FILIPPINE Si pente l'assassino di un missionario italiano
KIDAPAWAN, 6feb08 - "In silenzio ha deposto una candela accesa sul ceppo di marmo
che segnala, sulla via di Tulunan, il luogo in cui fu assassinato padre Tullio; poi
è andato sulla tomba, che si trova nel giardino della sede del vescovo e, sempre in
silenzio, ha acceso un'altra candela e si è chinato a baciare la foto di Tullio sulla
lapide”. Il racconto è di padre Peter Geremia, missionario del Pontificio istituto
missioni estere di Milano (Pime), riferendosi a Norberto Manero, 62 anni, capo del
gruppo di uomini che 22 anni fa uccise il missionario italiano Tullio Favali, tornato
a Kidapawan sull'isola di Mindanao. “Quando noi sacerdoti e religiose siamo rimasti
soli con lui, insieme ai testimoni di quell'omicidio - ha aggiunto padre Geremia,
vero bersaglio degli assassini - Manero, piangendo, ha infine chiesto perdono". Padre
Favali fu ucciso da Edilberto Manero, fratello di Norberto, con alcuni colpi di fucile;
condannato all'ergastolo, con altri sette componenti del suo gruppo che aggredirono
Favali, Norberto ha ottenuto la grazia presidenziale, tornando il libertà il 25 gennaio;
era uno dei capi delle Forze civili per la difesa della terra (Ichdf), gruppo di paramilitari
appoggiato dall'esercito filippino che, con il compito di difendere i villaggi cristiani
dalla guerriglia e dai ribelli, finì col seminare il terrore con omicidi e violenze
indiscriminate anche contro le popolazioni tribali, allo scopo di favorire l'espropriazione
delle terre ancestrali a beneficio di potenti e politici corrotti, violenze che i
missionari denunciavano inutilmente alle autorità. "Ha detto che adesso vorrebbe andare
in Italia per chiedere perdono ai familiari di padre Tullio, ma gli abbiamo detto
di aspettare e di darci il tempo per contattare la famiglia" dice padre Geremia aggiungendo
che l'11 aprile, anniversario della morte del missionario, Manero incontrerà coloro
che hanno sofferto per le azioni sue e del suo gruppo. (Misna-MANCINI)