Salutando l’anno che si chiude, vi proponiamo un bilancio a flash degli avvenimenti
che più lo hanno segnato, cercando di intravedere dove ci sono potenzialità di sviluppo
positivo per il futuro, a partire dall’anno che si apre. Il servizio di Fausta
Speranza.
A
Putin, presidente uscente che però ha ben chiarito che non lascerà la politica, la
rivista Time ha dedicato la copertina di uomo dell’anno. Possiamo dire che la Russia,
tornata ad avere un peso internazionale che non aveva da tempo, è tra i protagonisti
del 2007? Ci risponde Lucio Caracciolo, direttore della rivista
di geopolitica Limes:
R. – Direi senz’altro di sì.
Più che la Russia, Putin, che in questo momento incarna la Russia, perché è l’uomo
che ha ereditato una Russia a pezzi e l’ha portata di nuovo a livelli di potenza,
utilizzando soprattutto al meglio il suo enorme patrimonio energetico.
Energia
in primo piano e dunque ambiente: il 2007 ha segnato passi decisivi? Lucio Caracciolo:
R.
– C’è stato un forte battage mediatico, qualche polemica politica. La sostanza però
non mi pare ancora essere all’altezza del problema, basti vedere la conclusione della
conferenza di Bali: molta retorica e poca pratica.
Al
prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente di relazioni internazionali
all'Università Cattolica di Milano, chiediamo come si chiude il 2007 per gli Stati
Uniti:
R. – Un anno, per alcuni aspetti, di transizione.
Si riscontrano tutti gli effetti negativi di quel pasticcio iniziato con la guerra
in Iraq, anche se paradossalmente in Iraq le cose vanno leggermente meglio. Complessivamente,
però, gli Stati Uniti hanno giocato una carta molto rischiosa in Medio Oriente, cercando
lì di affermare la propria leadership, ferita dopo l’11 settembre, e le cose non sono
andate per il meglio. Le conseguenze più pesanti si pagano in questo momento in Afghanistan.
Per quanto riguarda la corsa alle presidenziali, è l’anno che ci porta verso le primarie,
in cui forse avremo qualche sorpresa in più di quanto molti prevedano. La candidatura
della signora Clinton non è poi così scontata. In campo repubblicano, sembrerebbe
che Giuliani sia più solido nella sua posizione.
Guardando
al Medio Oriente, tra palestinesi e israeliani c’è stata la promessa di Annapolis:
ancora Lucio Caracciolo:
R.
– Per il Medio Oriente, la cosa più importante, più che Annapolis, è stato il rapporto
della CIA e delle altre principali agenzie di intelligence, che hanno quantomeno rimandato
l’allarme Iran. Erano già pronti, e forse già sono pronti, i piani di attacco all’Iran
e sono stati messi nel cassetto grazie a questo rapporto. Questo non vuol dire che
il pericolo di una guerra sia scongiurato, ma quantomeno si è aperta una finestra
di opportunità per rilanciare un negoziato.
Guardiamo
all’Africa con l’analisi del prof. Gian Paolo Calchi Novati,
docente all'Università di Pavia di storia e istituzioni dei Paesi Afro-Asiatici:
R.
– Sicuramente l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale si è concentrata soprattutto
sul Darfur, la regione del Sudan dove è in corso una guerra civile. L’emergenza umanitaria
è gravissima e questo giustifica l’attenzione. Peraltro, il Sudan è considerato un
Paese chiave in un sistema di politica internazionale che non riguarda necessariamente
o specificatamente l’Africa, ed è piuttosto legata alle vicende del Medio Oriente,
alla guerra al terrorismo e così via. Lo stesso si può dire della Somalia, l’altro
Paese dove nel 2007 c’è stata una grave crisi. E qui si capisce come l’attenzione
per la Somalia sia stata minore. Perché in Somalia c’è stato un intervento militare
dell’Etiopia, coerente con la politica degli Stati Uniti e su questo il mondo ha meno
da dire.
Una parola sulla sempre più significativa
presenza della Cina:
R. – La Cina ha aggiunto da
qualche anno la sua presenza, in forma di investimenti finanziari colossali, soprattutto
in alcuni Paesi strategici per i suoi interessi. La Cina è alla ricerca di energia.
E’ stata in parte tagliata fuori dall’accesso ai giacimenti dell’Asia centrale, a
seguito delle vicende collegate con l’Afghanistan e con lo sfacelo dell’Unione Sovietica,
ma è andata a cercarsi queste fonti di approviggionamento in Medio Oriente e in Africa,
a cominciare dal Sudan e dall’Angola, che sono fra i Paesi in cui la Cina è più presente.
La Cina investe in infrastrutture, investe in attività che probabilmente hanno più
importanza per le economie africane, degli investimenti dei Paesi occidentali, spesso
concentrati sul turismo. Allora, ha molta udienza in Africa. La Cina fa della non
interferenza negli affari interni dei Paesi con cui collabora uno dei suoi principi
di politica estera. E questo naturalmente consola i Paesi africani che si sentono
spesso attaccati dall’opinione pubblica mondiale, per lo scarso rispetto dei diritti
umani. Un punto oscuro della politica cinese in Africa è l’impiego massiccio di manodopera
cinese per molte di queste attività. C’è una questione morale, perché probabilmente
il diritto di questi lavoratori è molto basso. E c’è una questione economica perché
le attività cinesi non impiegano manodopera locale africana e quindi non partecipano
ad aumentare l’occupazione a livello africano.
Ma
cosa chiede l’Africa?
R. – L’Africa da molti anni
si sta organizzando per partecipare alla politica mondiale con delle sue richieste,
con delle sue istituzioni, che non hanno molto ascolto a livello internazionale. Quello
che dovrebbe essere il monito, per così dire, o, se si vuole, l’auspicio del futuro
è dare ascolto a quello che l’Africa chiede. L’Africa quasi non chiede più aiuto e
cooperazione, chiede partecipazione, chiede trattamento alla pari. L’Africa ha da
qualche anno una sua istituzione continentale, l’Unione Africana, che ha come obiettivo
quello di risolvere in Africa, con forze africane, con valori africani, le crisi:
sia le crisi conflittuali che le crisi determinate dalla violazione dei diritti umani.
La politica internazionale più che altro chiede il diritto di accesso alle risorse
dell’Africa, occupandosi poco dello sviluppo dell’Africa. L’Africa invece chiede che
sia rispettato proprio questo obiettivo prioritario: il proprio sviluppo sia in termini
economici, ma anche in termini politici e democratici.
Per
l’America Latina, diamo la parola al nostro collega Luis Badilla:
R.
- Per il 2007 latinoamericano, chiusura con due fatti molto rilevanti: l’elezione
e insediamento della signora Cristina Fernandez Kirchner come presidente dell’Argentina,
per succedere a suo marito Néstor Kirchner, e affrontare – come ha dichiarato - la
grande sfida dell’iniquità sociale. L’altro fatto è la battuta di arresto per il presidente
del Venezuela Chávez che ha visto bocciato il suo progetto costituzionale di natura
socialista. In mezzo da collocare, per così dire, la nuova Costituzione di Evo Morales
in Bolivia che dovrà essere sottoposta a referendum entro il 14 marzo con pronostici
molti incerti. E poi l’ormai quasi definitiva uscita di scena del presidente Castro
a Cuba, che non dovrebbe candidarsi alle legislative di gennaio. E’ avviato al tramonto
istituzionale ma certamente non politico poiché è chiamato a mediare tra i diversi
modelli di transizione. Da segnalare, infine, per l’intera area latinoamericana il
bilancio negativo del 2007: le economie locali continuano a crescere, ma la ricchezza
resta sempre nelle mani di pochi al punto che, paradossalmente, la crescita economica
viaggia alla pari con la crescita dei poveri e degli impoveriti.
Per
l’Asia, ascoltiamo padre Bernardo Cervellera, responsabile dell’agenzia
AsiaNews:
R. – La lotta del terrorismo e del fondamentalismo
islamico di Al Qaeda o di altri gruppi terroristici sta diventando sempre più chiara.
Bisogna sottolineare, però, che i Paesi musulmani stanno facendo più quadrato e quindi
c’è meno ambiguità. La globalizzazione economica sta diffondendosi in tutta l’Asia
e soprattutto poi c’è l’emergere di India e Cina come due interlocutori dell’economia
internazionale molto importanti. Ma naturalmente questa globalizzazione economica
avviene con tantissime ingiustizie: in India, con l’emarginazione di moltissimi paria,
verso cui la Chiesa fa un lavoro veramente molto importante di sviluppo ed educazione;
e in Cina, con l’emarginazione della maggior parte della popolazione, soprattutto
dei contadini e dei migranti. Non possiamo comunque dimenticare che anche il fronte
nordcoreano e il dialogo tra nord e sud Corea ha subìto un miglioramento eccezionale
con l’abbandono da parte di Pyongyang del programma nucleare e un maggior rapporto
tra il nord e il sud.
Su cosa fondare speranza e
auspici per il futuro? Ancora padre Bernardo Cervellera:
R.
– Il dialogo maggiore e il rafforzamento della convivenza tra cristiani e musulmani
in Indonesia, alcune aperture dell’Arabia Saudita, una transizione positiva in Iraq,
di cui si intravedono alcuni segnali, ed anche un’apertura del dialogo tra Israele
e Palestina.
Torniamo in Europa. Dopo il lungo stallo,
nel 2007 la firma del nuovo Trattato di riforma delle istituzioni dell’Unione Europea.
L’On. Luigi Cocilovo, vicepresidente dell’Europarlamento:
R.
– E’ sicuramente una tappa molto significativa, al di là dei contenuti. C’è un po’
di limatura rispetto alle previsioni del Trattato costituzionale, che aveva incontrato
le difficoltà che sappiamo. E’, però, una ripresa di marcia verso il processo di integrazione,
di rafforzamento e di fiducia nelle competenze di governo comunitarie. Quindi, mi
sembra un passaggio decisivo per rilanciare l’Europa sullo sfondo delle grandi questioni
di questo secolo.