2008-02-15 13:13:24

Tempo di Quaresima: l'invito del Papa a scoprire Cristo nei poveri attraverso l'elemosina. Il commento di mons. Dal Toso


“Non potete servire a Dio e al denaro”: il Papa, nel suo Messaggio per la Quaresima di quest’anno, ha citato queste parole di Gesù per invitare i fedeli a praticare l’elemosina con generosità imparando a riconoscere Cristo nei poveri. Ma sul significato autenticamente cristiano dell’elemosina, ascoltiamo mons. Giampietro Dal Toso, sottosegretario del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, al microfono di Giovanni Peduto:RealAudioMP3


R. – L’elemosina, che a volte non teniamo sufficientemente in conto, mi sembra sia importante che riusciamo a vederla come uno strumento concreto, quotidiano, alla portata di tutti, che ci aiuta esattamente nell’esercizio della nostra vita cristiana in questo tempo liturgico. Perché ci aiuta nell’esercizio della nostra vita cristiana? Il Papa, nel suo messaggio dice una cosa che mi ha particolarmente colpito e cioè che l’elemosina ha una doppia valenza: da una parte, rappresenta un gesto di attenzione verso l’altro e, dall’altra, è anche un gesto attraverso il quale si dà un segno di distacco dal denaro e quindi anche un distacco da se stessi. C’è – se posso citarla – questa bella frase al punto 1: “In questo modo alla purificazione interiore si aggiunge un gesto di comunione ecclesiale”. Mi sembra che questo sia un po’ il cuore di queste affermazioni.

 
D. – Perché, secondo lei, il Papa nel suo messaggio ricorda che l’elemosina non è un atto di filantropia?

 
R. – Esattamente perché l’elemosina si inserisce in un disegno un po’ più grande di vita cristiana, che è propriamente quello di vivere non centrati su se stessi, ma vivendo per l’altro. L’elemosina è, quindi, una testimonianza di carità. La carità come sappiamo e come ce lo ha insegnato molto bene l’enciclica Deus caritas est, è la chiave della virtù più alta della vita cristiana, quello di dare se stessi.

 
D. – Nel messaggio si ribadisce che soccorrere i poveri, prima ancora che un atto di carità, è un atto di giustizia e che – secondo l’insegnamento evangelico - noi non siamo proprietari di ciò che possediamo, ma amministratori …

 
R. – Sì, è importante partire da questa seconda affermazione che viene dal Catechismo della Chiesa Cattolica e che è una costante della dottrina sociale della Chiesa, e cioè che i beni che noi possediamo ci sono affidati e non ne siamo in questo senso strettamente proprietari. Proprio perché esiste una destinazione universale dei beni - i beni non sono soltanto i miei, ma sono ordinati al bene comune e sono, quindi, per tutti – in questo senso si dice che c’è una giustizia che regola il nostro stare insieme. Ovviamente, però, questa frase va completata e capita alla luce di quello che dice anche la Deus caritas est, per cui anche la società più perfetta, la società che più conosce la giustizia, avrà sempre bisogno della carità. Se è importante avere la giustizia come base, dobbiamo anche tenere presente che niente può sostituire la carità e che le due, anzi, si appartengono profondamente.

 
D. – L’elemosina – sottolinea ancora il Papa – sia generosa, segreta e sia fatta per la gloria di Dio e non per porre se stessi in evidenza ...

 
R. – Io credo che questo sia esattamente il punto in cui maggiormente emerge quanto sia importante lo spirito con cui diamo. Perché è chiaro che, da una parte, l’elemosina è un atto nostro, personale che conosce solo Dio perché solo Dio può vedere e scrutare il profondo del nostro cuore e solo Dio, alla fine, giudicherà sulla nostra vita. Però, nello stesso tempo, è anche vero – lo dice lo stesso Pontefice nel suo messaggio – quello che dice il Vangelo di Matteo: “Che vedano le nostre opere buone e diano gloria al Padre che è nei cieli”, cioè che la testimonianza di carità diventa un mezzo attraverso il quale si proclama il Vangelo, si fa conoscere il nome di Dio in mezzo agli uomini. Quindi, io direi che bisogna tenere presenti questi due aspetti: l’elemosina, fatta in segreto, e l’elemosina – nello stesso tempo – che serve per la glorificazione di Dio. Per questo, importante è il cuore, lo spirito con cui diamo le nostre elemosine e se lo diamo appunto in questo desiderio di rendere gloria a Dio o se lo diamo semplicemente per rendere gloria a noi stessi.

 
D. – Tutto questo è facilmente comprensibile. Però, meno intelligibile appare l’affermazione che l’elemosina copre una moltitudine di peccati. Che significa?

 
R. – Il Papa non fa altro che ripetere un messaggio che viene dalla Scrittura, e più precisamente dalla prima Lettera di Pietro. Mi sembra una cosa, però, molto importante, questa: che la carità, ogni atto di carità, quindi anche l’elemosina, è un passo concreto per superare il male che esiste nel mondo. E esattamente, la carità, attraverso la quale noi ci adeguiamo a Dio, a Dio che ha vinto il male, a Dio che ha vinto il peccato, allora la carità diventa una forma attraverso la quale anche noi partecipiamo di questa vittoria di Dio. E per questo anche possiamo dire che copre una moltitudine di peccati.

 
D. – Il Papa fa ancora un’affermazione: l’elemosina è segno di un dono più grande che possiamo fare al prossimo, l’annuncio dello stesso Gesù Cristo ...

 
R. – Verso la fine del Messaggio, il Papa ristabilisce un collegamento tra il racconto di un Vangelo e la vita stessa di Cristo. Il Papa ricorda, cioè, il racconto dell’obolo della vedova, quella vedova che nel Tesoro del Tempio mette le ultime monete che aveva,, cito il Vangelo stesso in cui dice che mette “tutto quanto aveva per vivere”. La vedova, in questo senso, anticipa quello che farà Gesù Cristo stesso, che dona tutta la sua vita. Ecco: per questo, l’elemosina, quel dono che noi facciamo, diventa espressione di un dono più profondo, che è il dono di tutta la vita e che il cristiano può farlo sulla scorta di quello che ha imparato da Cristo che per primo, appunto, ha dato tutto se stesso. Per questo, anche l’elemosina è testimonianza di Cristo: perché è testimonianza del fatto che l’uomo trova se stesso solo donandosi; così come Cristo, donandosi, ha trovato la pienezza della vita; così come la sua morte ha significato per lui anche la sua resurrezione.







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