Il direttore dell'Osservatore Romano, Gian Maria Vian, ricorda a vent'anni dalla morte,
Raimondo Manzini, alla guida del quotidiano vaticano dal 1960 al 1978
Sono passati 20 anni dalla morte di Raimondo Manzini, grande giornalista cattolico
che ha diretto “L’Osservatore Romano” dal 1960 al 1978. La sua storia è segnata da
una profonda fede e dalla passione per il giornalismo: nel 1918, fonda con alcuni
compagni un periodico scolastico. A 27 anni è poi nominato direttore del quotidiano
cattolico bolognese "Il Carroccio", dove passa ore in ginocchio davanti al Santissimo
Sacramento. Nel 1960, è chiamato da Giovanni XXIII alla guida dell'Osservatore Romano.
Oggi, Raimondo Manzini resta un esempio da seguire per coniugare lo spessore giornalistico
ad una radicata fede cristiana. E’ quanto sottolinea, al microfono di Amedeo Lomonaco,
il direttore del quotidiano “L’Osservatore Romano”, Gian Maria Vian:
R. -
E’ stata una figura assolutamente esemplare, sia come giornalista sia come cristiano.
E’ stato, tra l’altro, anche un esponente di primo piano del mondo cattolico impegnato
in politica, perché fu tra i fondatori della Democrazia Cristiana emiliana e poi -
eletto deputato alla Costituzione - fu confermato per tutte le legislature, finché
Giovanni XXIII non lo chiamò alla guida del giornale vaticano.
D.
- L’impronta di Manzini la possiamo quindi scorgere non solo nella storia dell’Osservatore
Romano e di altri quotidiani cattolici, ma anche in quella della Democrazia Cristiana.
Quali tracce restano oggi di questo suo prezioso impegno, sempre assicurato alla luce
del Vangelo?
R. - Restano il suo insegnamento e la
sua testimonianza. La testimonianza di un uomo disinteressato, di un professionista
appassionato che sapeva confrontarsi con tutti e con grande finezza. Questa finezza
cristiana è certamente uno dei tratti che più colpiscono in Manzini. Io lo ricordo
bene, anche se ero molto giovane allora, quando ho cominciato a scrivere per L’Osservatore
Romano.
D. - E restare “voce fede e testuale del
Papa”, come scriveva Raimondo Manzini, è una delle caratteristiche fondamentali della
carta di identità dell’Osservatore Romano. Come si traduce oggi questo impegno e a
quali nuove sfide è chiamato il quotidiano della Santa Sede?
R.
- Il quotidiano resta, come naturalmente ai tempi di Manzini e dei suoi successori,
il giornale del Papa con un respiro internazionale e con una volontà di confrontarsi
con tutti nel dibattito culturale e nell’informazione più in generale, oltre che religiosa.
D. - Quale lezione possiamo trarre dalle grandi
firme del giornalismo cattolico?
R. - Una lezione
di professionalità, anzitutto. I giornalisti cattolici sono, come dovrebbero essere
tutti gli altri giornalisti e come dovremmo essere tutti, appassionati della verità.