Occorre più sensibilità verso i cristiani perseguitati: così, il direttore di “Aiuto
alla Chiesa che Soffre”, Attilio Tamburrini, dopo la pubblicazione del dossier Fides
sui missionari uccisi nel 2007
Hanno versato il proprio sangue per annunciare Cristo: sono i 21 operatori pastorali
uccisi in questo 2007. Un dato drammatico, diffuso dall’agenzia Fides, che ogni anno,
a fine dicembre, pubblica un dossier sui missionari uccisi nello svolgimento del loro
servizio. Diverse le storie di queste figure luminose, identica la loro testimonianza:
come il primo dei martiri, Santo Stefano, hanno saputo coniugare la carità, la cura
del prossimo, e l’annuncio coraggioso della fede. Per una riflessione sui frutti offerti
da questi testimoni della speranza evangelica, Alessandro Gisotti ha intervistato
Attilio Tamburrini, direttore della sezione italiana di “Aiuto alla Chiesa
che Soffre”:
R. –
Il martire che versa il sangue è la punta di un iceberg. Se noi andiamo a vedere,
anche in questi anni, per uno ucciso ce ne sono cento che soffrono, mille che hanno
patito discriminazioni ... cioè, è sempre il segnale di tutto un popolo che sta soffrendo,
almeno una porzione di popolo cristiano che sta soffrendo. Questo credo che sia il
punto più importante da considerare, perché questo mette in luce come il martirio
del singolo è una testimonianza, un seme per tutto un ambiente. Non è soltanto, come
dire: quel missionario è stato ucciso, quindi lo ricordiamo. Ma è tutto un ambiente
che ricava frutto da questo martirio, perché la sua testimonianza dà forza agli altri;
si riesce a parlare anche di una situazione che magari fino a quel momento veniva
ignorata ... ecco, in questo senso, credo anche dal punto di vista informativo, è
molto importante tenere conto di questo aspetto.
D.
– Oggi nell’opinione pubblica si è portati a pensare che il martirio sia qualcosa
del passato. Nulla di più sbagliato, come questi dati di Fides confermano drammaticamente,
ogni anno ...
R. – Sì! Confermano, poi, una costante.
Nel volume “Gesù di Nazaret”, di Benedetto XVI, ci sono delle considerazioni a proposito
delle Beatitudini, credo molto interessanti da questo punto di vista: “Beati i perseguitati
per causa della giustizia, perché di essi è il Regno dei Cieli”. Il Santo Padre interpreta
questa parola “giustizia” come “fede”, come attaccamento alla Torah. I perseguitati
per la giustizia sono i perseguitati che restano fedeli alla Parola di Dio. E questa
persecuzione viene, come dire, estesa a tutta la vita della Chiesa. Il Santo Padre
dice, infatti: perché, questo? Perché la Chiesa diventa Chiesa perseguitata per causa
della giustizia in quanto in ogni epoca la Chiesa contesta al potere politico la sua
pretesa di assolutismo, di inglobare l’uomo nella sua totalità. Ecco quindi che in
ogni epoca la Chiesa è elemento di contraddizione. Quindi, sono varie forme che già
vengono descritte all’inizio, che poi si realizzeranno nella storia, e di cui vediamo
le conseguenze tutti i giorni. Basti pensare alla “piccola persecuzione”, che per
lui è grande, di un bambino che viene preso in giro dai compagni di scuola perché
va a Messa o perché si fa il segno della Croce prima del pasto, cose che avvengono
tutti i giorni, per quel bambino a quell’età è una forma di persecuzione. Per non
parlare delle legislazioni anti-religiose di fatto, quelle che impediscono la proclamazione
del Vangelo, e man mano aumenta la gravità di questo a seconda dei luoghi. Ci sono
posti dove non è possibile nemmeno possedere una Bibbia, oggi, eh?, non all’epoca
di Nerone! Di questo, però, la coscienza del popolo cristiano che vive dalle nostre
parti non è ancora sensibilizzata.