Kosovo: la Russia definisce "un precedente orribile" l'indipendenza di Pristina
Ancora polemiche per la proclamazione dell’indipendenza del Kosovo. Moniti alla comunità
internazionale arrivano soprattutto dalla Russia. Ieri, il presidente Putin ha parlato
di “un precedente orribile” e per la prossima settimana è atteso in Serbia il suo
“delfino” Medvedev. Intanto, la tensione è alta anche in Croazia: 42 gli arresti dopo
una manifestazione scattata in risposta all’attacco contro l’ambasciata di Zagabria
a Belgrado. Il servizio di Benedetta Capelli:
Il
tono delle dichiarazioni che provengono dalla Russia non accenna ad abbassarsi. Stamani
un consigliere del presidente Putin, riferendosi all’indipendenza del Kosovo, ha parlato
di “un’arma caricata”, di un possibile rafforzamento del terrorismo e di conseguenze
imprevedibili. Stesso clima nelle parole di ieri del capo del Cremlino che aveva definito
il Kosovo "un precedente orribile" che “si ritorcerà sull’Occidente”. Sempre nella
giornata di ieri si erano rincorse dichiarazioni e smentite da parte dell’entourage
russo su una possibile azione militare, ma alla fine tutti hanno concordato sulla
necessità di una soluzione politica. Domani intanto rientrerà a Belgrado l'ambasciatore
di Serbia in Italia, un provvedimento deciso dopo il riconoscimento dell’indipendenza
da parte di Roma. Segno di una tensione crescente, che ieri sera a Zagabria si è trasformata
in una manifestazione per protestare contro l’attacco dei giorni scorsi alla sede
diplomatica croata a Belgrado. 42 gli arresti eseguiti. Identificato, solo oggi, il
corpo carbonizzato trovato all'interno dell'ambasciata statunitense di Belgrado: si
tratta di un giovane profugo serbo-kosovaro. Delle violenze di giovedì scorso ha parlato
all'agenzia SIR l’arcivescovo metropolita di Belgrado, mons. Stanilav Hocevar, per
il quale solo “una minoranza si è data alle violenze”. Il presule ha sottolineato
l’esistenza di un margine di dialogo tra le parti vista la mancanza di un confronto
“approfondito e preventivo”. Resta dunque la preoccupazione. Ma esiste il rischio
di una radicalizzazione dell’Islam in Kosovo? Klaudia Bumci, della redazione
albanese, ha girato la domanda a mons. Dodë Gjergji, ammistratore apostolico
di Prizeren, in Kosovo:
R. – Per la storia e per l’esperienza
di convivenza che abbiamo avuto nel passato ed anche per la disponibilità e l’orientamento
politico del nostro governo, penso che la comunità islamica non lascerà che l'Islam
si orienti verso l’estremismo. Certo noi non possiamo dire che non ci siano fenomeni
di tal genere, ma questo avviene dappertutto, non solo da noi.
D.
– In questo momento, il Kosovo è indipendente, però quali sono le sfide che si trova
davanti?
R. – Le sfide sono enormi perché con la
proclamazione dell’indipendenza ci troviamo a convincere i nostri concittadini serbi
che possono vivere con noi e convivere in futuro senza paura. Abbiamo bisogno, come
Chiesa cattolica, di pregare tanto per la riconciliazione e per la pace, come ha detto
il Papa giovedì.
D. – Qual è l’impegno della Chiesa
cattolica in questo momento nel Kosovo?
R. – Noi
stiamo lavorando, ogni giorno, per dare il nostro contributo per riconciliare le nostre
realtà. Cerchiamo di trasmettere il Vangelo di amore e di perdono. Il nostro lavoro
è orientato, tramite la Caritas del Kosovo, a dare un contributo concreto per lo sviluppo
sociale del Paese.
Ma in che condizioni vive oggi
la minoranza serba in Kosovo? Giovanni Augello lo ha chiesto a Elena Cavassa, volontaria
per Operazione Colomba, il Corpo di Pace della Comunità Papa Giovanni XXIII che dal
1999 opera nell’enclave serba di Gorazdevac, nel nord-ovest del paese