Con la sua morte, Cristo ha portato Dio ad abitare nel cuore dell'uomo: il cardinale
Vanhoye termina la riflessione sulla Lettera agli Ebrei agli esercizi spirituali della
Quaresima in Vaticano. Domani le ultime meditazioni
Nell’Antica Alleanza era impossibile una piena comunicazione tra l'uomo e Dio, avvertito
come una potenza inavvicinabile. Cristo, morendo per l’umanità, le ha permesso di
accostarsi alla casa del Padre. Da allora e fino ad oggi la strada per entrarvi è
data dalla fede, dalla speranza e dalla carità. Sono le considerazioni centrali con
le quali il cardinale gesuita, Albert Vanhoye, ha terminato la lettura meditata della
Lettera agli Ebrei, nella sesta giornata di esercizi spirituali della Quaresima, predicati
al Papa e alla Curia Romana. I particolari, nel servizio di Alessandro De Carolis:
I cristiani
vivono da sempre una condizione di privilegio, rispetto al rapporto dell’antico popolo
ebreo con Dio. La condizione è quella di aver scoperto la vicinanza, la paternità
di Dio e non - come nell’Antico Testamento - la sua distante e innominabile potestà.
Il cardinale Vanhoye ha spiegato che gli ultimi capitoli, dal decimo in poi, della
Lettera agli Ebrei contengono il cuore di questo assunto. Come cristiani, ha spiegato,
possediamo un diritto d’ingresso nel santuario celeste - e non tanto una “fiducia”
come asseriscono alcune traduzioni: un diritto a far parte della famiglia divina,
fondato sul sangue versato da Gesù. Ed è questa suprema offerta sacrificale, ha spiegato
il predicatore degli esercizi, a segnare la profonda novità rispetto agli ebrei dell’Antica
Alleanza, che con la loro rigida ritualità frapponevano invece innumerevoli gradi
di separazione tra l’uomo e Dio:
“Nell’antica
Alleanza, c’era la separazione tra il popolo e i sacerdoti. Il popolo non era mai
autorizzato a entrare nell’edificio del Tempio. Poteva soltanto stare nei cortili.
I sacerdoti avevano il diritto di penetrare nell’edificio. C’era però separazione
anche tra semplici sacerdoti e sommo sacerdote. I primi non potevano entrare nella
parte più santa, ma solo nella parte santa dell’edificio. C’era anche la separazione
tra sacerdote e vittima. Il sacerdote non poteva offrire se stesso, non era degno,
non era capace. Doveva quindi offrire come vittima un animale, ma un animale non è
in grado di santificare il sacerdote. C’era infine la separazione tra vittima e Dio.
Un animale non può entrare in comunione con Dio. Ora, invece, per mezzo dell’offerta
di Cristo, tutti i credenti hanno il diritto di entrare nel santuario e non si tratta
più del santuario non autentico, fabbricato dalle mani dell’uomo, ma del Santuario
vero, cioè si tratta di entrare nell’intimità di Dio”. L'autore
della Lettera agli Ebrei dunque, afferma l’esistenza non più della distanza ma della
confidenza tra l’uomo e Dio, guadagnata dalla morte redentrice di Gesù, dalla sua
umanità glorificata. Invita ad “accostarsi” con cuore puro a Dio, a fare cioè quello
che prima era inconcepibile e vietato. L’Alleanza quindi è “nuova” perché ciò che
la morte di Cristo ha prodotto, prima non esisteva. Rispetto all’antico israelita,
ricercare la volontà di Dio per il cristiano non vuol dire più conformarsi a un codice
fisso, ma ricercare una creazione continua. Soprattutto chi ha responsabilità pastorali,
ha riflettuto il cardinale Vanhoye, deve essere consapevole di ciò. Ed essendo la
novità cristiana una sorgente inesauribile, essa - ha ribadito - va sempre annunciata
facendo attenzione a imperniarla sui tre cardini della fede, della speranza e della
carità, piuttosto – come accade - su discorsi di tipo moraleggiante:
“Talvolta
i predicatori cristiani fanno troppe esortazioni morali e non abbastanza esortazioni
teologali, che sono più importanti. L’autore nomina le tre virtù teologali: la fede,
la speranza, la carità. Avrebbe potuto nominare le virtù morali o cardinali, ma non
lo ha fatto, perchè queste virtù non hanno un rapporto diretto con la Nuova Alleanza.
Gli ebrei erano preoccupati soprattutto di osservare bene tutte le tradizioni e i
comandamenti. Invece, il Nuovo Testamento non insiste tanto sulla legge da osservare,
ma esorta ad avere fede, speranza e carità”.
Con
la seconda meditazione, il predicatore gesuita ha concluso la riflessione sulla Lettera
agli Ebrei trattandone la solenne chiusura, incentrata sulla Risurrezione e sull’Alleanza
eterna. Il cardinale Vanhoye ha ripercorso i livelli successivi di approfondimento
della dottrina cristiana, passati dalla iniziale comprensione della Resurrezione di
Gesù come semplice restituzione della vita di Dio al Figlio alla Resurrezione come
frutto dell’intervento dello Spirito Santo, il soffio vitale di Dio. E qui il predicatore
degli esercizi si è soffermato sul legame, messo in luce dalla Lettera, tra lo spirito
vitale e il sangue, quest’ultimo già considerato sacro dagli antichi - e dalla Bibbia
- perché portatore del soffio della vita. Un’intuizione corretta, confermata dalla
scienza quando si è scoperto che è il sangue a ossigenare il corpo, a portare cioè
il “soffio” del respiro umano alle cellule. E dunque, ha paragonato il cardinale Vanhoye:
“Come
noi aspiriamo l’aria dell’atmosfera per ossigenare il nostro sangue e renderlo capace
di vivificare tutto il nostro corpo, così Cristo nella sua Passione per mezzo di una
preghiera intensa ha aspirato lo Spirito Santo. Per vincere la paura della morte,
Egli ha pregato, ha supplicato e ha ricevuto lo Spirito Santo, il quale è entrato
in Lui e lo ha spinto ad offrire la propria vita in un dono di amore. Possiamo dire
che nella Passione, il sangue di Cristo si è imbevuto di Spirito Santo, acquistando
la capacità di comunicare una vita nuova e di fondare la Nuova Alleanza”.
Riflettendo
su questo nuovo rapporto stipulato tra Dio e l’uomo attraverso Cristo, l'autore della
Lettera ha anch’egli una intuizione che, secondo il cardinale Vanhoye, esprime una
verità del cristianesimo da un angolo di profondità mai affermato fino a quel momento.
L'autore non augura solo ai cristiani di fare la volontà di Dio, ma che Dio stesso
operi in loro ciò che a Lui è gradito:
“Così viene
indicato, mi pare, l’elemento più profondo della Nuova Alleanza. Il fatto che riceviamo
in noi l’azione stessa di Dio. Nell’Antica Alleanza, Dio prescriveva ciò che si doveva
fare, lo prescriveva attraverso una legge esterna. Questo tipo di Alleanza non ha
funzionato, perchè l’uomo non è capace con le sole sue forze di compiere la volontà
di Dio. Perciò il Signore ha voluto istituire una Nuova Aalleanza: ha promesso di
scrivere la sua legge nel cuore dell’uomo, di dargli un cuore nuovo e di dare il suo
spirito (...) Pertanto, la nuova alleanza non consiste soltanto nel ricevere le leggi
di Dio all’interno del nostro cuore, ma nel ricevere l’azione di Dio stesso in noi”.
Anche
nel Vangelo di San Giovanni, ha rammentato il cardinale Vanhoye, Cristo parla delle
sue opere come un dono del Padre. Lo stesso vale per i cristiani, che anzi sono accompagnati
sin dalla fondazione della Chiesa dalla certezza, espressa da Gesù, di poter compiere
opere anche più grandi di lui: o meglio compiute da Cristo stesso attraverso la loro
intelligenza, generosità e dedizione.