La vera elemosina ha come fine il bene dell'altro e non un ritorno d'immagine. Alla
vigilia della plenaria di "Cor Unum", mons. Dal Toso parla della carità del Papa
L'enciclica Deus caritas est ha cambiato il volto alla "carità del Papa". E'
questo lo spunto centrale della riflessione che da domani, a Roma, verrà avviata dalla
plenaria del Pontificio Consiglio Cor Unum, l’organismo che si occupa di portare
nel mondo il concreto sostegno del Pontefice ai Paesi o alle popolazioni più povere.
Alla vigilia dei lavori, Giovanni Peduto ha parlato di questo tema con il sottosegretario
del dicastero vaticano, mons. Giampiero Dal Toso:
R. -
Per noi, durante questa plenaria, sarà importante ribadire che c’è un discorso che
ha avuto una sua svolta specifica con l’enciclica Deus caritas est. Volevo
ribadire questo discorso - che riguarda l’attenzione a chi opera la carità - non solo
riguardo alle finalità del nostro agire, ma anche ai soggetti stessi che realizzano
l’attività caritativa. Dice la Deus caritas est che soggetto dell’attività
caritativa è la Chiesa stessa, la quale poi, ovviamente, lo rende concreto attraverso
le tante persone - e grazie a Dio sono davvero tante - che lavorano nei nostri organismi
- spesso a titolo di volontariato - in favore degli altri. Ecco: noi vogliamo semplicemente
ribadire, con questa plenaria, che l’attività caritativa, oltre ad essere un beneficio
per coloro che la ricevono, può essere una grande occasione di crescita umana e spirituale
per chi la compie. Vogliamo cioè riflettere, con i membri del nostro dicastero, sulle
possibilità che l’attività caritativa offre come scuola di maturazione umana, come
scuola di fede, come scuola di approfondimento delle proprie convinzioni cristiane,
per coloro che la realizzano. Quindi, in breve, il compito della plenaria è quello
di riflettere sulle opportunità che l’attività caritativa rappresenta per i soggetti
stessi che la realizzano.
D. - Benedetto XVI ha posto
al centro del messaggio per la Quaresima di quest’anno il valore dell’elemosina che
- ha detto tra l’altro - dev’essere "nascosta". Oggi, tuttavia, non esiste praticamente
campagna di aiuto - e sono in continuo aumento - che non sfrutti al massimo il "tam
tam" mediatico. Ci può essere un rischio di "usura" del concetto di solidarietà?
R.
- Innanzitutto, io vorrei affermare che per noi, in questo tempo di Quaresima, è importante
ribadire il concetto di elemosina sulla linea della tradizione della Chiesa. E’ vero
quello che lei dice: che oggi assistiamo a forme di elemosina che sono molto presenti
nei media, e alle quali viene dato anche particolare rilievo. E’ chiaro che l’elemosina
ha una sua dimensione nascosta. Ma è però vero anche quello che ricorda lo stesso
Santo Padre nel messaggio quaresimale, ovvero che il Vangelo ci ricorda come siamo
chiamati a compiere le nostre opere di bene perché gli uomini le possano vedere e
rendere gloria al Padre che è nei Cieli. Quello che interessa, dunque, fondamentalmente
- quello che è determinante, discriminante - è lo spirito con il quale si opera l’elemosina:
se, cioè, l’elemosina è intesa come atto che va a beneficio della persona che lo riceve
- e anche come atto di distacco da se stessi e dai propri beni - o se viene intesa
come operazione mediatica. Ecco: questo è il punto discriminante. E il messaggio quaresimale
voleva ribadire che questo atteggiamento profondo del cuore è la qualifica determinante
per un’elemosina che si possa dire "cristiana".
D.
- Per molti giovani, pur capaci di generosità, l’elemosina risulta una parola superata,
spesso confusa con la semplice moneta data ad un povero e dunque poco stimolante.
Come si può insegnare loro il valore autentico anche del piccolo gesto lontano dai
riflettori, quello che - sempre secondo le parole del Papa - "educa alla generosità
e all’amore"?
R. - Io direi che proprio la Lettera
per la Quaresima di quest’anno risponde a questa sua giusta domanda. Può sembrare,
a volte, che l’elemosina sia un po’ fuori moda. In realtà, io vorrei sottolineare
due cose: l’elemosina è alla portata di tutti, grandi, piccoli, giovani, anziani,
poveri e ricchi. Quindi, è uno strumento quotidiano alla portata di tutti. Secondo:
l’elemosina, la moneta data, è chiaro non serve per lavarci la coscienza. L’elemosina
serve come segno di un qualche cosa di più profondo: solo nella condivisione di quello
che abbiamo, e soprattutto di quello che siamo, possiamo trovare vera felicità. In
questo senso, anche l’elemosina può essere una scuola importante e può essere un esercizio
importante anche per i giovani. La vera felicità consiste nel vivere per se stessi
o la vera felicità consiste nel condividere se stessi con l’altro? Io credo che l’elemosina
possa essere un segno importante, un gesto quotidiano ma altamente educativo, che
può insegnarci ad aprire a tutti, non solo ai giovani, il nostro orizzonte verso l’altro,
perché in questa condivisione possiamo raggiungere la pienezza della nostra maturità,
umana e cristiana.