Passare dalle parole ai fatti: lo chiede mons. Mondello dopo la relazione dell'Antimafia
sulla 'ndrangheta
Una grande holding criminale con strutture sociali ed economiche. E’ il profilo della
‘ndrangheta delineato dalla relazione annuale della Commissione parlamentare antimafia.
Negli ultimi decenni – si legge nel documento – la ‘ndrangheta si è trasformata “da
mafia arcaica a mafia imprenditrice, anche grazie ai grandi flussi finanziari dello
Stato e dell'Unione Europea destinati alla Calabria”. Nel testo si sottolinea, inoltre,
che la ‘ndrangheta, definita il gruppo criminale più moderno e più potente per il
traffico di droga, presenta caratteristiche simili alla rete terroristica di al Qaeda.
La relazione descrive, dunque, una realtà preoccupante ma non nuova sull'organizzazione
criminale calabrese. Di fronte a questo scenario, è necessaria l'adozione di urgenti
e concrete misure. E' quanto sottolinea, al microfono di Fabio Colagrande,
l'arcivescovo di Reggio Calabria-Bova, mons. Vittorio Luigi Mondello, presidente
della Conferenza episcopale calabra:
R. –
Ogni volta che c’è una relazione dell’Antimafia, da alcuni anni a questa parte, vengono
ripetute le stesse cose. Io mi meraviglio del fatto che malgrado si sappiano queste
cose, non vengano presi provvedimenti. Se di fatto si sa che in quel dato ambito della
vita politica, della vita sociale, della vita economica ci sono intromissioni illegali,
è chiaro che uno Stato si difende e cerca di eliminare queste illegalità. Perché ci
si limita soltanto a fare delle relazioni e poi non succede mai niente dopo queste
relazioni? Sono, forse, fatte per infamare sempre di più e lasciare nella sua condizione
questo povero Meridione? Sono i punti interrogativi che mi pongo.
D.
– Mons. Mondello, nella relazioni il presidente dell’Antimafia Forgione invita i partiti
a scegliere con oculatezza i candidati, perché altrimenti la Calabria non ce la può
fare…
R. – Questa è una cosa giustissima. Mi pare
logico che chi è inquisito o chi si trova in questa situazione, non debba andare al
Parlamento, perché evidentemente questi nulla faranno per eliminare l’illegalità presente
nelle varie branche della vita della società.
D.
– Si parla di una debolezza della politica in Calabria…
R.
– Non c’è una classe politica all’altezza della situazione della nostra regione per
poter risolvere i problemi della gente. Mancano di capacità progettuale, mancano di
capacità di interventi seri, che non si riducano solo in buoni propositi, ma passino
alla realizzazione di questi.
D. – Eccellenza, l’Antimafia
segnala che nessun industriale della Calabria ha denunciato infiltrazioni dell’’ndrangheta…
R.
– Vede, gli industriali della Calabria purtroppo vivono in una situazione molto differente
da quella in cui vivono gli industriali del Nord. E questo perché gli industriali
della Calabria sono sotto il giogo di questi prepotenti e molto spesso devono sottostare
per poter vivere e per poter andare avanti, magari accontentandosi di minori guadagni
pur di poter continuare la loro vita. Sapendo queste cose, è chiaro che noi non possiamo
chiedere l’eroismo a questi industriali. L’eroismo si può chiedere in alcune situazioni
particolari ma non può essere uno stile di vita. Sarebbe una cosa bella ma non si
può chiedere che tutti siano eroici nella loro vita quotidiana.
D.
– Eccellenza, voi vescovi della Calabria avevate preso, ancora una volta, una posizione
molto forte contro la mafia, contro la 'ndrangheta nel novembre scorso. E’ necessario
anche ribadire che è incompatibile proprio l’affiliazione alla mafia, alla 'ndrangheta,
con la fede, con la pratica cattolica?
R. – Noi diciamo
che è un peccato grave e che appartenere alla mafia significa andare contro i principi
della Chiesa. Noi possiamo dire questo ma poi molti come recepiscono queste nostre
parole? Ci fanno parlare e poi i mafiosi magari si fanno il segno della croce prima
di ammazzare qualcuno. Questo non vuol dire che quelli che si fanno il segno della
croce siano cristiani: lo fanno come un modo tradizionale di vita che li porta a non
comprendere quale differenza ci sia tra l’essere cristiano e l’essere mafioso.
D.
– Come Chiesa calabrese, come continuate la vostra lotta contro questa forma di peccato?
R.
– Lo facciamo attraverso una formazione, a partire dai giovani, facendo capire che
questa onorata società non è per nulla onorata e appartenere ad essa non è un onore
ma un disonore, perché per molti, anche ragazzini, c’è la mentalità - e ancora non
si è sradicata questa mentalità - che appartenere a queste cosche è una cosa bella,
una cosa nobile. Noi dobbiamo sfatare questa mentalità, combatterla, far capire che
quelli sono delinquenti che vanno condannati e puniti.