I vescovi del Guatemala da Benedetto XVI per la visita "ad Limina": la povertà e la
difesa della vita, le grandi sfide della Chiesa nel Paese centroamericano
E' iniziata stamane la visita "ad Limina" dei vescovi del Guatemala, il Paese latinoamericano
con alle spalle una storia sofferta per la conquista della democrazia: già colonia
spagnola, indipendente dal 1839, sottoposta a vari regimi militari dittatoriali, percorsa
da guerre civili, tornata nel 1985 ad un governo civile, contestato a più riprese
dai militari, fino all’accordo di pace del 1996; due anni dopo l’assassinio di uno
dei suoi principali artefici, mons. Juan José Gerardi, ausiliarie e vicario generale
di Città del Guatemala, strenuo difensore dei diritti umani. Oggi, questa nazione
- già visitata tre volte da Giovanni Paolo II – cerca di risalire, fra molti ostacoli,
la via dello sviluppo democratico ed il rilancio economico. Alina Tufani del
nostro programma ispano-americano ha intervistato il cardinale Rodolfo Quezada
Toruño, arcivescovo della capitale, ricevuto in udienza dal Papa, accompagnato
da altri sette presuli del suo Paese.
D. –
Eminenza, sono tante le sfide della Chiesa in Guatemala. A suo giudizio, quali sono
le più urgenti?
R. – Mi sembra che siano quattro.
La prima, è la povertà della nostra gente, dei nostri fratelli. Il 60 per cento della
popolazione guatemalteca si trova in una situazione di povertà. La seconda sfida è
quella posta dalla diffusione delle sette neopentecostali. La terza mi sembra sia
una vera inculturazione del Vangelo tra le etnie indigene. Noi abbiamo 22 etnie differenti
nella nazione. E, infine, una sfida per arrivare ad una Chiesa più matura, che difenda
la vita.
D. – Come lei ha detto, il Guatemala è una
nazione con una grande diversità culturale, che oggi soffre anche del proselitismo
delle sette ed anche dei problemi globali, come la secolarizzazione e il relativismo.
Come realizzare questa nuova evangelizzazione e, nel caso del Guatemala, l’inculturazione
del Vangelo?
R. – Prima di tutto, bisogna riconoscere
che le etnie indigene da noi non sono un problema, sono piuttosto, come diciamo in
spagnolo, un “desafio”, una sfida, perchè questa cultura indigena ha veramente molti,
moltissimi valori. Dobbiamo riconoscerli, scoprirli e, soprattutto, valorizzarli,
perché gli indigeni sono stati sempre considerati come cittadini di seconda classe.
Certo bisogna sempre approfondire la fede cristiana. Questa è una sfida pastorale.
Ma io questo lo vedo non come un problema ma come una sfida. Anzi, io ora al Pontificio
Consiglio della Cultura terrò una piccola conferenza sul secolarismo e le sette fondamentaliste.
Dobbiamo guardare al futuro con molto ottimismo.
D.
– Eminenza, come lei ha detto c’è un’urgenza nella lotta per la difesa della vita
in Guatemala di fronte a progetti di legge come la pianificazione familiare, l’aborto.
Quali sone le prospettive?
R. – Bisogna distinguere
tra il Congresso della Repubblica ed il governo. Questo governo vuol fare qualcosa
di nuovo nell’ambito della solidarietà. Speriamo! Speriamo che possano veramente fare
tutto quello che hanno promesso nella campagna politica. Ma nel Congresso abbiamo
avuto dei problemi con queste leggi ambigue, che praticamente aiutano l’aborto. Speriamo
di non avere altri problemi. Ma noi vescovi siamo chiari in questo senso, per difendere
la vita a qualsiasi prezzo.
D. – Forse una delle
preoccupazioni più recenti della Chiesa e di tante altre istituzioni è stata la reintroduzione
dell’applicazione della pena di morte nel Paese, un passo indietro rispetto alla decisione
presa dal governo precedente, che a dicembre scorso ha votato nell’assemblea dell’ONU
a favore della moratoria della pena capitale. Che sta succedendo?
R.
– Noi siamo totalmente contro questa reintroduzione della pena di morte. Non è così
per tutte le denominazioni non cattoliche, ma alcune hanno già detto di no. Comunque,
speriamo che il governo faccia il suo dovere, soprattutto il presidente e il vice-presidente,
perché hanno ancora il diritto di porre il veto alla legge. Soprattutto devono guardare
alla reazione avversa di tutta la comunità internazionale, perché lei ha ragione,
il governo scorso ha approvato la moratoria alle Nazioni Unite. Noi siamo pronti a
difendere sempre la vita.
D. - Circa una settimana
fa il presidente Alvaro Colom ha annunciato l’apertura degli archivi militari che
permetteranno di conoscere la sorte di più di 50 mila scomparsi nei 36 anni di una
guerra civile che costò la vita a più di 200 mila persone. Lei considera che questa
misura permetterà di risolvere il problema della impunità?
R.
– Spero di sì, spero soprattutto che questi archivi non siano già stati distrutti.
D.
- Il prossimo 26 aprile si compiono dieci anni dall’assassinio di mons. Juan José
Gerardi. Mons. Gerardi sosteneva che la verità sul conflitto armato avrebbe aperto
il cammino del perdono e la riconciliazione nel Paese. Questa stessa verità lo portò
alla morte due giorni dopo la presentazione della relazione “Guatemala mai più”, in
cui si tracciava una memoria storica di migliaia di casi di violazione dei diritti
umani, durante la guerra. Come sarà commemorato questo decimo anniversario?
R.
– Si prepara una grande celebrazione, soprattutto da parte del nostro Ufficio diritti
umani dell’arcivescovado. Verrà fuori una bella pubblicazione dove siamo chiaramente
disposti al perdono, ma vogliamo sapere chi dobbiamo perdonare e per che cosa dobbiamo
perdonarlo. Siamo veramente disposti a tutto questo. Il lavoro che ha fatto mons.
Gerardi è veramente un lavoro straordinario, perché almeno adesso si sa che cosa è
successo. Dobbiamo andare avanti per cercare la riconciliazione del popolo guatemalteco.
D.
– Lei è stato un testimone di primo piano della storia della Chiesa latino-americana
degli ultimi 50 anni. Alla luce di questa storia, come vede i risultati della quinta
Conferenza di Aparecida?
R. – Ha una grande importanza
soprattutto per l’evangelizzazione. E’ stata veramente una riunione meravigliosa.
Si cominciano già a vedere i frutti in tutte le diocesi. È stato veramente un momento
di grazia per la Chiesa in America Latina e soprattutto per l’impegno con i più poveri.
D.
– Infine, quali sono le aspettative dei vescovi del Guatemala per questa visita ad
Limina?
R. – Prima di tutto l’incontro personale
con il successore di Pietro è sempre una grazia speciale del Signore. Dobbiamo stare
attenti a quello che ci dice il Santo Padre, perché queste direttive del Santo Padre
certamente vanno accolte da noi vescovi nel nostro programma generale di azione pastorale
nella Chiesa del Guatemala.