Tra attentati e terrore, elezioni domani in Pakistan
E’ scattato il coprifuoco a Parachinar, in Pakistan, teatro ieri di un attentato costato
la vita a 46 sostenitori del partito di Benazir Bhutto. Un attacco che arriva in prossimità
delle elezioni legislative, fortemente segnate dalla scomparsa, in dicembre, della
leader dell’opposizione. Per garantire domani un tranquillo svolgimento delle consultazioni,
le autorità hanno schierato 81 mila militari e paramilitari e nelle scorse settimane
hanno ridotto al minimo i comizi elettorali, dato che dall’inizio dell’anno oltre
400 persone hanno perso la vita in diversi attentati. Nel sud-est del Pakistan, stamani
4 membri delle forze paramilitari hanno perso la vita nell’esplosione di un ordigno,
saltato in aria al passaggio del loro convoglio. L’agguato è stato rivendicato dall’insurrezione
separatista attiva nella zona. E’ evidente, dunque, che le elezioni cadono in un momento
di destabilizzazione del Paese come sottolinea Lucio Caracciolo, direttore
della rivista di geopolitica Limes, il cui ultimo numero èproprio dedicato
al Pakistan. L'intervista è di Fausta Speranza.
R.
– E’ una destabilizzazione ormai in corso da tempo, che negli ultimi mesi e settimane
si è accentuata. Adesso vedremo cosa succederà in occasione delle elezioni. La destabilizzazione
proviene dalle fasce tribali del nord, dove sono insediati i gruppi guerriglieri e
taleban, ma anche dal centro stesso delle principali città pakistane, dove si registrano
attentati, bombe e quant’altro. Il potere militare è in crisi e delegittimato, quindi,
c’è una forte preoccupazione, soprattutto da parte americana, anche per l’arsenale
nucleare pakistano.
D. – Parliamo proprio del ruolo
degli Stati Uniti. Cosa c’è da ricordare?
R. – Che
gli Stati Uniti hanno prima utilizzato il Pakistan negli anni ’80, in funzione antisovietica,
quando i sovietici erano impantanati in Afghanistan. I pakistani furono incaricati
assieme ai sauditi di mettere insieme una specie di legione straniera islamica per
combattere i sovietici. Fu un grande successo, però, dopo, abbiamo dovuto scontare
il fatto che questa guerriglia islamica abbia conquistato l’Afghanistan e abbia poi
dilagato anche altrove e minacci ora lo stesso Pakistan.
D.
– Al di là del risultato del voto, in prospettiva dobbiamo pensare che, in un Medio
Oriente allargato, la possibilità che si sciolga il nodo tra Stati Uniti e Iran possa
avere un peso anche per il Pakistan? R. – Ad un certo punto
gli americani dovranno scegliere, perchè è evidente che l’Iran sia un fattore importante
di stabilizzazione oppure possa essere un fattore dirompente di destabilizzazione.
Quindi, dovranno scegliere se fargli la guerra, ed è molto difficile, oppure fare
un compromesso, che è altrettanto difficile e soprattutto anche costoso. Ma una delle
due scelte, prima o poi, dovranno farla.
D. – Guardiamo
anche alla vicina India. Che cosa dire?
R. – L’India
dal punto di vista pakistano è storicamente la minaccia esistenziale, il grande nemico.
Ora la situazione con l’India non è più tesa come un tempo, ma certamente dal punto
di vista pakistano è difficile immaginare una convivenza con l’India, anche perché
resta aperta la questione del Kashmir.
D. – Diciamo
anche qualcosa in relazione a Cina e Russia: stanno a guardare per quanto riguarda
il Pakistan?
R. – La Cina storicamente ha rapporti
privilegiati con il Pakistan, anche in funzione anti-indiana. La Russia ha forti interessi
nella regione, in particolare nell’Afghanistan, e certamente non avrà un ruolo ininfluente
in questa partita. Ma la potenza dominante nella regione, oltre all’America e agli
alleati occidentali, è sicuramente la Cina.
D. –
Lucio Caracciolo, in definitiva, come guardare a queste elezioni? Una definizione
per queste elezioni...
R. – Inutili, nel senso che
si arriverà forse ad un accordo per un governo di coalizione, ma alla fine il vero
potere in Pakistan lo terranno i militari.
Ma qual è la situazione
dei cristiani, che rappresentano una delle minoranze in Pakistan? Fausta Speranza
lo ha chiesto a padre Bernardo Cervellera, direttore dell’agenzia AsiaNews:
R.
– La situazione è sempre molto tesa per le minoranze, perchè sono schiacciate da tutte
le parti e spesso non hanno molti diritti di fronte alla preponderanza islamica. Alcune
zone, come nel nord-ovest, sono anche perseguitate da spinte talebane. Comunque, i
vescovi e la Commissione Giustizia e Pace in Pakistan esortano tutti i cristiani –
i cattolici in particolare – ad essere presenti alle urne, perché, davanti a questa
situazione molto difficile, la maggior parte sarebbe tentata di lasciar perdere, tentata
dallo scetticismo. C’è invece una esortazione ad essere presenti, anche perché c’è
stata una vittoria negli ultimi anni da parte dei cristiani, che hanno ottenuto di
non avere soltanto delle liste di candidati relegati alle minoranze, ma anche di essere
presenti in liste generiche, assieme a musulmani o ad altre persone di altre religioni.
D.
– Le difficoltà che incontrano i cristiani hanno origine nella legislazione?
R.
– La situazione sul terreno è molto grave, ma ci sono anche aspetti della legislazione
contro cui i cristiani stanno combattendo da tempo. Non c’è una vera e propria libertà
religiosa, libertà di espressione, se non nei culti, nei luoghi delegati. Insomma,
non si può evangelizzare con libertà totale, con apertura. La seconda cosa è la piaga
che c’è da decenni in Pakistan, cioè questa legge sulla blasfemia, che non viene ancora
ritoccata o eliminata addirittura, come chiedono i cristiani. Secondo questa legge
sulla blasfemia, basta che ci sia l’accusa da parte di un musulmano che qualcuno ha
offeso il profeta o il Corano e subito si viene imprigionati. Anche se il governo
cerca di non comminare la pena di morte, tante volte, però, è la polizia o la folla
inferocita a comminare la pena di morte a questi “poveracci”.