A Torvaianica, vicino Roma, due Case-famiglia, nate in parrocchia, ridonano la fiducia
nella vita ai bambini vittime di violenza sessuale
Non c’è via migliore della condivisione per curare il male di un corpo, di un cuore,
di un’anima: è lo spirito che anima l’associazione “Chiara e Francesco”, un sodalizio
nato da un gruppo di giovani e famiglie di una parrocchia di Torvaianica, vicino Roma.
Dal 2003, questo proposito si concretizza nell’impegno di due Case-famiglia che stanno
lavorando con pazienza per far rinascere la speranza nei cuori di bambini vittime
di violenza sessuale. Per una testimonianza su questa esperienza, Alessandro Gisotti
ha intervistato il vicepresidente dell’associazione “Chiara e Francesco”, Alessandro
Orsini:
(musica)
R.
– Una delle prime difficoltà è stata l’accoglienza di questi ragazzi, considerando
che i loro abusi sono nati nelle loro famiglie. Quindi, sono diffidenti, non si fidano
di nessuno perché gli adulti che dovevano proteggerli, li hanno massacrati. Prima
di tutto, quindi, conquistare la loro fiducia e far loro capire che c’è qualcuno che
vuole loro bene, che non li vuole utilizzare, non li vuole sfruttare, non vuole fare
loro del male. Poi, purtroppo, ci scontriamo anche con alcune mentalità, ancora un
po’ vecchie, che guardano alla “casa-famiglia” dove metti lì il bambino e sta bene.
No: bisogna accompagnarlo, bisogna aiutarlo e farlo crescere. Per questo non basta
la casa-famiglia: ci vuole tutta una società, un contorno, una comunità che aiuti
... C’è bisogno proprio di una nuova cultura. Non può essere un volontariato o un
lavoro: per noi è proprio una scelta di vita. Noi praticamente stiamo qui 24 ore al
giorno, viviamo con questi ragazzi come se fossero figli nostri.
D.
– Ma come si riesce a testimoniare la speranza, a far ripartire la speranza nei cuori
di questi ragazzi così feriti e che, soprattutto, non si fidano degli adulti perché
dagli adulti hanno ricevuto del male?
R. – Principalmente,
ci vuole tanto amore. Piano piano, far loro capire che tu sei lì soprattutto perché
li ami. E questo, all’inizio, è un po’ difficile da far loro capire perché non hanno
l’esperienza di un amore gratuito, quello di un padre verso un figlio, quello di una
madre ... E quindi, piano piano, con i piccoli gesti, far loro vedere che giorno dopo
giorno tu sei sempre lì, anche nei momenti di crisi, anche nei momenti in cui lui
distrugge la stanza, anche nei momenti in cui – in preda ai ricordi –comincia a fare
“il matto”, diciamo, a comportarsi male, ma tu sei lì vicino. Facendo questo, cerchiamo
di ridare la speranza.
D. – C’è anche un altro impegno
della casa-famiglia, che è quello dell’informazione, cioè di rendere sempre più consapevoli
le persone del problema di questa piaga ...
R. –
Dopo che sono state aperte le case-famiglia, dopo che abbiamo incominciato a raccogliere
i bambini, ci siamo accorti che ormai, quando arrivavano da noi, era già stato fatto
un danno. Quindi, abbiamo pensato che bisognava partire prima, fare la prevenzione.
Facciamo prevenzione nelle scuole, ma soprattutto bisogna informare le persone e per
far questo noi abbiamo fatto diverse iniziative, già nel passato. In questo momento
stiamo organizzando una comunicazione multimediale che si terrà qui da noi, a Torvaianica,
dentro il teatro “Zoomarine”, il 23 febbraio, proprio per aprire il cuore e per aprire
gli occhi su tutto quello che riguarda la pedopornografia, che riguarda la vita nelle
case-famiglia, perché i bambini sono affidati a noi, però sono affidati a tutta la
comunità: tutti quanti dobbiamo collaborare per fare in modo che in questi bambini
ritorni la speranza, la gioia di vivere.