2008-02-01 15:16:20

Donne kamikaze fanno strage in due mercati di Baghad: oltre 60 i morti


In Iraq dopo un periodo di relativa calma, confermato dalle stime delle autorità che registrano un netto calo delle vittime negli ultimi mesi, il terrorismo torna a colpire pesantemente nel centro di Baghdad. Almeno 63 persone sono rimaste uccise ed altre 100 ferite in due distinti attentati compiuti in successione da donne kamikaze in altrettanti mercati della capitale. I suq erano particolarmente affollati essendo il venerdì giornata festiva. Ma come vive la popolazione irachena di fronte alla continua violenza? Giada Aquilino lo ha chiesto a mons. Philip Najim, visitatore apostolico per i fedeli Caldei in Europa:RealAudioMP3


R.- Questi attentati, che attualmente avvengono a Baghdad, sono contro la popolazione irachena, che soffre da anni e che continua a soffrire. Quelli che realizzano questi attentati vogliono la divisione, la distruzione, la sofferenza e non vogliono arrivare ad una pace che regni su tutto il Paese, creando la normalità. Perciò, queste violenze rallentano il processo che l’Iraq deve compiere per inserirsi di nuovo nella comunità internazionale. Sono atti contro l’essere umano, contro tutto il popolo iracheno che soffre, siano essi cristiani o musulmani: perché le bombe, quando arrivano, non conoscono religione.

 
D. – Quanta paura c’è di circolare per le strade del Paese?

 
R. – Veramente tanta paura, perché non si sa cosa potrà accadere. Perciò tanta gente lascia Baghdad e il Paese.

 
D. – I rapimenti e le violenze che hanno colpito anche i cristiani cosa hanno generato in Iraq?

 
R. – I rapimenti continuano, come pure le richieste di riscatto a gente povera, che non ha soldi e deve fare il possibile per trovare il denaro. L’Iraq ha bisogno della pace e la pace è nelle mani della comunità internazionale.

 Medio Oriente E’ alta la tensione tra l’Egitto e Hamas dopo la ferma condanna del Cairo per la violazione della frontiera di Rafah avvenuta una settimana. Il Paese africano ha inoltre avvertito il movimento integralista che sarà ritenuto responsabile di un eventuale fallimento dei colloqui sulla crisi e che non permetterà più un’altra irruzione dei palestinesi in territorio egiziano. Sul terreno si registra, infine, l’arresto da parte dei servizi di sicurezza egiziani di 12 miliziani palestinesi nei pressi di Rafah, al confine tra Egitto e striscia di Gaza. Secondo fonti militari, i fermati erano in possesso di armi e munizioni che intendevano utilizzare in attentati contro israeliani nel Sinai.
 
Pakistan
Abu Laith al Libi, considerato da alcuni il numero tre di Al Qaida, è stato ucciso nell’attacco missilistico condotto nei giorni scorsi nel Pakistan nord-occidentale. Lo ha riferito un responsabile dei servizi segreti pachistani all'AFP. “Al Libi era sicuramente nell’edificio distrutto dal missile. Nessuno è sopravvissuto all'esplosione. Quindi noi pensiamo che sia stato ucciso”. Nel Paese asiatico è stato poi testato un missile a medio raggio a capacità nucleare alla presenza del presidente Pervez Musharraf che ha assicurato che l’arma nucleare non cadrà mai nelle mani delle forze integraliste.

Cina – formalizzato arresto dissidente Hu Jia
Le autorità cinesi hanno formalizzato oggi l'arresto del dissidente Hu Jia, che dovrà rispondere di “istigazione a sovvertire i poteri dello Stato”, secondo quanto riferito dal suo avvocato, Teng Biao. Hu Jia, con la moglie Zeng Jinyan, curava un blog di denuncia delle violazioni di diritti umani molto letto in Cina e all'estero. Il dissidente è stato arrestato il 27 dicembre scorso mentre la moglie, sebbene non sia stata formalmente accusata di reati, è di fatto agli arresti domiciliari di fatto. Hu Jia secondo il suo legale, rischia ora molti anni di carcere. Secondo gli attivisti dei diritti umani, l’arresto di Hu è stato deciso in vista delle Olimpiadi del 2008, per garantirne il sereno svolgimento.

Kenya
Questa mattina è giunto a Nairobi il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, per rilanciare i negoziati di pace e fare pressione sulle parti. Ban Ki-moon ha subito incontrato l’incaricato delle Nazioni Unite alla mediazione, Kofi Annan, il leader dell'opposizione Raila Odinga, e diversi esponenti della società civile. La situazione del Kenya ha occupato ieri l’intera giornata di apertura dei lavori del summit dell’Unione africana ad Addis Abeba, in Etiopia. A preoccupare i leader africani sono le conseguenze economiche e politiche della grave instabilità che ha coinvolto il Paese dopo le elezioni di dicembre. Ma l’intervento dell’UA nella gestione di queste crisi può realmente portare ad una loro soluzione? Stefano Leszczynski lo ha chiesto a Enrico Casale, africanista della rivista dei gesuiti Popoli:RealAudioMP3


R. – Non credo che da sola abbia la forza per raggiungere un risultato ma in collaborazione con le altre organizzazioni internazionali, può dare un contributo alla mediazione, come dimostra il fatto che lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite ha espresso la volontà di mediare tra i due leader politici keniani.

 
D. – Si può dire che alle Nazioni Unite, in ambiente internazionale, si tema per il Kenya, quello che è già successo in passato ad esempio per il Rwanda?

 
R. – C’è certamente un rischio di scontro tra i fini; è quindi un possibile genocidio anche se lì ci sono anche altre ragioni per cui è necessario che il Kenya rimanga un Paese stabile. Ci sono ragioni legate agli interessi degli Stati Uniti che vogliono un Kenya stabile perché fondamentalmente è la loro base di appoggio per le operazioni verso l’Africa orientale. I Paesi confinanti hanno bisogno del Kenya come sbocco verso il mare e anche dell’Europa perché il Kenya per l’Europa è uno dei massimi fornitori di prodotti ortofrutticoli. Questo interesse può portare, può spingere ad una mediazione e può spingere verso una soluzione della crisi.

Mauritania – attacco ambasciata israeliana
Un gruppo di integralisti armati la scorsa notte ha assaltato a colpi di arma da fuoco l’ambasciata israeliana di Nouakchott, capitale della Mauritania. Il gruppo ha sparato contro le guardie e contro un locale pubblico vicino all’ambasciata. Secondo quanto riferito dall'ambasciatore di Israele in Mauritania non ci sono feriti nello staff dell'ambasciata. Diverse persone che si trovavano davanti al locale sono state invece colpite; fra queste, anche una donna francese che è stata portata in ospedale. Un portavoce del ministro degli Esteri israeliano ha definito l’attacco ''un atto di terrorismo'', sottolineando che la Mauritania è uno dei pochi Paesi arabi che intrattiene rapporti diplomatici con lo Stato ebraico.

Ciad
E rischia di precipitare la situazione anche in Ciad. Combattimenti sono in corso a Massaguet, 50 chilometri a nord-est della capitale N’Djamena, tra l’esercito regolare e una colonna di ribelli ciadiani provenienti dal vicino Sudan. Il centro sarebbe ora finito sotto il controllo dei ribelli. L’esercito, agli ordini del presidente Idriss Deby, era stato schierato già da ieri alle porte della capitale. E a causa dei violenti scontri di questi giorni l'Unione Europea ha rinviato il dispiegamento di truppe ed equipaggiamento destinati al Paese africano che doveva avvenire oggi. L'operazione militare, denominata EUFOR, ha l'obiettivo di proteggere i rifugiati provenienti dalla regione del Darfur e dalla vicina Repubblica Centrale Africana.

Italia
Secondo giorno di consultazioni del presidente incaricato Franco Marini. Dopo aver incontrato ieri i partiti minori, oggi sarà la volta di Verdi, Comunisti italiani, Italia dei valori, Rifondazione comunista, Partito socialista e UDC. Ma per la formazione del nuovo governo i margini sono ancora molto stretti. Servizio di Giampiero Guadagni:RealAudioMP3

 
La vera novità delle ultime ore è la proposta del ministro degli Esteri D’Alema: votare in aprile i referendum elettorali, recentemente ammessi dalla Corte Costituzionale, e dopo qualche mese sciogliere le Camere e andare alle urne. D’Alema conta sul fatto che molti partiti, a cominciare da Alleanza nazionale fino a spezzoni del Partito Democratico, si erano impegnati a raccogliere firme per i referendum. Ma la strada non sembra praticabile. Un no secco è arrivato dal principale destinatario della proposta, Gianfranco Fini, che anzi prevede il voto politico tra il 6 e il 13 aprile. La proposta non fa breccia neppure tra molti alleati di centrosinistra. Questi appoggiano comunque il tentativo di Franco Marini,  anche se prevale lo scetticismo. Questa mattina Comunisti italiani e Verdi hanno ribadito a Marini la loro indisponibilità ad un cambio di maggioranza. Mentre per il presidente della Camera Bertinotti ormai la legislatura è politicamente finita e all’inevitabile voto la sinistra deve arrivare con un soggetto politico unico. Sull’altro fronte, l’UDC ha confermato al presidente incaricato il sì ad una legge elettorale proporzionale alla tedesca, ma non intende in nessuna forma sostenere un governo con il centrosinistra. In dissenso dalla linea di Casini, Baccini e Tabacci hanno lasciato l’UDC, lavorano alla nascita di una forza di centro, alternativa ai due schieramenti. E intanto offrono sostegno a Marini. Un possibile spiraglio. Ma il presidente incaricato è dichiaratamente alla ricerca di un consenso politico ampio. Suo obiettivo non è dunque quello di avere garantiti un paio di voti in più che gli consentano magari di ottenere la fiducia in Parlamento; quanto quello di coinvolgere e convincere Forza Italia a condividere la riforma elettorale, offrendo una data certa e ravvicinata per le elezioni. (Per la Radio Vaticana, Giampiero Guadagni)

Serbia
Una visita lampo in Kosovo e un comizio in piazza a Belgrado. Così, in Serbia, il capo di Stato uscente Tadic ha concluso ieri la sua campagna elettorale in vista del ballottaggio presidenziale che domenica lo opporrà all'ultranazionalista Nikolic. Anche quest’ultimo si è stretto ai suoi sostenitori. Secondo i sondaggi la sfida tra i due leader, che chiamerà alle urne 6,7 milioni di serbi, si risolverà per una manciata di voti. Per la cronaca delle ultime ore della campagna elettorale ascoltiamo il servizio di Giuseppe Briguglio:RealAudioMP3


Tadic, dopo una visita lampo in un’enclave serba in Kosovo, si è presentato nel pomeriggio sul grande palco montato in Piazza della Repubblica e, di fronte ai suoi sostenitori, ha delineato il suo programma. Una rapida e decisa modernizzazione del Paese, un nuovo impulso al processo di integrazione all’Unione Europea ed una strenua difesa del Kosovo, culla della cultura serba, rigettando però ogni ricorso alle armi. Nikolic ha parlato invece in un palazzetto dello sport strapieno di simpatizzanti, ha criticato l’Unione Europea ed i suoi burocrati, troppi attenti, secondo lui, alla stabilità finanziaria e poco, invece, alla libertà dei popoli europei. Di seguito, ha dichiarato che la Serbia, di cui sarà presidente, sarà una nazione multietnica, dove tutte le minoranze avranno garantiti i propri diritti, anche gli albanesi del Kosovo. Nessuno dei due però è riuscito ad ottenere l’appoggio esplicito dei candidati sconfitti al primo turno che hanno lasciato libertà di coscienza ai propri elettori; ciò rende ancora più imprevedibile il risultato di domenica e il futuro prossimo della più grande delle ex repubbliche jugoslave. (Da Belgrado, per la Radio Vaticana, Giuseppe Briguglio)

 
Pena di morte
La corte suprema degli Stati Uniti ha sospeso una condanna a morte in programma per oggi in Alabama. L’esecuzione si sarebbe tenuta in deroga alla moratoria decretata quattro mesi fa, in attesa della sentenza della stessa Corte sulla costituzionalità dell'iniezione letale. In Giappone, invece, sono state eseguite le prime condanne a morte del 2008. Il Paese asiatico nel 2007 ha ripreso le esecuzioni per impiccagione dopo una moratoria de facto applicata per quindici mesi. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Chiara Calace)



Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LII no. 32

 

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