Tensione in Libano per i funerali di un capo Hezbollah e l'anniversario dell'assassinio
dell'ex premier Hariri
Decine di migliaia di libanesi si sono radunati oggi nel centro di Beirut per commemorare
il terzo anniversario della morte dell'ex premier Rafik Hariri, ucciso nella capitale
libanese il 14 febbraio del 2005. In città è stata inaugurata anche una statua raffigurante
lo stesso Hariri a pochi metri di distanza dal luogo dove venne ucciso insieme con
altre 22 persone con un potente camion-bomba. Ma Beirut oggi è blindata anche per
i funerali del leader Hezbollah assassinato martedì a Damasco, in Siria. Un clima
di tensione che proprio dall’omicidio Hariri sembra non diminuire. Ma cosa è cambiato
concretamente in Libano in questi ultimi 3 anni? Salvatore Sabatino lo ha chiesto
ad Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera e grande conoscitore
del mondo mediorientale:
R. –
Tre anni fa è nata questa primavera di Beirut, cioè questo movimento che ha portato
un nuovo spirito e anche una certa ribellione nei confronti del potente alleato vicino,
la Siria, che ha sempre considerato il Libano il suo protettorato. Non ci dimentichiamo
che, a partire da quel giorno, c’è stata la risoluzione delle Nazioni Unite che ha
imposto alla Siria di ritirare i suoi soldati dal Libano. La Siria è stata costretta
a farlo. Anche dal punto di vista politico, c’è stato un nuovo spirito che ha unito,
almeno per un certo periodo di tempo, una gran parte dell’opinione pubblica libanese.
Gli attentati che hanno accompagnato e, purtroppo, seguito quello all’ex primo ministro
Hariri e la frammentazione anche di certi campi a partire da quello cristiano, rendono
comprensibili i timori del patriarca maronita Nasrallah Sfeir. Lo stesso patriarca
dice: Noi dobbiamo avere la forza di cambiare altrimenti non c’è speranza, altrimenti
non è possibile raggiungere un compromesso. Addirittura, in un momento di quasi disperazione,
il patriarca ha detto: è necessario che venga qualcuno dall’estero a guidare in questa
fase i destini di un Libano che non riesce a trovare un compromesso su un candidato
presidente. D. - Dopo l’uccisione di uno dei leader di Hezbollah
a Damasco si è riproposto, ancora una volta, questo difficile rapporto tra Libano,
Siria, ed Israele. Dopo Annapolis, in cui sembrava essersi mosso qualcosa, siamo ancora
in una fase di empasse…
R. - Sì e io temo che la
situazione sia peggiorata: se noi guardiamo i vari fronti, all’interno del problema
israeliano-palestinese, è cresciuta la tensione tra palestinesi, tra la classe dirigente
dell’ANP guidata da Abu Mazen e Hamas; e ppoi, ancora, tra Hamas che si trova con
una parte più dialogante rappresentata dall’ex primo ministro Haniyeh e dall’altra
un rappresentante che vive a Damasco. Per quanto riguarda Hezbollah, poi, l’omicidio
mirato di ieri dimostra come alcune componenti di guida, di vertice militare di Hezbollah,
avevano trovato rifugio in Siria. E anche lì, abbiamo una parte forse un pochino più
dialogante in Libano e poi una parte più dura che, magari, si trova all’estero, a
Damasco o altrove. Abbiamo, quindi, una situazione siro-libanese molto tesa, con la
Siria che ha paura del processo internazionale e forse teme che questo processo internazionale
sull’assassinio di Hariri possa portare alla scoperta e alla conferma di responsabilità
da parte dei suoi servizi di sicurezza. Insomma, tutto questo, poi, al di là dell’aggressività
iraniana, ci propone un quadro veramente preoccupante.