La Chiesa celebra la memoria liturgica del Beato Angelico, religioso domenicano e
pittore: il commento di mons. Ravasi
In occasione dell’odierna festa liturgica del Beato Angelico, mons. Gianfranco Ravasi,
presidente del Pontificio Consiglio della Cultura presiederà una Santa Messa alle
18 nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva, a Roma, dove è sepolto il grande pittore
vissuto a cavallo tra il 1300 e il 1400. Il rito si svolge nell'ambito delle celebrazioni
promosse dal Comitato Nazionale per il 550° anniversario della morte del religioso
domenicano. Il servizio di Luca Pellegrini.
(canto)
La
sua vita fu uno straordinario “canto a Dio”: un canto davanti agli angeli. Il Beato
Angelico teneva come un tesoro profondo del suo cuore la gloria di Dio e la esprimeva
nelle opere d’arte. Con queste parole Giovanni Paolo II ricorda il Beato Angelico
quando, nel febbraio del 1984, lo proclamava patrono degli artisti. Un modello di
vita capace di tradurre in colori l’eloquenza della parola di Dio ed esprimere una
profonda, ininterrotta preghiera, aperta alla contemplazione del mistero. Uno “specchio
di suprema armonia tra vita santa e forza creatrice”: così soleva riferirsi a lui
il Vasari, per descrivere quell’ “indole celestiale” inimitabile. Per gli artisti
di oggi, cosa rappresenta la figura del beato Angelico? Lo abbiamo chiesto a mons.
Gianfranco Ravasi:
R. – Per l’arte rappresenta
soprattutto, a mio avviso, due profili differenti che, però, si intrecciano anche
tra di loro. Da un lato è sicuramente colui che interpreta le esigenze di una nuova
interpretazione dell’arte cristiana, perchè in quell’epoca, nel Quattrocento, in quel
periodo fiorentino in cui soprattutto dominava con la sua grandezza la figura di Masaccio,
fra Angelico propone una nuova strada, una strada che ha un’altra caratteristica:
se quella di Masaccio, forse, marcava maggiormente la potenza del realismo, la potenza
della carne, dell’incarnazione, quindi la potenza della storia, l’Angelico invece
si orientava verso una dimensione più trascendente, una dimensione più mistica, una
dimensione più verticale. Questo è sicuramente un invito costante a far sì che ci
sia la possibilità sempre di trovare nuove vie, nuove piste per esprimere il mistero
cristiano. Dall’altra parte, però, gli studiosi fanno notare che il legame tra Beato
Angelico e Masaccio è più vivo di quanto si immagini e, soprattutto, il suo legame
è profondo con la tradizione, con la grande tradizione cristiana, che nell’arte vedeva
in maniera particolare la dimensione della contemplazione. Ecco, in questa luce, dobbiamo
dire che il Beato Angelico si rivela anche come un interprete della tradizione, della
continuità, della spiritualità. Due elementi, quindi, a prima vista antitetici che
si intrecciano. D. - In quella stessa occasione il Pontefice
chiedeva a tutti gli artisti il coraggio e la generosità di saper coniugare una coscienza
artistica a quella umana e morale. Sono passati oltre vent’anni: ritiene che l’arte
contemporanea sia capace di incarnare questa duplice dimensione?
R.
- La situazione del mondo attuale, della cultura contemporanea... Se noi proviamo
a sfogliare qualche rivista di arte contemporanea, ci accorgiamo subito inesorabilmente
di un fenomeno: si ha quasi una sorta di analisi di un orizzonte che è sostanzialmente
vuoto, di un orizzonte che è fatto di dispersione, che è fatto soltanto di fenomeni
materici alcune volte, che è fatto di fenomeni che non hanno in sé stretto significato.
E’ proprio la percezione dello sfaldamento, del disfacimento della nostra società.
Ed è per questo che si cercano soprattutto dei segni, delle icone che siano fondamentalmente
solo oggetti, realtà del quotidiano, che non hanno in sé una carica profonda di trascendenza.
La trascendenza bisogna scoprirla attraverso un lungo percorso. Ecco, forse, l’appello
che noi possiamo raccogliere è quello di tentare ancora di far sì che l’arte contemporanea,
che si trova così dispersa, che si interessa dell’orizzonte soltanto, possa forse
tentare anche di sfidare, come ha sempre fatto in passato - ed è questa la coscienza
artistica - l’eterno e l’infinito, cioè cercare qualcosa che vada oltre questo orizzonte,
nel quale continua la sua ricerca attuale. D. - Lei afferma,
dunque, che l’orizzonte dell’arte sacra contemporanea è vuoto e vi si nota anche una
problematica assenza di senso: la Chiesa ha oggi gli strumenti per poterlo riempire?
R.
- Questo è veramente un grande problema, un problema anche di linguaggio tra l’altro.
Chiesa ed arte contemporanea hanno consumato ormai una sorta di divorzio. Hanno scelto
strade differenti. Tanto è vero che spesso la Chiesa ha avuto, ha optato nella sua
liturgia, per il ritorno di alcuni moduli, alcune forme del passato ripetute. Qualche
passo nuovo è stato fatto, bisogna dire, attualmente, negli ultimi anni, nell’orizzonte
dell’architettura. Per quanto riguarda l’arte, invece, questo non è ancora accaduto.
Il dialogo non è stato ripreso, il filo che unisce questi due ambiti non è avvenuto.
Dobbiamo cercare in tutti i modi di far sì che ci sia la possibilità, attraverso i
nuovi linguaggi che sono quelli espressivi della cultura contemporanea, dell’arte
contemporanea, di ritornare ancora ad offrire il grande arsenale iconografico e tematico,
che è proprio della tradizione cristiana, perchè sarebbe estremamente produttivo.