L’Italia riconosce il Kosovo. Belgrado ritira l’ambasciatore da Roma
In Italia il Consiglio dei ministri ha dato il via libera al riconoscimento del Kosovo.
A renderlo noto, il presidente del Consiglio, Romano Prodi, e il ministro degli Esteri,
Massimo D'Alema, in conferenza stampa a Palazzo Chigi. Tutti i ministri hanno votato
per il sì ad eccezione di ferrero di Rifondazione comunista. Il servizio di Fausta
Speranza:
Amicizia
e affetto per la Serbia, ribadisce Romano Prodi, dopo le parole in tal senso del capo
di Stato, Giorgio Napolitano. Prodi parla di allineamento con "la maggior
parte dei Paesi europei” e soprattutto di “forte impegno europeo” nel Kosovo. D’Alema
parla della presenza italiana nei Balcani "come un fattore di equilibrio e garanzia
per tutti”. Sul piano delle istituzioni europee, ci sono le parole di Mario Mauro,
vicepresidente dell’Europarlamento, che ha presieduto ieri la seduta plenaria per
il dibattito sul Kosovo. L'UE deve significare per questi Paesi diritto ed integrazione”,
afferma, e poi sottolinea la prospettiva europea per la Serbia. Guardando a Belgrado,
è stato confermato proprio poco fa l’annunciato ritiro dell’ambasciatore da Roma,
mentre sul terreno c’è la mobilitazione di piazza: dinanzi all'ex parlamento federale,
attese centinaia di migliaia di persone per la prima grande adunata contro quello
che viene definito “lo scippo del Kosovo”, promossa ufficialmente dalle autorità serbe.
Per l'occasione, le scuole resteranno chiuse e si potrà viaggiare gratis sui treni.
Intanto, nella ex provincia i militari del contingente NATO della KFOR hanno ripristinato
una normalità non priva di tensioni ai valichi di confine, devastati ieri da 2000
dimostranti nell'enclave serbofona a nord di Mitrovica. Italia
- Prosegue la campagna elettorale segnata da alleanze e candidature Grandi
manovre sul fronte delle alleanze e delle candidature negli schieramenti politici.
Nella notte, trovato l’accordo tra il Partito democratico e i Radicali. Nel centrodestra,
restano irrisolti i nodi di Roma e della Sicilia. Mentre al Centro continua il confronto
tra UDC, Rosa Bianca e UDEUR per una lista unitaria. Servizio di Giampiero Guadagni:
Alla
fine di una lunga trattativa, i Radicali hanno dunque accettato la proposta di Veltroni
di inserire nelle liste del Partito democratico nove propri candidati in circoscrizioni
considerate sicure. Inoltre, in caso di vittoria, Emma Bonino avrebbe un posto da
ministro. L’intesa non era quella sperata dai Radicali, che avrebbero voluto apparentarsi
con il PD mantenendo il simbolo come chiesto e ottenuto dall’Italia dei Valori di
Di Pietro. Intanto, sempre nel PD, tiene banco la mancata ricandidatura di Ciriaco
De Mita. L’ex segretario della DC ha risposto lasciando il PD e appare ora probabile
il suo ingresso nella Rosa Bianca di Tabacci. Che dice no all’accordo elettorale con
l’UDEUR di Mastella, e prova piuttosto a ricucire i rapporti con l’UDC di Casini.
Il quale da parte sua vorrebbe un accordo tra tutte le forze di centro. Acque agitate
anche nel centrodestra. Il PDL cerca un candidato sindaco a Roma da contrapporre a
Rutelli. Definitivamente tramontata l’ipotesi Giuliano Ferrara, la cui Lista per la
Vita non viene vista di buon occhio da Berlusconi e Fini. Partita aperta anche per
la candidatura alla regione Sicilia. Ore decisive per la candidatura del leader del
Movimento per le autonomie, Lombardo, che sarebbe sostenuto da PDL e UDC insieme,
in controtendenza con lo strappo avvenuto a livello nazionale. Per tutte le forze
politiche il tempo incalza. Dal 29 febbraio al 2 marzo, dovranno essere depositati
i simboli al ministero dell’interno. Dal 9 al 10 marzo la presentazione delle liste
dei candidati.
Risoluzione del parlamento europeo sulla crisi nella
Striscia di Gaza Il parlamento europeo ha approvato a larghissima maggioranza
una risoluzione presentata dai sei principali gruppi parlamentari nella quale esprime
“la sua profonda preoccupazione per la crisi umanitaria e politica nella Striscia
di Gaza e per le sue ulteriori possibili gravi conseguenze”. I deputati ritengono
inoltre che i recenti sviluppi della situazione al Valico di Rafah, “siano essi eventi
pacifici o atti di violenza, costituiscono il risultato della crisi nella Striscia
di Gaza”. Il parlamento europeo in particolare “ribadisce il suo invito a cessare
immediatamente ogni atto di violenza, esorta Israele a porre fine alle azioni militari
che uccidono e mettono in pericolo i civili e alle uccisioni mirate extragiudiziali
e chiede ad Hamas, a seguito dell'occupazione illegale della Striscia di Gaza, di
impedire il lancio di razzi ad opera delle milizie palestinesi verso il territorio
israeliano”. L’europarlamento sottolinea inoltre che “la politica di isolamento della
Striscia di Gaza è fallita sia a livello politico sia a livello umanitario” e ribadisce
l'appello per una fine del blocco e per una riapertura “controllata” dei valichi da
e verso Gaza.
Bombardamenti turchi al nord dell’Iraq L'artiglieria
turca ha bombardato questa mattina alcune aree di confine in territorio iracheno,
mentre aerei da guerra turchi sorvolano la zona: è quanto ha riferito una fonte dell'Unione
patriottica del Kurdistan, il partito del presidente iracheno, Jalal Talabani. Una
decina di giorni fa, il primo ministro turco, Tayyip Erdogan, si era impegnato a continuare
a colpire in Iraq obiettivi del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan, indipendentisti
curdi turchi). Ankara ritiene che il PKK sia responsabile della morte di circa 40
mila persone dal 1984, anno in cui ha cominciato la sua lotta armata per ottenere
il riconoscimento di uno Stato curdo nel sudest della Turchia.
Iraq Quattro
soldati britannici sono rimasti leggermente feriti da un'esplosione avvenuta al passaggio
del loro convoglio presso Bassora, nel sud del Paese. Nella zona meridionale dell'Iraq,
ci sono ancora dispiegati circa 4.100 militari britannici. Intanto, sono in corso
le operazioni preparatorie per ritirare i 550 soldati australiani combattenti di base
e i 65 addestratori dell'esercito nella provincia di Dhi Qar, sud dell'Iraq. Il governo
laburista di Canberra, eletto a gran maggioranza in novembre, mantiene così la promessa
elettorale di ritirare le truppe di combattimento per la metà del 2008. Da parte del
governo, fanno sapere che il ritiro sarà effettuato in stretta consultazione con gli
USA e la Gran Bretagna per minimizzare le ripercussioni, che le truppe australiane
hanno portato a termine il loro impegno e che inoltre è migliorata la situazione di
sicurezza perché Al Qaida ha sofferto perdite notevoli e ha perso influenza in Iraq.
Nel 2003, sotto il precedente governo conservatore, il Paese aveva partecipato all'invasione
dell'Iraq con 2000 soldati a fianco delle forze USA e britanniche.
Afghanistan Un
soldato britannico è rimasto ucciso e un altro ferito in un'esplosione avvenuta oggi
mentre i due militari erano di pattuglia nel sud dell'Afghanistan. Circa 40 commando
dei Royal Marines, è stato precisato da fonti ufficiali, stavano compiendo un “pattugliamento
di sensibilizzazione” nella provincia di Helmand, una di quelle dove più attivi sono
gli insorti taleban, quando sono stati investiti dall'esplosione. Sale così a 89 il
numero dei soldati britannici morti in Afghanistan dal 2001. Il Regno Unito ha circa
7.800 uomini nel Paese asiatico, in maggioranza dispiegati nella turbolenta provincia
di Helmand.
Pakistan Consultazioni determinanti sono in corso a Islamabad
sulla formazione del nuovo governo pakistano fra i leader dei due partiti d'opposizione
che hanno vinto le elezioni legislative di lunedì, ma che devono fare i conti con
il presidente, Pervez Musharraf, determinato a rimanere al proprio posto. E' una questione
cruciale quella del futuro del presidente, al potere dal 1999 con un colpo di Stato
militare: il Partito popolare pachistano (PPP) della leader assassinata Benazir Bhutto
non è ostile a una collaborazione con Musharraf - un accordo sulla spartizione del
potere era stato raggiunto con l'ex premier, che era quindi tornata a ottobre dopo
otto anni di esilio volontario. Ma Nawaz Sharif, il cui governo venne rovesciato da
Musharraf nel 1999, ha fatto delle dimissioni del presidente la sua missione. Contro
il presidente, si è schierato anche il movimento dei togati. Il presidente della Corte
suprema, Iftikhar Chaudry, agli arresti domiciliari da novembre, quando Musharraf
destituì due terzi dei giudici della Corte a lui ostili, ha rinnovato l'appello al
nuovo parlamento a cancellare gli “emendamenti anticostituzionali” imposti da Musharraf
nelle sei settimane di leggi speciali alla fine dello scorso anno. La sua prima destituzione,
nel marzo dello scorso anno, ha scatenato le piazze, tanto che Musharraf è stato costretto
a reinsediarlo dopo sei mesi. Asif Ali Zardari, vedovo della Bhutto e nuovo leader
del PPP, si incontra nel tardo pomeriggio con Nawaz Sharif. I risultati non ancora
definitivi indicano che nessuno dei partiti ha la maggioranza assoluta sui 272 seggi
eletti in parlamento.
Kenya Il governo keniano ha annunciato di accettare,
almeno “in linea di principio” l'ipotesi della creazione del posto di primo ministro,
ruolo attualmente non previsto dalla costituzione keniana, che affida tutti i poteri
al presidente della Repubblica. Si tratta di un'importante svolta negoziale, su cui
il capo della mediazione, l'ex segretario generale dell'ONU Kofi Annan, lavorava da
tempo. Il problema ora è vedere di quali poteri sarà investito il premier, ruolo che
- appare scontato - sarebbe attribuito al leader dell'opposizione, Raila Odinga, che
bilancerebbe così quelli del presidente, Mwai Kibaki, la cui contestata elezione ha
scatenato le violenze nel Paese. Il passo del governo potrebbe calmare la situazione.
Ieri, l'opposizione aveva annunciato il ritorno in piazza entro una settimana in mancanza
di un'intesa, mentre si erano diffuse notizie secondo cui i due schieramenti stavano
preparando milizie paramilitari. Di condivisione di potere si è già parlato in diverse
fasi del negoziato. Come mai, dunque, l’accordo di massima raggiunto oggi in kenya
è considerato così importante? Stefano Leszczynski l’ha chiesto all’africanista
Enrico Casale, della rivista dei Gesuiti italiani, Popoli:
R. -
Il punto sul quale si è trovata una convergenza oggi è quello della creazione di un
primo ministro. Questo è un punto delicato, perchè il presidente della Repubblica
kenyana, nell’attuale Costituzione, ha un potere effettivamente molto grande. La creazione
di un primo ministro significherebbe, e significherà probabilmente, ridurre questo
potere e, soprattutto, permetterà di condividerlo con altre forze politiche. Io non
sarei ottimista sulla soluzione della crisi kenyana.
D.
- Sul Kenya, è intervenuto spesso nel corso della sua missione africana anche il presidente
statunitense, Bush. Che influenza può avere oggi in Africa il punto di vista degli
Stati Uniti?
R. - Non si parla mai abbastanza di
un conflitto che in Africa è in corso ormai da qualche tempo, ed è un conflitto tra
un blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti e un blocco orientale guidato dalla
Cina, per la gestione delle risorse enormi dell’Africa. Il viaggio attuale del presidente
degli Stati Uniti è stato un viaggio necessario per ribadire come gli Stati Uniti
siano attenti all’Africa e presenti in Africa. Quindi, io credo che gli Stati Uniti
possano avere una voce importante nella soluzione della crisi kenyana.
Ciad Il
ministro degli Affari esteri del Ciad, Ahmad Allam-Mi, ha detto a Bruxelles che il
suo governo “in questo momento negozia con i ribelli”, aggiungendo di sapere che i
ribelli sono manipolati dal governo del Sudan”, ha affermato il ministro dopo un incontro
con alti funzionari dell'Unione europea. Il ministro del Ciad ha quindi assicurato
che il governo “non sa” dove siano i due dirigenti dell'opposizione in Ciad, Ibni
Oumar Mahamat Saleh e Ngarlejy Yorongar, che secondo voci diffuse nei giorni scorsi
erano stati imprigionati. Ha anche criticato l'Austria che aveva raccolto tali voci
e ieri aveva chiesto il rilascio dei due. “Per un Paese dell'EUFOR è un'ingerenza
grave negli affari interni del Ciad”, ha sostenuto, aggiungendo che non si può escludere
che i due esponenti politici abbiano raggiunto le file dei ribelli.
Record
per petrolio e oro Prezzo del petrolio ancora sopra la soglia dei 100 dollari,
dopo il record toccato ieri a 101,32 dollari al barile. Il greggio con consegna ad
aprile è scambiato al mercato elettronico after hours di New York a 100,28
dollari al barile, in rialzo di 58 cent (+0,6%). È c’è da dire che in queste ore
anche l’oro ha stabilito un nuovo record. Il metallo giallo vale 947,15 dollari l'oncia.
Anche il platino ha toccato il nuovo massimo di sempre, a quota 2.185,5 dollari l'oncia.
Le quotazioni sono state rilevate sui mercati asiatici e la loro impennata appare
legata alla necessità di difendersi dall'inflazione in un contesto caratterizzato
dal surriscaldamento delle materie prime, a cominciare dal petrolio.
Rapporto
della Commissione UE sull’economia La crescita dell'economia italiana sarà
“quasi piatta” nei primi tre mesi del 2008 (+0,1%) per poi riprendersi in maniera
“graduale ma modesta” nei trimestri successivi (+0,2%, +0,3%, +0,3%), chiudendo l'anno
con un +0,7%. È quanto afferma la Commissione UE nel rapporto in cui sono contenute
le nuove stime sull'andamento del PIL dei principali Paesi dell'UE. “L'attività economica
in Italia - si legge - ha rallentato più che nel resto della zona euro nell'ultima
parte del 2007, chiudendo l'anno all'1,8%, lo 0,1% in meno del previsto”. Questo -
si spiega - è dovuto anche a “fattori eccezionali, come gli scioperi di dicembre nel
settore dei trasporti”. Ma il dato 2007 avrà inevitabilmente ripercussioni sul 2008,
“con le indicazioni disponibili per la prima parte dell'anno abbastanza negative”.
Anche l'inflazione resterà intorno al 3% nei primi mesi dell'anno, per poi attestarsi
al 2,7% a fine 2008. Nel mirino di Bruxelles, non solo il caro-benzina e gli elevati
prezzi dei generi alimentari, ma anche “gli aumenti delle tariffe”.
Cuba L'opposizione
cubana ritiene che l'Assemblea popolare eleggerà nei prossimi giorni Raul Castro quale
presidente al posto di Fidel, che rimarrebbe a capo del partito, vera forza dirigente
della Rivoluzione. “È molto probabile che Raul sia eletto alla presidenza al posto
di Fidel, e in questo caso quest'ultimo manterrà verosimilmente la carica di primo
segretario, che è quella veramente dirigente nel regime cubano”, ha detto all'ANSA
Antonio Guedes, dell'Unione liberal cubana. Secondo Guedes, non si può tuttavia escludere
del tutto che, considerata l'età di Raul (76 anni), l'Assemblea decida di eleggere
una personalità più giovane come ad esempio Carlos Lage. “In questo caso Fidel potrebbe
lasciare anche la carica di primo segretario che verrebbe assunta da Raul, ma per
questo bisognerebbe convocare un congresso del PCC”. “A Cuba il vero potere sta nel
partito e nelle forze armate, attualmente guidate da Raul”, assicura Rigoberto Carceller,
leader della piattaforma 'Cuba, democrazia adesso'. “La costituzione cubana - ricorda
- stabilisce che 'la massima forza dirigente della società e dello Stato è il partito
comunistà, lo stesso modello della fu Unione Sovietica. “Inoltre - avverte Carceller
- non bisogna dimenticare che Fidel e Raul manterranno la carica irrinunciabile di
Comandanti in Capo della Rivoluzione, al di sopra di chiunque”.
Timor est Il
presidente di Timor Est, Jose Ramos-Horta, ferito gravemente in un attentato nella
sua residenza e ricoverato nell'ospedale maggiore di Darwin in Australia, ha ripreso
conoscenza dopo 10 giorni di coma indotto e cinque operazioni chirurgiche. Militari
ribelli hanno sparato a Ramos-Horta, 58 anni, premio Nobel per la pace per il suo
impegno a favore dell'indipendenza dall'Indonesia, in un attacco all'alba nella sua
residenza l'11 febbraio scorso. Durante l'attacco, è rimasto ucciso il leader dei
ribelli, l'ex ufficiale Alfredo Reinado. Un'ora dopo, altri uomini armati hanno sparato
all'auto del premier Xanana Gusmao, che grazie alla perizia del suo autista è riuscito
e fuggire ed è rimasto illeso. Intanto, sono giunti a Timor est tre agenti dell'FBI
per assistere con le investigazioni i 70 detective e ufficiali della Polizia federale
australiana che stanno indagando sul duplice attacco.
Corea del Sud Il
neopresidente sud coreano, Lee Myung Bak, è stato scagionato dalle accuse di frode
a suo carico in seguito ad un'inchiesta condotta da una commissione speciale. Lo scrive
la BBC on line. “Riteniamo che il presidente non sia coinvolto in alcuna manipolazione
del mercato azionario”, ha detto il procuratore, Chung Ho-young. L'annuncio arriva
quattro giorni prima che Lee Myung-bak, eletto il 19 dicembre 2007, presti giuramento.
Durante la campagna elettorale, il presidente aveva respinto le accuse che lo vedevano
coinvolto in uno scandalo finanziario scoppiato nel 2001, per il quale è finito sotto
processo un ex socio in affari. I procuratori avevano già scagionato Lee Myung-bak
nel dicembre 2007, ma la magistratura aveva votato per la riapertura del caso dopo
la comparsa di un video nel quale Lee ammette di aver fondato la BKK, controversa
società d'investimenti. Le indagini hanno anche scagionato il presidente dalle accuse
secondo le quali avrebbe acquistato un terreno sotto falso nome. Il 25 febbraio, Lee
inizierà ufficialmente il suo mandato dopo la vittoria alle elezioni di dicembre.
Lee Myung-bak, ex membro dell'esecutivo Hyunday, e leader del Gran partito nazionale
conservatore, ha tra suoi obiettivi la ripresa dell'economia e la conduzione di una
politica più rigida nei confronti della Corea del Nord. (Panoramica internazionale
a cura di Fausta Speranza)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 52 E'
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