Tornano gli attentati kamikaze in Israele: tre morti in un centro commerciale a Dimona
Dopo una pausa di oltre un anno, il terrorismo torna a colpire nel cuore di Israele.
Un kamikaze si è fatto esplodere nel centro commerciale di Dimona, nel Neghev, uccidendo
almeno due persone e ferendone un’altra decina. Un secondo attentatore suicida è stato
ucciso dalle guardie della sicurezza prima che si facesse esplodere. L’atto è stato
rivendicato dai Martiri di Al Aqsa, considerati vicini al partito Al Fatah del presidente
palestinese, Abu Mazen. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Maria Grazia
Enardu, docente di Storia delle relazioni internazionali in Medio Oriente presso
l’Università di Firenze: R.
- Questo è un attentato molto particolare, non solo perché statisticamente dopo un
periodo così lungo di fortuna qualcosa di molto sfortunato doveva accadere, ma perché
pare che sia rivendicato non da Hamas ma dall’ala militante di Al Aqsa, cioè da Fatah,
e anche, pare, dal Fronte di liberazione palestinese il cui capo storico è George
Abbash, morto pochi giorni fa.
D. - Quanto questo attentato può influire
sul già difficile cammino di pace israelo palestinese?
R.
- Molto, anche perché Dimona è un luogo molto simbolico in Israele. Dimona non è soltanto
il luogo dove c’è un reattore nucleare che produce armi atomiche e di Israele, è anche
una delle città del "ventre molle" di Israele: è una città di sviluppo, un po’ come
Sderot, cioè di immigrati di due diverse ondate, il cui reddito è abbastanza basso
e le condizioni economiche non sono un gran che. C’è anche voglia di colpire Israele
socialmente nei suoi luoghi più deboli, più indifesi.
D.
- Secondo lei, a questo punto, quale sarà la risposta di Israele?
R.
- Sarà una risposta molto difficile, perché una cosa è dichiarare avversario ufficiale
Hamas, una cosa è colpire due organizzazioni che sono parte, e grande, di Fatah e
dell’OLP intera. E dunque che potrebbero essere collegate in modo più o meno diretto
- ma questo è da discutere - con il presidente Abu Mazen.
Cisgiordania Due
attivisti palestinesi, membri del braccio armato della Jihad islamica radicale, sono
rimasti uccisi questa mattina nel villaggio di Qabatiya, nei pressi di Jenine, nel
nord della Cisgiordania in un conflitto a fuoco con soldati israeliani. Lo riferiscono
fonti mediche. Il numero dei morti, dalla ripresa dell'intifada a settembre, sale
così a 6.017, in maggioranza palestinesi, secondo una elaborazione dell'AFP.
Iraq Almeno
nove civili iracheni, tra cui un bambino, sono rimasti uccisi sabato scorso nel corso
di un’operazione delle forze americane contro estremisti di al Qaida, a sud di Baghdad.
Oggi, nel nord dell’Iraq aerei turchi hanno bombardato tre postazioni dei ribelli
curdi. Intanto, è stato annunciato che i negoziati per un accordo di amicizia e cooperazione
di lungo termine tra Iraq e Stati Uniti cominceranno nella terza settimana di febbraio.
La decisione è stata presa ieri sera nel corso di una riunione del Consiglio politico
per la sicurezza nazionale presieduta dal presidente Talabani. Il 26 novembre scorso,
il presidente americano, George W. Bush, e il premier iracheno, Nuri al Maliki, avevano
firmato in videoconferenza un documento con le linee guida dei negoziati, compreso
il punto della presenza delle truppe americane in Iraq.
Pakistan Almeno
5 morti e 25 feriti, di cui dieci in gravi condizioni, per l'attentato suicida avvenuto
questa mattina nella città pachistana di Awalpindi. L'attentatore si è lanciato contro
un bus sul quale viaggiavano degli studenti della scuola militare di medicina, nell'ora
di punta, in una zona tra le più trafficate. Negli ultimi sei mesi, a Rawalpindi ci
sono stati ben sette attentati kamikaze e proprio in questa città pakistana il 27
dicembre scorso è rimasta uccisa, in seguito ad un attentato, la leader dell'opposizione,
Benazir Bhutto.
Ciad Migliaia di civili stanno fuggendo dalla capitale
del Ciad, N'Djamena, approfittando di una tregua nei combattimenti, dopo che il ribelli
- al termine di due giorni di combattimenti - hanno annunciato di essersi ritirati
dalla città. Una versione, quest'ultima, diversa da quella fornita dalle truppe governative,
che affermano di aver respinto il loro attacco e di averli cacciati dalla capitale.
L'esodo da N'Djamena è confermato oggi anche dall'Alto commissariato dell'Onu per
i rifugiati (UNHCR), che cita funzionari del Camerun. Il ponte che collega la capitale
del Ciad alla città camerunense di Kusseri è stato riaperto nella giornata di ieri,
consentendo ai civili di fuggire ai combattimenti e di riparare nel Paese vicino.
Secondo Helene Caux, portavoce a Ginevra dell'UNHCR, che cita fonti camerunensi, i
ciadiani passano il confine ''a migliaia”.
Kenya Il sudafricano
Ciryl Ramaphosa ha deciso di abbandonare i negoziati in corso in Kenya, dove era giunto
appena ieri. Accusa il governo di non aver accettato, almeno di fatto, il suo ruolo
di mediatore. Lo rende noto un comunicato delle Nazioni Unite che precisa che il capo
dei mediatori, l'ex segretario generale dell'ONU, Kofi Annan, ha dovuto accettare
“con riluttanza” la decisione. E' - a parere unanime degli osservatori - un altro
durissimo colpo alla trattativa, anche perchè colpisce lo sforzo di mediazione della
superpotenza regionale, il Sudafrica, che aveva inviato una personalità di spicco.
Si cerca di risolvere la crisi in cui è sprofondato il Paese dopo i contestati risultati
elettorali e che ha provocato un migliaio di morti, quasi 300 mila sfollati, distruzioni
e violenze senza fine. Il capo dei mediatori è Kofi Annan che venerdì sera - al termine
di una giornata molto drammatica - aveva annunciato che le parti avevano concordato
una "road map" di pacificazione, che prevedeva entro 7-15 giorni la fine delle violenze,
la facilitazione della distribuzione degli aiuti umanitari e una prima intesa politica,
mentre un'intesa più globale in tal senso era prevista per fine anno. Ma lo scorso
fine settimana è stato tutt'altro che pacifico. Da venerdì notte a ieri sera si sono
contati almeno un centinaio di morti, quasi tutti nell'ovest, e centinaia di case
bruciate, tra blocchi stradali e violenze, mentre la gente, disperata, continua a
fuggire dopo aver perso tutto.
Oggi ultimo atto della crisi di governo
in Italia Il presidente incaricato, Franco Marini, ha ricevuto questa mattina
una dopo l’altra le delegazioni di Alleanza nazionale, Forza Italia e Partito Democratico.
Nel pomeriggio, i colloqui con i tre presidenti emeriti della Repubblica, Francesco
Cossiga, Oscar Luigi Scalfaro e Azeglio Ciampi. Silvio Berlusconi ribadisce la richiesta
di elezioni immediate. E Marini va ormai verso la rinuncia al mandato. Il servizio
di Giampiero Guadagni:
Sembra dunque chiuso il tentativo di Franco
Marini. La posizione di Forza Italia, annunciata da tempo, spinge di fatto il presidente
incaricato direttamente al Quirinale per rimettere il mandato nelle mani del Capo
dello Stato. Berlusconi, che ha confermato l’appuntamento di oggi nonostante il lutto
che lo ha colpito con la morte della madre, ha ribadito che la cosa migliore è andare
subito al voto perché serve un governo immediatamente operativo. Per il leader di
Forza Italia, sarebbe una dannosa perdita di tempo un governo per il referendum anche
perché, afferma, questa legge elettorale può dare ottimi risultati. Il dialogo può
aprirsi solo dopo il voto, ha detto Berlusconi, che ha definito una cosa non concreta,
un’utopia, l’ipotesi circolata in queste ore, e riportata dal Giornale, secondo la
quale il leader di Forza Italia avrebbe prospetatto ieri ai suoi fedelissimi un patto
elettorale con il segretario del Partito democratico (PD), Walter Veltroni: patto
fondato su alcuni precisi punti, con l’obiettivo di rilanciare l’Italia. E d’altra
parte il PD aveva subito espresso netta contrarietà all’ipotesi. Da Marini questa
mattina anche il presidente di Alleanza Nazionale, Gianfranco Fini, che ha confermato
l’urgenza di tornare elle urne, e rilanciato l’idea di una legislatura costituente
per mettere mano alle riforme. Proposta analoga a quella concordata nei giorni scorsi
da Berlusconi e dal leader UDC, Pierferdinando Casini. Per il quale, peraltro, l’accordo
bipartisan dovrebbe valere già durante la campagna elettorale, che, sottolinea, non
può essere soltanto una contrapposizione frontale.
Immigrazione Una
piccola imbarcazione con a bordo 31 extracomunitari è stata intercettata stamane intorno
alle 7.30 a mezzo miglio da Punta Sottile, dalla motovedetta 878 della Guardia costiera
di Lampedusa. Sullo scafo in legno, lungo sette metri, erano stipate 31 persone, di
cui 4 donne. L'imbarcazione è stata scortata al porto di Lampedusa e gli extracomunitari
sono stati trasferiti al Centro di accoglienza per le procedure di identificazione.
Secondo un primo esame, i clandestini sarebbero in buone condizioni di salute.
Gli
Stati Uniti alla vigilia del “super martedì” delle Primarie Alla vigilia del
"supermartedì", secondo i sondaggi, si amplia il distacco di Barack Obama, candidato
democratico alla Casa Bianca, sulla rivale Hillary Clinton in Stati importanti come
California e Missouri, mentre si conferma un testa a testa in New Jersey e grande
stacco in Georgia. In campo repubblicano, il senatore dell'Arizona, John McCain, consolida
il suo vantaggio su Mitt Romney sia a New York che nel New Jersey, anche se Romney
guadagna punti in California, lo Stato più popoloso nella sfida di domani.
Sri
Lanka Ancora un attentato oggi in Sri Lanka, giorno di festeggiamenti per il
60.mo anniversario dell'indipendenza dell'isola. Secondo una fonte militare, una potente
esplosione nel nord-est del Paese ha squassato un bus facendo dieci morti e molti
feriti. Si tratta del secondo attentato della giornata. Poco prima, un soldato era
stato ucciso e tre feriti dall'esplosione avvenuta sul ciglio di una strada nel sud
dell'isola. Secondo il Ministero della difesa, i due attentati portano la firma delle
Tigri tamil per la liberazione dell'Eelam (LTTE), i ribelli induisti che si battono
da tre decenni per l'indipendenza del nord e del nord est del Paese, popolato al 75%
da cingalesi buddisti.
Russia Gli osservatori dell'Organizzazione
per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) devono monitorare le elezioni
presidenziali russe del 2 marzo: lo chiede il candidato comunista, Ghennadi Ziuganov,
motivando l'appello con “la necessità di vedere cosa in realtà sta succedendo qui”.
Oggi, a Mosca, il presidente della commissione elettorale centrale, Ciurov, sta negoziando
con rappresentanti dell'Odihr (il dipartimento dell'OSCE che si occupa del monitoraggio
elettorale) le condizioni per gli osservatori dell'organizzazione. Argomento principale
del contendere è la durata della missione, che l'Odihr vorrebbe allungare per seguire
meglio la campagna. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 35 E'
possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del
Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
sito www.radiovaticana.org/italiano.