"Una grande sconfitta della cultura": così mons. Ravasi sulla vicenda della mancata
visita del Papa alla Sapienza
"Una pagina nera della storia della cultura": con queste parole mons. Gianfranco
Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, definisce la vicenda
che ha portato all'annullamento della visita del Papa all'Università romana della
Sapienza. Il presule, parlando della vittoria del "fondamentalismo culturale" di una
minoranza, ha espresso la speranza che la maggioranza reclami la necessità del confronto
e del dialogo. Ascoltiamo mons. Ravasi al microfono di Giovanni Peduto:
R.
– Questa vicenda merita sicuramente anche un giudizio dal punto di vista strettamente
culturale, prescindendo proprio dalla figura in questione, che è la figura del Santo
Padre, una figura quindi di grande profilo religioso. Infatti, secondo me, questa
vicenda ha nel suo interno, segnala e scandisce, una grande sconfitta della cultura.
La cultura di sua natura è fatta di incontro e di dialogo, che può anche supporre
ad un certo momento la dissonanza, la differenza delle prospettive, ma che non può
mai essere definito come culturale quando esplode e diventa mera negazione, quando
diventa mero rifiuto, senza la possibilità, appunto, di un incontro. In questo caso
abbiamo, quindi, da un lato una sorta di fondamentalismo culturale che si è manifestato
con questa negazione di principio – quasi – dell’ascolto e dell’incontro; dall’altra
parte direi che è veramente insensato che il mondo della cultura non consideri anche
il discorso religioso, il discorso teologico o il discorso in senso lato ed anche
spirituale che ha condizionato ed ha arricchito per secoli tutta la vicenda dell’Occidente,
ma anche la vicenda universale e che non la voglia assolutamente mettere nell’interno
del proprio orizzonte, considerandolo come qualcosa del tutto estraneo. In questa
luce, direi, che queste due dimensioni e quindi da una parte proprio l’incapacità
dell’ascolto e dell’incontro e quindi il semplice rigetto; e dall’altra parte il non
considerare il fenomeno religioso e il fenomeno spirituale come una componente rilevante
della cultura, ha fatto sì che questa vicenda sia ora una pagina nera all’interno
non tanto del discorso dei rapporti con la religione, ma sia una pagina nera della
storia della cultura.
D. – Quali sviluppi - lei
prevede – per il futuro, dopo tutto quello che è accaduto?
R.
– Questa è indubbiamente una ferita che si è creata soprattutto per quanti vogliono
il confronto, vogliono il serio dialogo, vogliono la capacità di avere anche voci
diverse che sanno però entrare in confronto diretto, immediato ed anche vario. Tutto
questo probabilmente si arresterà e sarà come un peso, un macigno sulla strada. Dovremmo
ritornare all’inizio, tenendo conto però di un fatto che non è sottolineato a sufficienza:
questo rifiuto è stato marcato da una minoranza. Una minoranza - e certamente questo
lo si è ripetuto – di docenti, ma anche degli stessi fruitori dell’università, perché
questo gruppo di studenti, cresciuto ed accresciuto anche artificiosamente con presenze
esterne, non rappresenta il desiderio di conoscenza anche da parte di studenti e di
docenti, che non sono credenti, ma che vogliono sempre guardare al di là della loro
siepe e vedere questo mondo. Mai come in questo tempo, per esempio, c’è stata una
crescita della produzione di tipo editoriale religioso. Questo vuol dire che i confronti
interessano. Noi speriamo che proprio questa autentica base continui a reclamare la
necessità degli incontri, la necessità del confronto e del dialogo. Questo è sicuramente
il futuro in cui dobbiamo sperare, dopo questa tappa così nuvolosa e così tenebrosa.