle bambine. Il terzo obiettivo del Millennio recita proprio così: “Eliminare la
disparità dei sessi nell’insegnamento primario e secondario”. Siamo, però, ancora
molto indietro.
D. - Come promuovere un autentico
miglioramento delle condizioni della donna nella società, senza svilirne l’identità,
come propongono alcune correnti ideologiche?
R. -
Non facendo eccessiva ideologizzazione, che poi è quella che travisa la realtà. Tutti
noi conosciamo singole donne o gruppi di donne, ad ogni livello sociale, che si sentono
pienamente realizzate, in armonia con l’identità propria e altrui, e sono tutte donne
con i piedi per terra, senza ombra di ideologizzazione.
D.
- Aiutare le donne - lei ha rilevato nel suo intervento – significa promuovere pace
e sviluppo. Può indicarci qualche esempio di questo legame, pensando soprattutto a
quei Paesi dove la povertà è ancora molto diffusa?
R.
- Il legame tra pace e sviluppo e promozione della donna è molto evidente, e da qualche
tempo - per esempio all’ONU - si registra un interesse particolare per l’apporto specifico
che la donna, le donne, possono dare e sono chiamate a dare nei programmi di prevenzione,
mantenimento e consolidamento della pace.
D. - Nell’ultimo
decennio, lo ha constatato anche lei nel suo discorso, le donne hanno compiuto progressi
enormi, specialmente nel mondo del lavoro. Quali sono i problemi riguardanti la dignità
della donna che oggi preoccupano maggiormente la Santa Sede?
R.
- E’ anzitutto una preoccupazione di ordine culturale che è anche stata espressa dal
recente convegno del Pontificio Consiglio per i Laici. Si constatano gli effetti deleteri
della rivoluzione culturale in corso, che tende a decostruire tutto ciò che è chiaro:
in primo luogo, la persona umana, uomo e donna. Si parla di identità maschili e femminili
liquide, confuse, un fenomeno che rende molto instabile la convivenza umana.
D.
- La Santa Sede auspica il riconoscimento del lavoro svolto dalle donne in famiglia,
come madri, come mogli. Che accoglienza riceve questo invito a livello internazionale?
R.
- Gli economisti cominciano a scrivere e a documentare come la famiglia sia un ambito
irrinunciabile di creazione di prosperità, abilità economica e finanziaria per i Paesi.
L’educazione dei figli, peraltro, è una sinergia di donna e uomo, moglie e marito,
e a tutti i livelli è un pre-requisito per la prosperità. Alcuni governi più avveduti
stanno passando da generiche politiche sociali a politiche familiari mirate, proprio
ad assicurare la stabilità della famiglia.
D. - Da
ultimo, nel suo recente discorso in occasione del XX anniversario della Mulieris
dignitatem, Benedetto XVI ha esortato ad approfondire la verità antropologica dell’uomo
e della donna, respingendo quei movimenti culturali che cercano di offuscare le differenze
sessuali. Quali sono le posizioni su questo argomento alle Nazioni Unite?
R.
- Questi movimenti culturali sono presto approdati nelle organizzazioni internazionali,
dove hanno trovato - e tuttora trovano - grande accoglienza, non solo a livello intellettuale,
ma anche giuridico. Molti documenti della cosiddetta “soft law” vanno in questo senso
e anche se sono privi di efficacia vincolante diretta, sono ugualmente molto influenti,
un prodotto delle organizzazioni internazionali. Allo stesso tempo, però, queste tendenze
vengono contestate soprattutto da settori della società civile. Significativo è che
la società civile abbia incominciato a sfatare il loro impianto ideologico.