Riscoprire nel silenzio la parola profonda di Dio e dell’uomo: la riflessione di mons.
Ravasi sull’invito del Papa per il periodo quaresimale
Ha destato ampia eco l’invito del Papa a fare della Quaresima un tempo di silenzio,
di digiuno dalle immagini e dalle parole per fare spazio alla Parola di Dio. Nell’incontro
di giovedì scorso, con i sacerdoti romani, Benedetto XVI ha sottolineato che è importante
“crearci spazi di silenzio e anche senza immagini, per riaprire il nostro cuore all'immagine
vera e alla Parola vera”. Una dimensione, quella del silenzio, su cui si sofferma
il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, mons. Gianfranco Ravasi,
intervistato da Fabio Colagrande: R.
– Scoprire nell’interno del silenzio la voce, autentica e profonda, è un esercizio
tanto necessario ai nostri giorni, in cui la moltiplicazione dei suoni, delle parole
e delle chiacchiere e di parole secondarie impedisce di ritrovare non soltanto il
silenzio della coscienza, ma anche la parola suprema, la Parola profonda di Dio e
dell’uomo stesso.
D. – In una civiltà, come la nostra,
dove siamo bombardati da immagini, anche attraverso la facilità e la velocità dei
mezzi elettronici, quali sono i rischi proprio per riscoprire un cammino spirituale?
R.
– Direi che abbiamo la necessità di purificare innanzitutto il nostro sguardo, che
è uno sguardo sporcato da troppe immagini. Io non intendo soltanto le immagini oscene;
ci sono anche le immagini di violenza, ma anche le immagini inutili: un numero enorme
di immagini secondarie che ci impediscono, per esempio, di conservare le immagini
più preziose. Noi tutti abbiamo nell’interno della memoria dei nostri occhi il volto
di una persona cara, magari quando questa persona è stata persa o l’abbiamo perduta
nella morte. Dovremmo riuscire ad avere un arsenale di immagini che siano immagini
importanti e significative. Ecco allora l’importanza anche dell’arte: l’arte del passato
ed anche l’arte attuale che sa creare nuovi immagini. Accanto a questa purificazione
delle sguardo, però, bisogna anche riuscire a creare un vuoto. Il vuoto non è assolutamente
il vuoto nero, l’assenza cioè di luci, di segni, di immagini, di parole, ma è il vuoto
bianco. Un bianco che – come si sa – riassume in sé tutti i colori dello spettro cromatico.
Bisogna avere questo spazio bianco in cui collocare, da un lato, le immagini perfette
e, dall’altra, le parole che siano autentiche, profonde, quelle che appunto sono alimento
per l’esistenza della persona.
D. – Per chi, come
noi fa radio, l’elogio del silenzio spaventa sempre, perché siamo abituati e sappiamo
di poter comunicare soltanto con la parola. Per aiutarci in questa riflessione del
Papa ci sembra che l’elogio del silenzio vada di pari passo anche con l’elogio della
vera Parola. Tacere è, quindi, anche un esercizio utile per trovare parole autentiche?
R.
– C’è una poetessa americana, Emily Dickinson, che diceva nell’Ottocento celebrando,
ma non solo, la forza della parola poetica: “Molti ritengono che una parola, una volta
detta, sia morta. Io invece dico che proprio allora comincia a vivere”. Noi abbiamo,
forse in negativo, l’esperienza: ci sono dei fratelli che si sono scambiati, una volta,
una parola cattiva, con tutta la durezza e l’odio possibile; quanto è durata quella
parola? E’ durata soltanto pochi secondi, eppure ha fatto sì che essi si odiassero
poi per anni. La parola è una sorta di ordigno che noi abbiamo fra le mani e che certe
volte può esplodere e fare danni immensi ma, d’altra parte, la parola è anche uno
strumento efficace, creativo, potente, incisivo. Pensiamo che cos’è la stessa creazione
così come è narrata dalla Bibbia. Non è una fatica di Dio, è una Parola di Dio. Dio
disse: “Sia la luce e la luce fu”. Quindi, una parola che crea.