2008-01-02 12:58:38

2008, Anno europeo del dialogo interculturale: la riflessione del cardinale Tauran


Il 2008 è l'Anno europeo del dialogo interculturale, proclamato dalla Commissione di Bruxelles all'insegna del motto "Insieme nella diversità". L'iniziativa mira ad una convivenza armoniosa tra i cittadini europei attraverso la comprensione dei vantaggi della ricchezza culturale. Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso, ha sottolineato in proposito che “non c’è cultura senza religione e non c’è religione senza cultura". Ma all’interno di questo dialogo tra le culture come si colloca il dialogo interreligioso? ascoltiamo il cardinale Tauran, al microfono di Giovanni Peduto:RealAudioMP3

 
R. - Il dialogo interreligioso, evidentemente si colloca al livello del rapporto fra l’uomo e Dio; dell’uomo che si pone delle domande sul senso della vita, sul senso della morte, sul senso del male … E’ a questo livello che si colloca il dialogo interreligioso. Perché? Perché penso che la fede parla della grandezza dell’uomo, parla di un umanesimo che non distrugge la cultura, ma che la arricchisce. Nel dialogo interreligioso c’è una pedagogia che aiuta a prendere coscienza dell’unità del genere umano, della dignità della persona e che sboccia fatalmente nelle esigenze del perdono e della conoscenza reciproca.

 
D. - Il magistero di Papa Benedetto XVI sul dialogo tra fede e ragione trova una sua dimensione precisa nell’ambito di dialogo interculturale e interreligioso. Come si potrebbe riassumere questo incontro?

 
R. - Il Papa ha detto che bisogna avere il coraggio di aprirsi alla ragione, di non negare la ragione, ma di aprirsi ad essa. Nella sua lezione di Ratisbona ci ha ricordato che non agire secondo la ragione, non agire con il Logos, è in contraddizione con la natura di Dio. Dunque, siamo sempre portati a ritrovare, attraverso questo dialogo fra le culture e le religioni, il senso del divino. L’uomo non vive solo di pane, ma vive anche di cultura e di preghiera. E non dobbiamo dimenticare che il linguaggio delle religioni è la preghiera.
 
D. - Eminenza, da un’ottica più ampia e meno contingente, nel mondo di oggi, come sintetizzare il rapporto tra fede e cultura alla luce delle sfide odierne?

 
R. - In effetti, è una grande sfida. Il Papa Paolo VI, che era un uomo di grande cultura, direi un umanista nel senso classico della parola, considerava la separazione fra la cultura e il Vangelo come il dramma più grande dei nostri tempi. Credo che in questo senso è stato un profeta. Siamo chiamati a riconciliare cultura e fede e a fare scoprire ai nostri contemporanei che abbiamo bisogno di credere per vivere bene. Un uomo che non prega è un uomo mutilato nella sua umanità. Perché l’uomo è fatto per pregare, per essere in relazione con Dio, per vivere aldilà delle cose materiali e trovare un senso definitivo a tutte le grandi domande che si pone. Credo anche che nel dialogo interreligioso è importante sottolineare che, alla fine, è la preghiera quella che può cambiare il cuore dell’uomo. Tendiamo a dimenticare che quando un uomo prega, quando si inginocchia, si trova al suo livello massimo ed è questo particolare momento che dobbiamo cercare di capire. Le religioni hanno per missione di spingere l’uomo ad agire con giustizia, ad amare la misericordia, a camminare umilmente con il suo Dio. E’ quello che dice il profeta Michea nella Bibbia.







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