Il cardinale Saraiva Martins presenta ai media l’Istruzione “Sanctorum Mater” che
chiarisce le norme per la fase diocesana delle Cause di beatificazione. Quella di
Giovanni Paolo II, precisa, seguirà un iter normale e non abbreviato
Un documento per permettere ai vescovi diocesani e ai loro collaboratori di istruire
la prima fase di un processo di beatificazione - quella locale, che avviene nella
loro diocesi - con quel rigore necessario, ma non sempre rispettato, a verificare
la “fama di santità” del candidato agli onori degli altari. Sta in questo il senso
dell’Istruzione Sanctorum Mater, presentata stamattina in Sala Stampa vaticana dal
cardinale prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, José Saraiva Martins,
e dai vertici del dicastero. Molte, fra l’altro, le domande dei giornalisti sull’andamento
dei processi riguardanti la beatificazione di Giovanni Paolo II e Pio XII. Il servizio
di Alessandro De Carolis:
Serve
maggior “rigore”. E’ la parola d’ordine che giunge dalla Santa Sede alle diocesi del
mondo nelle quali è in corso o si sta procedendo ad istruire un processo di beatificazione.
Raccogliere prove - documenti e testimonianze - sulla santità di vita di un candidato,
sul suo eventuale martirio, sul presunto miracolo attribuito alla sua intercessione
deve avvenire nell’unico e sovrano interesse dell’accertamento della verità. E’ questo
che chiede con la sua Istruzione il dicastero pontificio. Dopo 25 anni dalla promulgazione
delle norme su questo argomento da parte di Giovanni Paolo II, si è reso necessario
- ha spiegato il cardinale Saraiva Martins - fornire ai diretti interessati un “chiarimento”
sulle modalità di applicazione delle regole esistenti e non tanto fornirne di nuove.
Per istruire un processo in fase diocesana, ha affermato con chiarezza il cardinale
prefetto, è necessario anzitutto che la fama di santità sia “spontanea e non artificiosamente
procurata”:
“Il vescovo non può, nemmeno volendo,
iniziare una causa di beatificazione se non c’è questa ‘fama sanctitatis' in seno
alla comunità ecclesiale alla quale appartiene il candidato agli altari. In fondo,
è la comunità stessa di laici che fa il primo passo in un processo di Beatificazione,
poiché praticamente sono loro che devono dire al vescovo: ‘Questa persona per noi
era santa’. Ecco la ‘fama sanctitatis’”.
Il cardinale
Saraiva Martins ha subito replicato, già in fase di presentazione del documento, a
una possibile obiezione: ovvero, che l’Istruzione Sanctorum Mater rappresenti in realtà
un irrigidimento nelle procedure di beatificazione e canonizzazione:
“Tale
irrigidimento non esiste se per esso si intende una modifica delle norme in vigore
da più di 25 anni (…) L’‘Istruzione’ mira a promuovere l’osservanza puntuale di quanto
prescritto nelle norme vigenti e in questo senso è ovvio e auspicabile che il documento
abbia come conseguenza un’applicazione più accurata delle disposizioni di legge”.
Numerosissime
le domande dei giornalisti in Sala Stampa, in rappresentanza di molte testate internazionali.
Intanto, al pari di Giovanni Paolo II, è stata ribadita - numeri alla mano - la grande
“sensibilità” di Benedetto XVI ai modelli di santità e dunque ai testimoni da proporre
all’attenzione della Chiesa. Prova ne è il fatto che in soli tre anni di Pontificato
siano stati finora beatificati e canonizzati 577 Servi di Dio, ovvero un terzo di
tutti quelli registratisi sotto il Pontificato di Papa Wojtyla. Qui è emersa la principale
novità voluta da Benedetto XVI, riguardante la celebrazione delle beatificazioni nelle
diocesi di appartenenza dei nuovi Beati. Ciò, ha constatato il cardinale Saraiva Martins,
ha quadruplicato-quintuplicato il numero delle cerimonie, ma nel contempo ha anche
aperto a magnifiche esperienze di tipo pastorale ed ecclesiale. Si pensi, ha portato
come esempio il prefetto del dicastero, al fatto che in molte circostanze siano stati
gli stessi familiari del Beato a portarne all’altare le reliquie, ogni volte nel più
generale e commosso silenzio. Anche l’aspetto relativo al riconoscimento del miracolo
ha indotto il cardinale Saraiva Martins a rammentare le procedure che vedono, in prima
istanza, i circa sessanta medici di chiara fama, appartenenti alla Consulta vaticana,
esprimersi sulle guarigioni dal punto di vista della comprensibilità scientifica o
meno. Quindi, il pronunciamento della trentina, tra cardinali e presuli, chiamati
ad emettere un parere di tipo ecclesiale-teologico qualora il miracolo non sia spiegabile
dalla scienza. In ogni caso, ha distinto il porporato:
“Il
miracolo non ha niente a che fare con la santità, sia ben chiaro: sono due cose diverse.
Il miracolo è un segno, un sigillo che Dio appone sulla santità della persona. Ma
una cosa è il miracolo, un’altra cosa è la santità. Il miracolo conferma la santità,
non è la santità stessa”.
Interesse ha suscitato
anche lo stato delle Cause di beatificazione relative ai Papi del 20.mo secolo o ad
altri esponenti della Chiesa, come mons. Oscar Romero, l’arcivescovo di San Salvador
ucciso nel 1980, o del fondatore della Congregazione dei Sacerdoti del Sacro Cuore
di Gesù, padre Leon Dehon. Entrambe le cause, ha ribadito il prefetto vaticano, sono
allo studio proprio allo scopo di chiarire con limpidezza gli aspetti della loro testimonianza
cristiana. Per ciò che concerne la canonizzazione del Beato Giovanni XXIII si attende
la certificazione del secondo miracolo, necessario per la chiusura del processo, mentre
non vi saranno ulteriori accelerazioni per quanto riguarda la beatificazione di Giovanni
Paolo II, giacché - ha ribadito il cardinale Saraiva Martins - la dispensa concessa
da Benedetto XVI riguarda l’inizio del processo e non il processo stesso, che dunque
seguirà un iter normale. Netta invece la presa di posizione del prefetto vaticano
sulla Causa in corso riguardante Pio XII. Sui presunti ostacoli che essa incontrerebbe,
il porporato ha affermato:
“Certe difficoltà che
qualcuno ha sollevato in realtà non esistono, secondo me. Molti dicono: ‘[La Causa]
non va avanti perché lui è famoso per il silenzio nella condanna al nazismo, non
ha condannato il nazismo’. Questo non è vero storicamente. Io, piuttosto che di silenzio,
parlerei di ‘prudenza’. Il silenzio non c’è stato. Inoltre, la prudenza di Papa Pio
XII appare molto chiara dalle sue stesse parole (…) e vorrei confermarla con una testimonianza
al di sopra di ogni sospetto, e cioè con le parole di Robert Kempner, magistrato ebreo
e pubblico ministero al Processo di Norimberga. Lui ha scritto, nel gennaio del 1964:
‘Qualsiasi presa di posizione propagandistica della Chiesa contro il governo di Hitler
avrebbe accelerato l’assassinio di un numero ben maggiore di ebrei e sacerdoti’”.