2008-01-27 13:44:26

Accanto ai malati di AIDS della Tailandia per ridonare loro speranza nella vita: la testimonianza del missionario camilliano Giovanni Contarin


Creare un ambiente familiare per quanti, a causa del virus HIV, sono abbandonati e discriminati: con questo spirito, nel 1996, è nato il Centro Camilliano di Rayong a 200 chilometri da Bangkok. Animatore di questa straordinaria iniziativa è padre Giovanni Contarin, che, raggiunto telefonicamente in Tailandia da Alessandro Gisotti, racconta i primi passi della sua esperienza con i malati di AIDS:RealAudioMP3
 
(Musica)

 
R. – Qui in Tailandia, la questione AIDS è stata tenuta nascosta per diversi anni, rispetto all’Occidente. Mi sono detto: questo è proprio il mio lavoro! Ho desiderato incontrare questi malati e nei primi sei mesi sono stato a lavorare in un ospedale nazionale per malattie infettive, dove c’erano una trentina di posti letto per questi malati. Lì ho trovato diversi malati con i quali ho stretto veramente un rapporto umano e ho cominciato a capire che cosa significa l’AIDS, cosa significa essere abbandonati, sentirsi rifiutati. Questo mi ha permesso di creare dei rapporti bellissimi con alcune persone, uno in particolare, che poi si è convertito con il nome di Camillo. Camillo è morto, ma sono stato al suo fianco per circa 5 anni e con lui abbiamo fatto molte cose.

 
D. - Quali sono le principali difficoltà che affrontano questi malati?

 
R. - Abbiamo fatto dei grandi progressi in Tailandia in questi 15 anni, in termini di attitudine positiva. Ci siamo impegnati a organizzare delle associazioni e far sentire la voce di questi malati, la voce dei bambini, delle donne, la voce di chi non ha fatto niente di male. Ci siamo concentrati su questi gruppi per poter cambiare la mentalità. Si era convinti che un malato di AIDS, per mille ragioni, dovesse sempre essere cattivo. Abbiamo dovuto lottare per un cambiamento di mentalità e siamo riusciti a fare moltissimo proprio con la collaborazione piena dei nostri bambini e delle donne.

 
D. - C’è una storia che in un certo modo può racchiudere, raccogliere, tutta la sua esperienza in Tailandia?

 
R. - C’è la storia di una bambina che oggi è una donna, ha vent’anni, ed è la primissima bambina che ho cominciato a curare con gli antiretrovirali che prendevo dalla Svizzera o dall’India. Con questi medicinali siamo riusciti ad aiutare il primo gruppo di bambini e questa bambina che allora aveva 10 anni. Era ridotta a pelle e ossa, aveva la tubercolosi, altre infezioni. Grazie a questi medicinali, che siamo riusciti a trasportare in maniera nascosta, è riuscita a riprendersi. Abbiamo fatto una scuola interna per lei. Oggi sta terminando le scuole professionali di segretaria di azienda ed è una donna bellissima! Dieci anni di storia, di lotta per un’attitudine positiva, un’accettazione, e lei è un po’ il segno di questi ultimi miei dieci anni di impegno nel campo dell’AIDS.
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