Dal Papa per la visita "ad Limina" i vescovi latini delle regioni arabe. Intervista
con il patriarca di Gerusalemme, Michel Sabbah
I vescovi latini delle regioni arabe, appartenenti all’omonima Conferenza (CELRA),
sono da oggi a sabato prossimo in visita ad Limina in Vaticano. Benedetto XVI
ne ha ricevuti questa mattina un primo gruppo, guidato dal Patriarca di Gerusalemme
dei latini, mons. Michel Sabbah. Si tratta di pastori che operano in terre dove i
cristiani che vi risiedono - raccolti in comunità poco consistenti specie se raffrontate
a quelle musulmane - devono confrontarsi ogni giorno con realtà difficili, fatte di
annosi conflitti e gravi crisi umanitarie. Ma anche dove il cristianesimo conserva
le radici più sacre e antiche del suo messaggio di speranza. Con la sua scheda, Alessandro
De Carolis fa il punto sulla realtà ecclesiale di questa composita area del pianeta:
Israele
e Palestina, Iraq e Arabia, Somalia e Corno d’Africa: come dire, le terre dove affondano
le radici della religiosità mondiale e le terre da dove emergono le tensioni più delicate
dell’attuale scacchiere geopolitico. Terre “sante” della storia e terre insanguinate
della cronaca, dove la Chiesa è nata, vive in minoranza, si confronta con la preponderanza
dell’islam. Queste Chiese sono ora da Benedetto XVI con il loro carico di esperienze
pastorali, di difficoltà ambientali, di attese per un presente e un futuro che il
Papa, come nel recente discorso al Corpo diplomatico, dimostra di mantenere sempre
in grande considerazione. La diocesi della Conferenza dei vescovi latini delle Regioni
arabe (CELRA) che vanta la presenza cattolica più consistente è quella del Patriarcato
latino di Gerusalemme, che comprende Israele, Palestina, Giordania e Cipro. Presenza
“consistente” si traduce, in particolare tra Israele e Palestina, in una comunità
di circa 170 mila persone, in prevalenza di origine palestinese, cui vanno aggiunti
stranieri residenti, religiosi e laici e qualche cristiano di origine ebraica. All’interno
del Patriarcato latino di Gerusalemme - caso unico fra tutte le chiese cattoliche
di Terra Santa - è presente anche un antico Seminario, che non ha mai mancato di vocazioni
dal 1848, anno della fondazione. Le parrocchie sono 60, con 90 sacerdoti fra vescovi,
patriarchi e religiosi, e un’età media di 50 anni, che parla di un clero giovane chiamato
ad affrontare la cura di una comunità cristiana in perenne sgretolamento a causa dell’instabilità
cronica dell’area.
E “santa” - anché perché Cristo
vi si recò in predicazione - è anche la terra libanese, nella quale la comunità latina
locale si affianca alle altre sei Chiese cattoliche di cui si compone l’articolato
mosaico delle “minoranze” religiose presenti in Libano - maroniti, greco-melchiti
cattolici, armeni cattolici, siro-cattolici e caldei - con un milione 800 mila cattolici
totali, 18 mila dei quali appartenenti al Vicariato di Beirut. Il vicariato di Aleppo,
in Siria, conta invece 12 mila cattolici divisi in 10 parrocchie, anche se la comunità
cattolica locale, oltre ai latini, comprende le altre minoranze presenti anche in
Libano. Da rilevare, in Siria, la crescente presenza di rifugiati cristiani iracheni,
molti dei quali caldei, in fuga dal conflitto che ha devastato il loro Paese dal 2003.
A Baghdad, l’arcidiocesi fa i conti con un esodo inarrestabile: nel 2004, i battezzati
erano duemila, ma oggi la presenza cristiana è realmente a rischio di estinzione.
Ad
Abu Dhabi, in Kuwait, risiede inivece il Vicariato di Arabia, che ha giurisdizione
su tutti i cattolici residenti nella penisola arabica. Oltre all’Arabia Saudita, il
Vicariato, retto dai Frati Cappuccini, comprende gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar,
il Bahrain, l’Oman e lo Yemen. Qui, sia pure come piccola minoranza, i cattolici
- quasi esclusivamente lavoratori immigrati di varie nazionalità - sono numericamente
cresciuti in modo significativo. Nel 2004, il Vicariato contava oltre un milione e
trecentomila fedeli, suddivisi in venti parrocchie curate da appena quarantacinque
sacerdoti tra regolari e secolari.
Passando in Africa,
antico è anche il Vicariato apostolico che ha sede ad Alessandria in Egitto, in un
territorio nel quale i cattolici dei vari riti sono in tutto 214 mila. La comunità
di rito latino, in particolare, conta attualmente 30 mila fedeli, distribuiti in 17
parrocchie. Ma oltre all’egitto, la CELRA comprende anche Somalia e Gibuti. La diocesi
di Mogadiscio comprende la capitale somala e conta una sola parrocchia. I cattolici
sono un centinaio pari allo 0,001% degli abitanti, mentre la diocesi di Gibuti ne
conta settemila, lo 0,9% della popolazione totale.
Sulle priorità pastorali
del Patriarcato latino di Gerusalemme, Jamal Ward, della redazione araba della
nostra emittente, ha sentito il patriarca Michel Sabbah:
R. -
La nostra priorità consiste molto semplicemente nella catechesi, poiché si tratta
di rendere cristiani i cristiani, e non soltanto di nome, ma cristiani che accettino
il loro cristianesimo in un mondo che non è cristiano. Il mondo in generale non è
cristiano ed ancor di più il nostro mondo. I Paesi in cui viviamo sono Paesi arabi,
Paesi musulmani e il numero dei cristiani è molto ridotto. Si tratta, quindi, per
il cristiano di accettare il suo cristianesimo e soprattutto di viverlo. Non si tratta
soltanto di accettare il cristianesimo, ma è fondamentale viverlo. Si tratta, anzitutto,
di una questione di catechesi che si presenta a tutti noi. E’ necessario comprendere
come si può essere cristiani, come si può vivere il cristianesimo in una società non
cristiana e, quindi, come essere testimoni di Gesù in una società non cristiana. Alla
questione della catechesi è legata direttamente la questione delle migrazioni. La
migrazione non ha soltanto un significato di ricerca, la ricerca cioè di una migliore
condizione di vita, ma ha anzitutto un significato di accettazione o meno della propria
vocazione come cristiano, della propria vocazione di fede nella società nella quale
Dio ci vuole.
D. - Come vive la Chiesa locale?
R.
– Ci sono tante Chiese locali ed alcune di queste Chiese – soprattutto in Africa,
nel Corno d’Africa - sono state fondate in tempi lontani da religiosi, francescani
e cappuccini in modo particolare, che sono stati i primi proprio in questi Paesi a
curare i rari cristiani che si trovavano qui. In Medio Oriente i cristiani sono stati
sempre presenti e non sono arrivati successivamente. Sono i nostri Paesi che si sono
trasformati, nella storia, da Paesi cristiani a Paesi musulmani, sia nella cultura
che nella religione. Tocca a noi ora, nuovamente, prendere coscienza della nostra
missione in questi Paesi. La nostra vocazione è di essere cristiani in questi Paesi
e di testimoniare Gesù a chiunque viva in questi Paesi, sia che creda in Lui sia che
non creda in Lui. E’ nostro dovere testimoniare Gesù. Adesso i fedeli in tutti questi
Paesi (e mi riferisco al Corno d’Africa e alla penisola araba) sono stranieri, sono
operai che vengono per lavorare. Ci sono anche cristiani arabi, ma la maggioranza
sono europei, filippini o provenienti dall’India. In Medio Oriente (compreso in Egitto,
in Iraq, in Libano e in Siria), i latini sono locali sia perché c’era una presenza
di persone che veniva e si stabiliva in questi Luoghi Santi sia perché dopo le Crociate,
alcuni crociati hanno deciso di rimanere. Ma in tutti i Paesi la presenza latina è,
comunque, molto ridotta come numero. E’ molto sviluppata, però, nelle istituzioni,
nelle scuole, negli ospedali, nelle opere sociali. Si tratta di una presenza ridotta
sì nel numero, ma molto efficiente, molto presente, che fornisce diversi servizi alla
società, sia essa cristiana o non cristiana.
D.
- Quale oggi la situazione delle vocazioni sacerdotali e religiose?
R.
- Grazie a Dio per quanto riguarda le vocazioni del clero diocesano in Terra Santa,
come ho detto precedente, ne abbiamo abbastanza e questo grazie alle nostre scuole
parrocchiali. Ogni parrocchia ha una sua scuola, che segue tutti i programmi ufficiali,
che fa sostenere ai propri allievi gli esami ufficiali, che si trova sotto la supervisione
del Ministero dell’educazione. Il parroco rimane sempre e comunque responsabile, sia
con la carica di direttore sia in qualità di responsabile. Questo ci permette quindi
di dare una educazione cristiana ai nostri cristiani. Ci preoccupiamo sempre di avere
anche professori musulmani per i nostri allievi musulmani, perché, secondo la legge,
ogni studente deve poter essere educato secondo la propria religione. E grazie a questa
educazione scolastica riusciamo anche ad educare, coltivare e formare al sacerdozio
e alla vita consacrata.
D. - Qual è, invece, il
ruolo dei laici?
R. - Abbiamo tenuto il Sinodo di
tutte le Chiese cattoliche dal 1993 fino al 2000. In questo tempo è emerso un gran
numero di laici che si sentono veramente responsabili e che vogliono portare ed assumere
le proprie responsabilità all’interno della Chiesa. Sono migliaia i laici che lavorano
e che sono impegnati nelle nostre opere e nelle nostre strutture - ospedali, scuole,
opere sociali - e che hanno il senso della missione nel loro lavoro. Dopo il Sinodo
è stato creato un Comitato composto da laici e da sacerdoti. Si tratta di un comitato
di 72 persone che rappresenta tutte le Chiese cattoliche di Terra Santa. E’ anzitutto
un organo di riflessione e di pianificazione per tutte le nostre Chiese, che si incontra
una volta l’anno per definire e mettere a punto il piano pastorale per tutte le chiese
cattoliche insieme. Quest’anno il tema del piano pastorale è quello della famiglia.
I laici cominciano, dunque, ad avere il loro ruolo e la loro azione nella Chiesa e
nei campi ecclesiastici e noi stessi li inviamo affinché siano presenti come cristiani
e possano agire con il potere della loro vita cristiana e spirituale.