Colombia: si chiude l'assemblea dell'Episcopato dedicata alle conseguenze della guerra
sulle donne
Si chiudono oggi, in Colombia, i lavori della 94.ma Assemblea plenaria colombiana
che ha affrontato, in particolare, le terribili conseguenze del conflitto armato interno
per le donne. “E’ una situazione – ha sottolineato l’arcivescovo di Ibagué, mons.
Flavio Calle Zapata - che può essere definita con due parole: dolore e sfruttamento”
e perciò - ha aggiunto - “si deve ulteriormente incrementare ogni tipo di sforzo
per accompagnare le donne nel loro percorso di recupero della loro dignità e della
insostituibile missione alla quale sono state chiamate da Dio”. Mons. Héctor Fabio
Henao Gaviria, direttore del segretariato episcopale per la Pastorale sociale nel
suo intervento ha rilevato poi la gravità dell’impoverimento che le donne hanno subito
nel contesto del conflitto interno. “Gran parte degli sfollati - ha precisato - sono
donne e spesso, oltre a dover fuggire con i figli dalle violenze, devono assumere
anche il ruolo di capo famiglia in terre e ambienti sconosciuti e ostili”. Ribadendo
quanto già avevano detto altri vescovi, mons. Henao Gaviria, ha però sottolineato
che “è proprio la donna colombiana la più grande speranza per la pace e la riconciliazione”.
I lavori della Conferenza episcopale colombiana si erano aperti lo scorso 28 gennaio,
con un’articolata relazione del vescovo di Tunja, mons. Luis Augusto Castro Quiroga,
dedicata al ruolo e alla missione della donna nella Chiesa e nella società. Nei giorni
scorsi, tra l’altro, i presuli hanno ascoltato diverse esperte che hanno offerto loro
un’ampia panoramica della realtà femminile nel mondo e in America Latina e hanno potuto
discutere sui dati concreti per individuare, come sarà indicato nel Messaggio conclusivo
che sarà pubblicato domani, le insidie e le prospettive che possono arricchire una
pastorale più incisiva. Intanto, ieri, il segretario dell’episcopato, il vescovo emerito
di Florencia, mons. Fabián Marulanda López, ha precisato che le manifestazioni che
si terranno il 4 febbraio in centinaia di città del mondo “contro i sequestri e per
la liberazione di tutti gli ostaggi” non “devono essere interpretate come una manifestazione
politica bensì come una condanna e rifiuto di un crimine orrendo”. Il presule, in
concreto si riferiva alla rete di cittadini di diversi Paesi del mondo che ha convocato
per il 4 febbraio prossimo ad una mobilitazione mondiale contro il sequestro. La rete
che promuove quest'iniziativa non è legata a nessuna organizzazione politica, religiosa,
partitica o di altra natura. Il suo è un messaggio che si rivolge a tutti, in particolare,
a coloro che rifiutano ogni tipo di violenza, credono e difendono la dignità della
persona e ritengono che il sequestro sia una delle più odiose forme di violenza paragonabile
al terrorismo. (A cura di Luis Badilla)