2008-01-28 15:14:56

Nuove violenze in Kenya: decine le vittime


Sembra non esserci tregua per il Kenya, percorso da sanguinosi scontri tra sostenitori del presidente Kibaki e seguaci del leader dell’opposizione, Odinga, scoppiati dopo le elezioni del 27 dicembre che hanno riconfermato al potere il capo dello Stato. A fianco dei contrasti politici, anche le rivalità etniche tra Kikuyu, a cui appartiene Kibaki, e Luo, base elettorale di Odinga. Almeno 13 persone sono morte la scorsa notte nelle città di Nakuru e Naivasha, nella Rift Valley. Le vittime si sommano alle altre 64, i cui corpi straziati sono stati portati all’ospedale di Nakaru. Il bilancio provvisorio delle violenze supera ormai gli 800 morti: tra questi, anche padre Michael Kamau Ithondeka, vice rettore del seminario Mathias Mulumba di Tindinyo, ucciso sabato scorso proprio nella Rift Valley. Il rettore dell’istituto, padre Dominic Kimemgiph, all’Agenzia Fides ricorda il religioso assassinato come “un bravo insegnante, che desiderava trasmettere ai suoi studenti” la conoscenza delle Sacre Scritture. Sulla situazione oggi in Kenya, Giada Aquilino ha raggiunto telefonicamente a Nairobi il padre comboniano Renato Kizito Sesana, da 20 anni nel Paese africano:RealAudioMP3


R. – In Kenya, come in tutta l’Africa, l’appartenenza etnica è importante. Qui, però, non è mai arrivata ad un punto tale da diventare una forma di sopraffazione verso gli altri. Devo anche dire che, negli ultimi due anni, l’opposizione ha lavorato molto sulla questione etnica, ripetendo continuamente alla gente questa frase: “E’ arrivato il nostro turno. Dopo i Kikuyu, che sono stati al potere con il primo e il secondo presidente, adesso è il nostro turno, è il turno dei Luo”. In realtà, poi, questa identificazione etnica è molto artificiosa e fasulla, tanto più che la vera divisione in Kenya non è fra i Luo ed i Kikuyu, ma fra ricchi e poveri.

 
D. – In base a quali dinamiche c’è tale divisione fra ricchi e poveri?

 
R. – C’è un Paese che dall’indipendenza ad oggi ha sempre seguito una politica capitalistica e di libero mercato. I due contendenti appartengono a due fra le famiglie più ricche del Kenya. In questi giorni hanno purtroppo ottenuto il risultato di far sì che i poveri si uccidessero a vicenda, a loro nome.

 
D. – Quali sono oggi le ricchezze del Kenya?

 
R. – Il the, il caffè e il turismo, ma soprattutto la vera ricchezza è la gente. Il Kenya ha una serie di università che sfornano intorno ai 10-15 mila laureati ogni anno ed è diventato un polo di tecnologia informatica. La ricchezza del Kenya è stata pure la stabilità del Paese, con Nairobi che è divenuta in questi anni il centro commerciale più importante di tutta la zona, ma anche il centro per gli aiuti umanitari per i Paesi vicini. Non dimentichiamo che, a parte la Tanzania, tutti i Paesi confinanti col Kenya (Somalia, Etiopia, Sudan, Uganda) sono stati coinvolti in guerre, in disastri e in calamità di vario genere.

 
D. – E invece l’altro Kenya?

 
R. – E’ quello povero. La maggioranza degli immigrati nelle città è accorsa per realizzare il sogno di una vita migliore e si trova invece in ghetti, dai quali non si riesce ad uscire.

 
D. – Qual è la speranza della Chiesa per il Kenya?

 
R. - Coloro che hanno fatto le manifestazioni e causato i morti rappresentano una percentuale minima della popolazione del Kenya. La maggioranza della popolazione resta profondamente buona. Sono, quindi, sicuro che sarà questa gente a rappresentare la base da cui partire per la ricostruzione della società civile nel Paese.







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