Colombia: dopo la liberazione di due ostaggi, si spera nel rilascio di altri prigionieri
delle FARC
Poche ore dopo il rilascio di Claras Rojas e Consuelo Gómez de Perdomo, le Forze Armate
Rivoluzionarie della Colombia (FARC) hanno sottolineato, in una nota, di aver mantenuto
la "parola data e l'impegno" assunto con il presidente venezuelano, Hugo Chavez. Il
capo di Stato colombiano, Alvaro Uribe, ha ringraziato per la sua mediazione il presidente
venezuelano ed invitato le FARC “a considerare la possibilità di un negoziato semplice,
agile e basato sulla fiducia reciproca”. Quali speranze si possono dunque scorgere
adesso in Colombia dopo le drammatiche storie, fortunatamente a lieto fine, di Claras
Rojas e di Consuelo Gómez de Perdomo? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Luis
Badilla, giornalista cileno della nostra emittente che segue le vicende dell’America
Latina:
R. -
Diceva Madre Teresa di Calcutta: “Chi asciuga una lacrima di una persona accarezza
il volto di Cristo”. In questo caso, tutti coloro, persone e organizzazioni, che si
sono adoperati per la liberazione di Claras Rojas e Consuelo Gómez de Perdomo – sequestrate
da quasi 6 anni – hanno “asciugato” le lacrime di molte a famiglie e dell’intero martoriato
popolo colombiano. Il primo luglio scorso, durante l’Angelus, Benedetto XVI proprio
sul dramma dei sequestri in Colombia, ha parlato di questo dolore terribile che colpisce
l’umanità tutta. In quell’occasione, il Papa si era unito “al profondo dolore dei
familiari e dell’amata nazione colombiana, ancora una volta funestata dall’odio fratricida”.
“Rinnovo il mio accorato appello - aveva poi aggiunto il Santo Padre - affinché cessi
immediatamente ogni sequestro e siano restituiti all’affetto dei loro cari quanti
sono tuttora vittime di tali inammissibili forme di violenza”. Allora, se anche sono
solo due le persone liberate, il cuore di chiunque non può restare indifferente, poiché
un po’ di lacrime sono state asciugate. Anche i sequestratori, senza saperlo, si sono
conformati all’amore di Cristo.
D. - Quali sono adesso
le prospettive per la situazione degli oltre 750 ostaggi, ancora prigionieri di gruppi
di ribelli delle FARC?
R. - In Colombia i sequestrati
negli ultimi anni sono stati almeno 4.000. C’è chi parla addirittura di 5 mila. Si
ritiene che 750 – 780 di questi ostaggi siano attualmente nelle mani delle FARC, le
cosiddette Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia, il più vecchio movimento guerrigliero
al mondo, poiché ormai opera dal 1964 con un dichiarato programma “marxista e bolivariano”.
La liberazione di due donne, ovviamente, è una goccia negli oceani, ma ciò non significa
che sia irrilevante; anzi, è comunque un gesto positivo per diversi motivi. Provo
ad elencarne alcuni. Il primo ci dice che è possibile ottenere la liberazione e che
tale possibilità, inserita nella corretta cornice della dimensione umanitaria, evita
gli ostacoli, a volte insormontabili, della negoziazione politica. Poi, si potrebbe
anche dedurre che fra le diverse vie che si sono tentate, compressa quella militare,
questa di tipo umanitario sembra essere la più efficace. Posso aggiungere una terza
considerazione non meno importante: mi riferisco al valore della vita. Il dibattito
e la riflessione sulla sacralità della vita, sempre, ovunque e comunque, deve restare
aperto poiché in Colombia e altrove, ciò che è in pericolo è la vita umana più che
ogni altra cosa. A questo punto, dobbiamo dire, come fanno in tanti in queste ore,
che queste due liberazioni possano essere un auspicio, un’anticipazione, di altre
intese umanitarie per sottrarre alla logica dello scontro la vita di centinaia di
persone innocenti.
D. - Siamo entrati in una nuova
era della lotta condotta in Colombia dalla guerriglia e, in particolare, dalle FARC?
R.
- Una caratteristica di questo movimento della guerriglia delle FARC è il fatto di
essere del tutto imprevedibile. Le FARC sono un movimento armato molto diviso al suo
interno, con diverse branchie, gruppi e così via. Poi, si deve anche ricordare che
le FARC, da diversi anni, sono affiancate dal narcotraffico.
D.
- Alla mediazione politica, bisogna poi aggiungere il prezioso contributo della Chiesa…
R.
- La Chiesa in Colombia si è sempre schierata a favore degli accordi umanitari come
metodo per affrontare la liberazione degli ostaggi. E’ naturale che, come ha fatto
mons. Fabián Marulanda, vescovo emerito di Florencia e segretario generale dell’episcopato,
abbia espresso tutta la sua gioia e soddisfazione per il rilascio di queste due donne.
Tra l’altro, la notizia è arrivata poco dopo che i vescovi avevano chiesto che il
2008 fosse l’anno della liberazione di tutti gli ostaggi. Non solo un auspicio. Un
vero programma di azione perché, ha detto, “liberare i sequestrati è un’esigenza del
diritto umanitario”. Parlando di queste due donne, mons. Marulanda ha anche sottolineato:
“Vediamo che si è aperta una finestra per la libertà di tutti. La guerriglia deve
ascoltare la richiesta del popolo colombiano; deve capire che quella del sequestro
è una via sbagliata”. Va ricordato, tra l’altro, che la Chiesa colombiana da anni,
usando vie discrete e senza protagonismo, ha lavorato costantemente per la liberazione
di ostaggi; le sue richieste sono state sempre di natura umanitaria e dunque senza
contropartite. Penso che la “finestra di speranza” che si è aperta e di cui parla
mons. Marulanda, sia oggi la cosa più importante. Tutti dovrebbero lavorare, d’ora
in poi, per far sì che questa speranza diventi realtà.