Nella Giornata della Memoria delle vittime dell’Olocausto, l’ONU esorta a non dimenticare
l’orrore dello sterminio nazista e a sconfiggere la piaga dell’intolleranza
“A coloro che ancora oggi sostengono che l’Olocausto non sia mai esistito, o che ne
sia stata amplificata la portata”, si deve rispondere ribadendo la determinazione
ad “onorare la memoria di uomini, donne e bambini, innocenti, uccisi per mano dei
nazisti e dei loro complici”. E’ quanto si legge nel messaggio del segretario generale
dell’ONU, Ban Ki-moon, per l’odierna Giornata mondiale in memoria delle vittime dell’Olocausto.
Questa ricorrenza cade nell’ambito delle commemorazioni del 60.mo anniversario della
Dichiarazione universale dei diritti umani, il primo documento globale a sancire la
dignità e l’uguaglianza di tutti gli esseri umani. Il servizio di Amedeo Lomonaco: (Musica)
Orrori
non vissuti in prima persona, drammi apparentemente lontani non devono indebolirsi,
smarrirsi nella quotidianità e riproporsi in disumane tesi antisemite. Ci sono testimonianze,
quelle dei sopravvissuti dell’Olocausto, che devono riflettersi in ogni tempo per
divenire un monito indelebile per l’umanità. Sulla tragedia vissuta dagli ebrei negli
anni della Seconda guerra mondiale, ecco la testimonianza rilasciata alla nostra emittente
- al rotocalco ‘Radiodomenica’ - dal rabbino capo emerito di Roma, Elio
Toaff:
“Io per molti anni mi sono svegliato tremando,
perché rivivevo quello che era successo. Quindi, ero veramente angosciato perché non
avevo nessuna voglia di ricordare, ma tutte le notti, per dieci anni, me le sono riviste
davanti agli occhi, quelle scene tremende cui avevo assistito”.
Riapriamo
la drammatica pagina dell’arrivo ad Auschwitz con il ricordo dell’ebreo italiano,
Nedo Fiano:
“Siamo scesi giù
come tanti sacchi di cemento, incolonnati. La mamma ha capito che andavamo lì a morire
e ha detto: Nedo, Nedo, Nedo! Abbracciami, Non ci vedremo mai più! E così è andata”.
Ma
non basta ricordare, onorare e piangere le vittime dell’odio nazista: il segretario
generale delle Nazioni Unite sottolinea che si deve educare a rispettare la vita:
si deve infondere il rispetto per la diversità – si legge nel messaggio di Ban Ki-moon
- prima che si radichi l’intolleranza. Alla memoria, che lo scorrere del tempo potrebbe
affievolire ma non cancellare, si deve associare la conoscenza storica per evitare
che l’umanità del Terzo millennio possa conoscere ancora orrori simili a quelli avvenuti
nei campi di sterminio nazisti. Liliana Picciotto, storica del
Centro di Documentazione ebraica contemporanea:
“Io come storica,
mentre sono capace di dire cosa è accaduto, non sono mai riuscita a dare un senso
a quello che è avvenuto. Si capisce benissimo che cosa sia successo, ma non il perché.
Anche oggi in certi frangenti, in certi ambienti, l’irrazionalità ancora trionfa.
Se andiamo a leggere i libri di storia di certi Paesi, dove ancora ci sono regimi
antidemocratici, possiamo notare, purtroppo, che la storia è sempre quella. Bisogna
cominciare dall’infanzia a divulgare idee di amicizia, di solidarietà verso l’altro”.
Ci
sono state persone che hanno detto ‘no’ alla violenza, all’intolleranza e al terrore
di quegli anni salvando la vita di molti che erano perseguitati. Tra queste c’è anche
mons. Beniamino Schivo, già insignito del titolo di “Giusto tra
le genti”, che giovedì scorso ha ricevuto al Quirinale la medaglia d’oro al merito
civile durante la cerimonia di celebrazione del “Giorno della Memoria”. Ripercorriamo
con mons. Schivo quegli anni e la sua storia, indissolubilmente legata con quella
di una famiglia ebrea.
“Una famiglia venne a Città di Castello e io
mi adoperai per trovare loro un nascondiglio. Come potevo rifiutarmi? Mi sembrava
doveroso. E mi venne in mente una casa che hanno le nostre suore in alta montagna,
in un luogo molto isolato. In primavera cominciò poi la caccia ai partigiani, che
si nascondevano sui monti, e allora diventava pericoloso restare in quella casa. La
famiglia venne quindi in seminario e tutti poterono trascorrere il periodo più acuto
della guerra abbastanza tranquillamente, aiutati da tanta brava gente. Poi, arrivarono
gli Alleati e la vita riprese normalmente”.
Il silenzio
e la preghiera hanno dominato il 28 maggio del 2006 la visita di Benedetto XVI al
campo di sterminio nazista di Auschwitz. “Con la distruzione d’Israele – aveva detto
il Papa – si voleva in fin dei conti strappare anche la radice, su cui si basa la
fede cristiana”:
“I potentati del Terzo Reich
volevano schiacciare il popolo ebraico nella sua totalità; eliminarlo dall'elenco
dei popoli della terra. Allora le parole del Salmo: ‘Siamo messi a morte, stimati
come pecore da macello’ si verificarono in modo terribile. In fondo, quei criminali
violenti, con l'annientamento di questo popolo, intendevano uccidere quel Dio che
chiamò Abramo, che parlando sul Sinai stabilì i criteri orientativi dell'umanità che
restano validi in eterno”. Gli insegnamenti drammatici dell’Olocausto
devono dunque continuare ad essere trasmessi alle future generazioni: “Se comprendere
è impossibile – diceva Primo Levi - conoscere è necessario perché ciò che è accaduto
può ritornare”.