L'impegno della Chiesa per il futuro di Cuba, seconda parte dell'intervista con il
cardinale Bertone
Seconda parte dell'intervista con il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone,
rientrato mercoledì scorso in Vaticano dopo una visita a Cuba nell’ambito delle celebrazioni
del decimo anniversario dello storico viaggio di Giovanni Paolo II nell’isola caraibica.
In questa intervista congiunta all'Osservatore Romano ed alla Radio Vaticana, che
il quotidiano vaticano pubblica nell'edizione di sabato 1 marzo, il cardinal Bertone
risponde sulla questione dei prigionieri poltici, dell'embargo economico, della libertà
e delle difficoltà della Chiesa cattolica a Cuba. (La prima parte dell'intervista,
realizzata congiuntamente dal vice-direttore dell'Osservatore Romano Carlo Di Cicco
e dal collega della Radio Vaticana, Giovanni Peduto, è stata pubblicata ieri con il
titolo: "Il cardinale Bertone traccia un bilancio positivo del suo viaggio a Cuba"). D
- Cardinale Bertone, Lei è stato la prima personalità esterna a incontrare Raúl Castro,
dopo la sua elezione alla presidenza a seguito della rinuncia di Fidel. Qual è la
convinzione che si è fatta dal colloquio con il nuovo presidente cubano?
R.
E’ vero che di fronte all'opinione pubblica mondiale sono apparso come il primo rappresentante
del mondo diciamo socio-politico e religioso a incontrare il nuovo presidente del
Consiglio di Stato e nuovo presidente della Repubblica dopo la sua elezione. L’incontro
era fissato fin dal mio arrivo a Cuba. Raúl Castro ha ricevuto insieme con me la delegazione
della Chiesa cattolica con una folta delegazione governativa. All’incontro hanno preso
inizialmente parte i due vicepresidenti del Consiglio di Stato, Esteban Lazo e Carlos
Lage; il ministro degli affari esteri Pérez Roque e la delegazione che mi accompagnava:
il cardinale Jaime Ortega, arcivescovo dell’Avana; l’arcivescovo Luigi Bonazzi nunzio
apostolico; mons.Juan Garcia Rodrìguez, presidente della conferenza episcopale; il
vescovo di Holguin, Juan de Dios Hernández segretario della conferenza episcopale
e mons. Emilio Aranguren Echeverría. Il colloquio è stato dapprima aperto a uno
scambio di impressioni su Cuba e sulla vitalità della Chiesa cattolica. Poi ho incontrato
privatamente il presidente per un faccia a faccia di 55 minuti. Era stata una mia
richiesta precisa e il neo Presidente ha risposto positivamente. Abbiamo così potuto
esaminare insieme problemi sia interni, attinenti la società cubana e i rapporti bilaterali,
sia internazionali.
D. - Può riferire qualche dettaglio
del suo colloquio con il Presidente Raúl?
R. - Abbiamo
affrontato anzitutto la questione della permanenza dei valori nella società cubana.
Anche il presidente Raul è preoccupato della caduta dei valori nella società, soprattutto
nel mondo giovanile. Egli deve guidare il Paese verso una nuova tappa della sua storia
sociale, politica e religiosa. La preoccupazione per i valori e per la formazione
dei giovani è pertanto una preoccupazione condivisa. Ci si chiede come vincere la
disaffezione dei giovani nei confronti dei valori, come ascoltare le istanze e rispondere
alle aspirazioni del popolo cubano. Su questo punto abbiamo convenuto che la Chiesa
può dare un grande contributo nella formazione dei giovani ai valori. Il governo intende
puntare sulla formazione dei giovani ai valori fondamentali attraverso i rinomati
centri educativi superiori e universitari di cui Cuba dispone, e la Chiesa può contribuire
molto efficacemente a perseguire un tale obiettivo educativo. Un secondo punto che
abbiamo trattato riguarda l'azione della Conferenza Episcopale e della Chiesa in relazione
a quei problemi concreti che possono sorgere all'interno di una nazione, come ad esempio
la costruzione di nuovi edifici di culto. Nella Chiesa in Cuba c’è molto fervore,
soprattutto nei gruppi spontanei e nei gruppi giovanili. C'è un bel rapporto tra i
sacerdoti, i religiosi e la società. La Caritas è molto stimata dal governo cubano
per la rete di attività che svolge soprattutto a favore dei più bisognosi, dei poveri
e degli anziani. Esiste il problema concreto del riconoscimento della personalità
giuridica alla Chiesa cattolica e di uno statuto giuridico per la Caritas. Si tratta
di problemi che saranno studiati successivamente dal Governo e dalla Conferenza Episcopale.
Il presidente Raul ha parlato, nel suo discorso di investitura, del rispetto della
istituzionalità e delle istituzioni. A Cuba esiste questo problema anche per la Chiesa
cattolica e per le sue varie istanze; problema che potrà essere affrontato bilateralmente
e, si auspica con l'apertura e il coraggio necessari. Siamo poi passati ad una attenta
valutazione della panoramica internazionale.
D. -
L’opinione pubblica si attendeva qualche passo in favore dei prigionieri politici.
Ne avete parlato?
R. - Abbiamo parlato del problema
dell'assistenza ai detenuti. Soprattutto dell'assistenza spirituale nei confronti
dei detenuti cattolici e non cattolici. Ho presentato al presidente Raúl una lista
di nomi di prigionieri da prendere in considerazione per ragioni umanitarie, pur nel
rispetto della sovranità di Cuba, dei diritti di tutti e quindi anche dei diritti
del governo. Ho manifestato la preoccupazione della Chiesa per le famiglie dei detenuti.
Il Presidente ha sottolineato l’importanza di praticare a livello internazionale il
dinamismo della reciprocità; si è detto disposto a trattare tutti i problemi con grande
apertura ed anche a fare dei gesti concreti, in presenza di una reciprocità, nel rispetto
dell’identità e della sovranità del popolo cubano. Come è noto, i problemi cruciali
di Cuba sono quelli dell'embargo imposto dagli Stati Uniti e delle sanzioni economiche
dell'Unione europea che frenano il suo sviluppo e non permettono di venire incontro
alle gravi difficoltà socio-economiche che affliggono l'isola. Il presidente ha posto
a tale riguardo anche il problema dei cinque prigionieri cubani negli Stati Uniti
e quindi la questione di un trattamento umanitario anche per loro, con la eventuale
possibilità di scambio. D. - Lei ha ripetuto un appello molto
caro ai cubani per la fine dell'embargo economico. Ma lo ha fatto anche in prospettiva
di nuovi scenari che si delineano nell’isola e quale segno di incoraggiamento a un
dialogo con gli Stati Uniti e con l’UE che volti finalmente pagina?
R.
- Sì, questa è l'aspettativa del presidente e credo che sia un'aspettativa di tanti
uomini e donne di buona volontà. Come è noto, a causa dell’embargo chi soffre di più
è il popolo. In questo caso il popolo cubano. Una delle conseguenze dell’embargo riguarda
anche le banche, che non possono fare transazioni economiche per Cuba e per i cubani,
e questo è un impoverimento, un modo di impedire anche il flusso di aiuti economici
alle singole famiglie e alle singole persone. Da parte mia ho assicurato che la S.
Sede si adopererà perché vengano almeno ridotte queste sanzioni, se non eliminate.
Poi, certamente questo deve comportare uno sviluppo verso una maggiore libertà, verso
un riconoscimento dei diritti personali e sociali, politici ed economici. Ci sono
già dei passi promettenti, perché Cuba si appresta a firmare le due convenzioni delle
Nazioni Unite proprio sui diritti personali, sociali, economici e politici. Si tratta
di un passo che permetterà una verifica sul campo anche da un punto di vista prettamente
giuridico. Ma, come disse Giovanni Paolo II non bisogna solo pretendere che Cuba si
apra al mondo, accetti certi criteri imposti dall’'esterno, ma che il mondo si apra
a Cuba, e che anche gli Stati Uniti e l’Unione Europea abbiano maggiore fiducia in
Cuba.
D. - Come interpretare il silenzio su Fidel
Castro anche in momenti ufficiali e negli incontri che lei ha avuto con le autorità?
R.
Anzitutto abbiamo parlato frequentemente di Fidel Castro; non c'è stato un silenzio
su di lui. Il presidente Raul si è riferito al fratello, ha fatto votare una mozione
anche dall'assemblea che ha eletto i nuovi membri del Consiglio di Stato. Il riferimento
a Fidel è molto vivo. Egli ha seguito alla televisione e alla radio molte parti della
mia visita. Ha ascoltato miei discorsi e li ha commentati con il Presidente Raul.
Non ho potuto incontrarlo per comprensibili ragioni di salute. Si è parlato del suo
invito a Benedetto XVI a visitare l'isola e Raul ha confermato questo desiderio, che
naturalmente pone nelle mani e nel cuore del Santo Padre. Raul mi ha assicurato i
saluti e gli auguri da parte di Fidel, che pertanto è stato più volte ricordato. Anche
il comunicato dei vescovi, in cui si invitava a pregare per la salute di Fidel, è
stato commentato molto positivamente dal fratello Raúl. D. -
Perché parlando di Chiesa in Cuba, lei non ha mai usato l'espressione di Chiesa perseguitata
o con libertà vigilata come invece ritengono molti critici del governo cubano?
R.
- Perché la Chiesa in Cuba non è una Chiesa perseguitata. Incontra alcune difficoltà,
come ad esempio, come è stato detto, per la costruzione di nuove chiese o per l'insegnamento.
Abbiamo parlato con il presidente Raul anche dell'insegnamento della religione cattolica
nelle scuole statali. È chiaro che questa è una meta che non può essere realizzata
adesso. Non si può fare un paragone tra la Chiesa che è a Cuba e la Chiesa che è in
Italia, però la Chiesa in Cuba non è una Chiesa perseguitata nel senso storico delle
persecuzioni, anche se le autorità, di fatto, seguono con particolare vigilanza alcuni
Pastori della Chiesa. Ciò nonostante, in qualche modo c'è la possibilità di esprimere
anche pubblicamente la propria fede. Non si può ignorare, naturalmente, il problema
dei rapporti con i dissidenti politici, ma, tornando alla situazione della Chiesa,
c'è stata una certa apertura anche per le manifestazioni pubbliche, come ad esempio
per le processioni o le celebrazioni all'aperto. I mezzi di comunicazione hanno dato
discreto spazio alla mia visita. In momenti particolari, il cardinale, il vescovo
di santa Clara e il vescovo di Guantánamo hanno parlato anche alla televisione.
Per pochi minuti naturalmente, però sono i piccoli passi che dimostrano una concreta
apertura. I ragazzi, i giovani, anche quelli della scuola latino-americana di medicina
hanno manifestato pubblicamente la loro identità cattolica, la loro appartenenza alla
Chiesa e l'impegno di portare valori cristiani nella società cubana. Nella mia visita
nella scuola latino-americana di medicina, l'aula magna era gremita di giovani; alcuni
hanno innalzato un cartello «somos de Cristo» e nessuno l’ha fatto rimuovere. Pur
con dei limiti - naturalmente non possiamo fare dei paragoni - dobbiamo accettare
i piccoli passi o, come diceva un famoso personaggio, la politica dei piccoli passi,
che in questi dieci anni è stata fatta e che continua ancora adesso. Io credo che
ci siano prospettive di ulteriore apertura e di ulteriore sviluppo. D.
- I suoi discorsi sono stati molto dettagliati nel descrivere la crescita pastorale
della Chiesa cubana. Che cosa ha constato che sia avvenuto a Cuba e nella sua Chiesa
nei dieci anni seguiti alla visita dei Giovanni Paolo II?
R.
- Sono convinto che la Chiesa si esprima attraverso tutte le realtà che sono comuni
a una società viva. Si esprime attraverso le celebrazioni liturgiche vere e proprie,
si esprime attraverso gruppi di formazione, si esprime attraverso l'azione socio-assistenziale,
si esprime anche attraverso l'organizzazione di attività, iniziative, convegni, pellegrinaggi.
L'arcivescovo di Santiago di Cuba mi riferiva che ogni anno circa mezzo milione di
persone vanno in pellegrinaggio al santuario della Madonna della Caridad del Cobre.
Ho visto la crescita di questi segni di una Chiesa viva. Poi ci sono i mezzi di comunicazione
sociale; c'è un bollettino «Vida cristiana» distribuito in circa sessantamila copie.
È una piccola cosa, ma ci sono altre riviste, corsi di formazione, centri di spiritualità,
che nel fine settimana sono pieni di gruppi. Vedo i segni positivi di una Chiesa “normale”
come in tanti altri paesi, certo con certune limitazioni per ora. Sono segni che documentano
uno sviluppo positivo di Chiesa. Le risorse sono pochissime, lo Stato aiuta il restauro
di antiche chiese, di antichi centri, con grande difficoltà, perché le risorse economiche
e organizzative della Chiesa sono quelle di una Chiesa povera, in un paese che è povero.
Provvidenzialmente la Chiesa riceve aiuti dall'esterno, da altre Chiese che sono gemellate
con le diocesi e i piccoli centri a Cuba. C’è anche il problema dell'ingresso a Cuba
di nuovi religiosi e religiose, e di sacerdoti in aiuto alla Chiesa. Ma anche questa
fase della concessione dei permessi va evolvendosi; l'ho sperimentato io stesso come
arcivescovo di Genova quando ho favorito l'andata a Cuba di due Sacerdoti liguri e
di tre Suore Brignoline di Roma. Ho potuto constatare anche un certo aumento di vocazioni
sacerdotali e vocazioni religiose. Ho visto novizie, aspiranti di Congregazioni religiose
femminili, nuovi sacerdoti, due di essi sono nuovi salesiani cubani. Questi sono segni
belli.
D. - Dall'insieme della visita emerge una
grande e reciproca simpatia tra il popolo cubano e la Santa Sede. Nel suo saluto finale
lei parla di «affetto», può darne una spiegazione?
R.
- Certo la Chiesa ha una sua storia a Cuba, anche nello sviluppo della rivoluzione
cubana, e fino a questi ultimi anni rappresenta un punto di riferimento essenziale.
Venendo a cadere altri punti di speranza o di ideali, si vede come gli ideali che
propone la Chiesa sono sempre vivi e intramontabili, come è intramontabile la Parola
di Dio, la vicinanza di Dio, del Dio amico, del Dio vicino, come ripete Benedetto
XVI. I cubani hanno questa sensazione del Dio rivelato da Gesù Cristo e annunciato
dalla Chiesa, che è vicino e che sostiene il popolo cubano anche nelle sue sofferenze,
Nello stesso tempo, Giovanni Paolo II con la decisione di fare quella storica visita
a Cuba ha suscitato un impatto incancellabile. Il ricordo di Giovanni Paolo II è vivo
in tutte le comunità, in tutti i paesi, in tutte le città e l'accoglienza dell'inviato
del Papa, del segretario di Stato del Papa è stata entusiasta. Era impressionante
e commovente vedere le file di gente, di bambini, di adulti, di famiglie sulle strade
dove passava il corteo con il segretario di Stato. Salutavano e battevano le mani:
«Viva il Papa». Tanti, poi, si sono raccomandati alle preghiere del Papa: «Dica al
Papa che preghi per noi». «Benedizione» ripetevano. La presenza della Chiesa è una
presenza di benedizione, di aiuto, soprattutto a Cuba nella sua situazione e nelle
sue sofferenze.
D. - La sua visita si è aperta con
la consegna di un messaggio del Papa ai vescovi e alla popolazione di Cuba e si è
conclusa pubblicamente all'università con le parole di Benedetto XVI. È parsa chiara
l'intenzione di rendere presente il Pontefice in ogni sua parola e azione. Come mai?
R.
- Il Papa stesso mi ha incaricato di portare questa sua vicinanza e questo suo affetto
alla Chiesa che è in Cuba, ai vescovi e a tutte le sue comunità. Personalmente essendo
invitato a parlare all'università de La Habana, e anche alla scuola latino-americana
di medicina - dove si formano ventimila ragazzi provenienti da vari paesi latino-americani,
ma anche da paesi dell'Africa, da altre regioni per diventare i medici umanisti -
mi veniva spontaneo citare e farmi portavoce della parola del Papa in questi ambiti
molto significativi. Come sappiamo Benedetto XVI ha una ricchezza di contenuti e anche
di modalità di espressioni così convincenti che erano accolti con entusiasmo sia all'università
e sia nella scuola latino-americana di medicina.
D.
- Lei pensa che Benedetto XVI risponderà positivamente all'invito di andare a Cuba,
dopo tutto questo entusiasmo per il segretario di Stato?
R.
- Mi farò portavoce di questo invito. Credo che il Papa Benedetto XVI avrebbe un grande
desiderio di andare a Cuba e quindi di portare un'ulteriore iniezione di speranza
e di vicinanza a questa Chiesa viva e al popolo cubano. Tutto questo deve però essere
compreso nel disegno dei prossimi viaggi internazionali del Santo Padre che è da precisare.
D.
- Ora che Cuba è lontana, il suo bilancio della visita pastorale risponde agli auspici
della vigilia? R. - Direi che ha superato le attese, considerando
la situazione come viene presentata dai media o da come è vista dall’esterno anche
in certi ambiti ecclesiali. Avevo per questo non dico un certo timore, ma mi proponevo
certe mete, pur con fiducia nella grazia di Dio che opera incessantemente, ma anche
con qualche incertezza sui risultati. Ripeto: i risultati sono stati molto superiori
alle attese in ciò che ho visto della vitalità della Chiesa cubana in tutte le sue
componenti e nelle sue iniziative. Fra l’altro ho incontrato una religiosa salesiana
che nel mese di ottobre compierà cento anni, dei quali settantotto passati a Cuba.
Per questo Paese si può dire che ha dato la vita, e questo dono non può essere inefficace,
perché il Signore sa trarre frutti dai semi piantati anche quando noi dormiamo! Se
Dio trae figli di Dio anche dalle pietre, tanto più dai sacrifici di coloro che si
sono consacrati per il bene di questo popolo. Ho detto sia al presidente, sia alle
autorità cubane che lascio nelle mani della Conferenza episcopale le istanze da portare
avanti nel dialogo bilaterale e nell'impegno comune per lo sviluppo e per il bene
del popolo di Cuba, un popolo che Dio ama e che la Chiesa ama.