In Pakistan ancora violenze. Al Qaeda nega di aver ucciso Benazir Bhutto
Un Paese diviso tra il dolore e la rabbia. E’ il Pakistan dove a due giorni dall’uccisione
dell’ex premier Benazir Bhutto si cercano ancora le responsabilità. Al Qaeda, che
in un primo momento aveva rivendicato l’attentato di Rawalpindi, ha fatto marcia indietro.
Intanto imperversa la violenza con oltre 30 vittime negli scontri e nei disordini
di piazza. Migliaia le persone scese in strada a Lahore dove si sono sentiti slogan
contro il presidente Musharraf che, nelle ultime ore, ha ordinato il pugno di ferro
contro i rivoltosi. A rischio le elezioni nel Paese. Il servizio di Benedetta
Capelli:
Ora a vacillare
sono anche le elezioni, convocate e confermate ieri dal presidente Musharraf, per
l’8 gennaio. Lunedì è in programma una riunione della Commissione elettorale che ha
denunciato “gli effetti negativi” degli ultimi tragici eventi sulla consultazione
e sulle operazioni preliminari come la stampa delle schede. Elezioni che verranno
certamente boicottate dall’altro leader dell’opposizione, Sharif, mentre si attende
la decisione del Partito della Bhutto che domani, al termine dei tre giorni di lutto,
si pronuncerà in merito. Nel corso della riunione, verrà letto dal figlio un messaggio
e una sorta di testamento politico dell’ex premier. Al di là dei futuri scenari resta
una la domanda a cui dare risposta: chi ha ucciso la Bhutto? Il leader di Al Qaeda
in Pakistan nega ogni responsabilità, nonostante in un primo tempo la rete di Bin
Laden abbia rivendicato la paternità dell’attacco. “Non tocchiamo le donne” ha precisato
il terrorista che ha indicato nel governo, nei militari e nei servizi segreti i mandanti
dell’agguato. L’esecutivo smentisce la ricostruzione perché in possesso di un'intercettazione
telefonica nella quale elementi di Al Qaeda si congratulano per l’obiettivo raggiunto.
Ma il governo è ancora nell’occhio del ciclone per la versione delle ultime ore della
Bhutto, morta, secondo Islamabad, per aver urtato con la testa il tettino apribile
della sua macchina dopo l'esplosione. Una ricostruzione non condivisa dal partito
dell’ex premier per il quale è stata uccisa da un colpo di arma da fuoco alla testa.
In un clima già infuocato, le violenze proseguono sono oltre 30 le vittime. A Lahore
sono scese in strada diecimila persone; numerosi gli slogan contro Musharraf: si tratta
della manifestazione più imponente dall’assassinio di Benazir Bhutto.
La
comunità internazionale si interroga sulle conseguenze politiche dell’omicidio dell’ex
premier Benazir Bhutto. L’India, preoccupata per le ripercussioni nell’area, ha deciso
di sospendere i collegamenti con il Pakistan per motivi di sicurezza. Sulla vicenda
Fabio Colagrande ha raccolto il parere di Michele Zanzucchi, caporedattore
della rivista “Città Nuova”: R.
- Guardando le immagini dell’assassinio di Benazir Bhutto, delle reazioni spesso scomposte
della gente, delle violenze che sono seguite, mi sono venute in mente due riflessioni.
La prima è che proprio da quelle parti dove è stata uccisa la Bhutto, poco più a nord,
nella cosiddetta alta valle dell’Indo, c’è stata la culla delle civiltà, dicono anche
che l’Eden fosse lì. La seconda riflessione è sul fatto che questo Paese è ancora
giovanissimo. Nato dalla scissione dall’India, ha un popolo pieno di risorse e sono
convinto che il Pakistan risorgerà dalle sue ceneri, dalle difficoltà che sta attraversando.
Ha delle capacità di rialzarsi che noi europei non ci immaginiamo. Io penso che si
debba guardare al Pakistan con fiducia, nonostante la gravità della situazione, nonostante
siano necessarie misure di polizia nazionali e internazionali.
D.
- Questo Paese è considerato in qualche modo la culla del terrorismo di matrice islamica,
qual è la sua impressione?
R. - Non credo si possa dire che il Pakistan
sia la culla del terrorismo, ma certamente lo sono le zone tribali tra lo stesso Paese
e l'Afghanistan dove in questo momento ci sono i centri terroristici più pericolosi
esistenti al mondo. Non bisogna dimenticare che il Pakistan ha sempre avuto una conflittualità
latente con la vicina India e anche con alcune tribù della zona a nord del Pakistan,
ma che anche l’Afghanistan stesso è sconvolto da conflitti da tempo immemorabile.
In questo senso, il principale problema di cui soffre il Pakistan è un problema educativo:
bisogna togliere l’acqua nella quale vivono questi terroristi e l’acqua è soprattutto
il sistema educativo, spesso delegato alle madrasse fondamentaliste o radicali, in
cui non si insegna praticamente nulla salvo l’odio e salvo un Islam contestato dagli
osservatori più attenti dell'Islam. Quindi, penso che questa sia una sfida reale e
non penso che possa essere risolta solo con vie militari. E’ una grande azione umanista
che deve essere fatta per togliere e prosciugare l’acqua nella quale vivono i terroristi.