Dopo una pausa di oltre un anno, il terrorismo torna a colpire nel cuore di Israele.
Un kamikaze si è fatto esplodere nel centro commerciale di Dimona, nel Neghev, uccidendo
almeno due persone e ferendone un’altra decina. Un secondo attentatore suicida è stato
ucciso dalle guardie della sicurezza prima che si facesse esplodere. L’atto è stato
rivendicato dai Martiri di Al Aqsa, considerati vicini al partito Al Fatah del presidente
palestinese, Abu Mazen. Salvatore Sabatino ne ha parlato con Maria Grazia Enardu,
docente di Storia delle relazioni internazionali in Medio Oriente presso l’Università
di Firenze:
R. - Questo
è un attentato molto particolare, non solo perché statisticamente dopo un periodo
così lungo di fortuna qualcosa di molto sfortunato doveva accadere, ma perché pare
che sia rivendicato non da Hamas ma dall’ala militante di Al Aqsa, cioè da Fatah,
e anche, pare, dal Fronte di liberazione palestinese il cui capo storico è George
Abbash, morto pochi giorni fa.
D. - Quanto questo attentato può influire sul
già difficile cammino di pace israelo palestinese?
R. - Molto, anche perché
Dimona è un luogo molto simbolico in Israele. Dimona non è soltanto il luogo dove
c’è un reattore nucleare che produce armi atomiche e di Israele, è anche una delle
città del "ventre molle" di Israele: è una città di sviluppo, un po’ come Sderot,
cioè di immigrati di due diverse ondate, il cui reddito è abbastanza basso e le condizioni
economiche non sono un gran che. C’è anche voglia di colpire Israele socialmente nei
suoi luoghi più deboli, più indifesi.
D. - Secondo lei, a questo punto, quale
sarà la risposta di Israele?
R. - Sarà una risposta molto difficile, perché
una cosa è dichiarare avversario ufficiale Hamas, una cosa è colpire due organizzazioni
che sono parte, e grande, di Fatah e dell’OLP intera. E dunque che potrebbero essere
collegate in modo più o meno diretto - ma questo è da discutere - con il presidente
Abu Mazen.