Mons. Guido Marini: nella Messa dei Battesimi alla Cappella Sistina, il Papa non ha
"voltato le spalle" ai fedeli, ma si è orientato con loro a Cristo: non c'è abbandono
della riforma liturgica conciliare
Domenica scorsa, la celebrazione dei battesimi nella Sistina da parte di Benedetto
XVI ha avuto uno svolgimento liturgico diverso dal consueto, per via dell'utilizzo
dell'antico altare della Cappella, che ha visto il Papa in alcuni momenti del rito
voltare le spalle all'assemblea. Una nota dell'Ufficio delle celebrazioni pontificie
aveva anticipato e spiegato questa variante, prevista dall'attuale normativa liturgica,
e tuttavia - specie a livello mediatico - la scelta è stata un po' frettolosamente
definita come "pre-conciliare". Fabio Colagrande ha chiesto al maestro delle
Celebrazioni liturgiche pontificie, don Guido Marini, l'esatta interpretazione
di quei gesti:
R. -
Credo sia importante, anzitutto, considerare l’orientamento che la celebrazione liturgica
è chiamata sempre ad avere: mi riferisco alla centralità del Signore, il Salvatore
crocifisso e risorto da morte. Tale orientamento deve determinare la disposizione
interiore di tutta l’assemblea e, di conseguenza, anche la modalità celebrativa esteriore.
La collocazione della croce sull’altare al centro dell’assemblea ha la capacità di
trasmettere questo fondamentale contenuto di teologia liturgica. Si possono, poi,
verificare particolari circostanze nelle quali, a motivo delle condizioni artistiche
del luogo sacro e della sua singolare bellezza e armonia, divenga auspicabile celebrare
all’altare antico, dove tra l’altro si conserva l’esatto orientamento della celebrazione
liturgica. Nella Cappella Sistina, per la celebrazione dei battesimi, è avvenuto esattamente
questo. Si tratta di una prassi consentita dalla normativa liturgica, in sintonia
con la riforma conciliare.
D. - L’opinione pubblica
è molto colpita da questo gesto che, in parte, il Papa ha compiuto in occasione della
festa del Battesimo del Signore: dare le spalle all’assemblea. C’è chi legge in questo
gesto un ritorno al passato, addirittura una chiusura del celebrante nei confronti
dell’assemblea. Vuole invece spiegarci qual è il significato vero di questo gesto
liturgico?
R. - Nelle circostanze in cui la celebrazione
avviene secondo questa modalità, non si tratta tanto di volgere le spalle ai fedeli,
quanto piuttosto di orientarsi insieme ai fedeli verso il Signore. Da questo punto
di vista “non si chiude la porta all’assemblea”, ma “si apre la porta all’assemblea”
conducendola al Signore. Nella liturgia eucaristica non ci si guarda, ma si guarda
a Colui che è il nostro Oriente, il Salvatore. Penso che sia anche importante ricordare
che il tempo in cui il celebrante, in questi casi, “volge le spalle ai fedeli” è relativamente
breve: l’intera Liturgia della Parola avviene, come di consueto, con il celebrante
rivolto verso l’assemblea, indicando così il dialogo della salvezza che Dio intreccia
con il suo popolo. Dunque, nessun ritorno al passato, ma il recupero di una modalità
celebrativa che in nulla mette in discussione gli insegnamenti e le indicazioni del
Concilio Vaticano II.
D. - Mons. Marini, c’è stato
chi, sulla scia del dibattito che ha seguito la pubblicazione del Motu proprio Summorum
pontificum, ha letto in alcuni gesti di Benedetto XVI la volontà di abbandonare
la riforma liturgica conciliare. Cosa risponde a questo genere di illazioni?
R.
- Sono sicuramente illazioni e interpretazioni non corrette, sia del Motu proprio
che di tutto il magistero di Benedetto XVI in ambito liturgico. La liturgia della
Chiesa, come d’altronde tutta la sua vita, è fatta di continuità: parlerei di sviluppo
nella continuità. Ciò significa che la Chiesa procede nel suo cammino storico senza
perdere di vista le proprie radici e la propria viva tradizione: questo può esigere,
in alcuni casi, anche il recupero di elementi preziosi e importanti che lungo il percorso
sono stati smarriti, dimenticati e che il trascorrere del tempo ha reso meno luminosi
nel loro significato autentico. Mi pare che il Motu proprio vada proprio in questa
direzione: riaffermando con molta chiarezza che nella vita liturgica della Chiesa
c’è continuità, senza rottura. Non si deve parlare, dunque, di un ritorno al passato,
ma di un vero arricchimento per il presente, in vista del domani.