In Colombia, ore decisive per la liberazione di tre ostaggi nelle mani delle FARC
Entro domenica, se tutto andrà bene, i tre ostaggi nelle mani delle Forze Armate Rivoluzionarie
della Colombia, dovrebbero essere liberati tramite una complessa operazione umanitaria.
Ad essere rilasciate, saranno due donne: Consuelo Gonzalez de Perdomo e Clara Rojas,
ex segretaria di Ingrid Betacourt, ed il figlio, un bambino di tre anni nato nella
selva, dove ha vissuto per oltre 2.100 giorni. Luis Badilla ci spiega nel servizio
i difficili aspetti di questa operazione:
L'operazione,
rilevante di per sé poiché contribuisce a mettere fine alle sofferenze indicibili
di queste tre persone, in prospettiva appare ancora più importante, poiché apre la
strada per auspicabili nuove operazioni umanitarie dello stesso tipo. Nelle prossime
ore, due elicotteri MI-17 con le insegne della Croce Rossa dovrebbero prelevare gli
ostaggi in un luogo segreto della selva colombiana, secondo gli accordi intercorsi
tra il presidente del Venezuela, Hugo Chávez, in contatto con il governo colombiano
del presidente Alvaro Uribe, e gli inviati della guerriglia, che fino alle prime ore
d'oggi non avevano ancora comunicato le coordinate esatte del posto dove saranno consegnati
gli ostaggi. In quest'operazione umanitaria, oltre a Chávez si sono impegnati in molti.
Tra loro l'ex presidente argentino, Néstor Kirchner, il consigliere per la politica
internazionale del presidente brasiliano, Marco Aurelio Garcia, l'ex ministro dell'Interno
ecuadoriano, Gustavo Larrea, e il viceministro boliviano per i Movimenti sociali,
Sacha LLorenti, oltre a delegati di Francia, Svizzera e Cuba. Se entro le ore 18 di
domenica 30 novembre, limite massimo per la permanenza degli aeromobili venezuelani
nello spazio aereo della Colombia, l’operazione si sarà chiusa con successo, i fatti
daranno ragione a molti, tra cui la Chiesa cattolica colombiana, che da mesi sostiene
la via del negoziato umanitario come la migliore soluzione, seppure graduale, per
mettere fine a tanta sofferenza umana sia degli ostaggi sia dei loro cari e dell’intero
Paese. Questa pratica colombiana del sequestro, così diffusa, da più parti definita
“un’industria del dolore” in riferimento alle migliaia di persone rapite negli ultimi
cinque anni, “va trattata - sostiene l’episcopato della Colombia - anzitutto sul piano
umanitario, poiché sono in gioco vite umane la cui sacralità non può essere usata
per considerazioni politiche da parte di nessuno”.
Bolivia - tensioni
istituzionali "Sono qua e possiamo dialogare": è stata la laconica riposta,
ieri, del presidente della Bolivia, Evo Morales, alla lettera dei principali dirigenti
delle cinque regioni - Santa Cruz, Beni, Pando, Tarija e Cochabamba - in conflitto
con il governo centrale e che, in più di una circostanza, hanno minacciato la secessione,
in particolare dopo la recente approvazione della nuova Costituzione che dovrà essere
sottoposta a referendum entro il 14 marzo. Il capo dello Stato, giorni fa, era è stato
il primo a chiedere questo dialogo. “Accettiamo la sfida di trovare una soluzione
politica concertata alla crisi, con un’agenda aperta”, si legge nella lettera dei
governatori "ribelli" che chiedono una discussione sulla nuova Costituzione e, in
particolare, sulla legge che istituisce il cosiddetto "Reddito dignità", cioè un buono
per i poveri, di età superiore ai 60 anni, finanziato col taglio del 56% delle rendite
dei Dipartimenti derivate dalle imposte sugli idrocarburi. Va ricordato che oltre
al referendum sulla nuova Carta nazionale, se approvata, se ne dovrebbe svolgere un
altro di natura "revocatoria" per i mandati del presidente, del vicepresidente e per
i governatori (prefectos) delle nove regioni amministrative in cui è divisa
la Bolivia.
Kenya - attesa post-elettorale In Kenya, sale l’attesa
per la proclamazione ufficiale dei risultati, mentre dai dati parziali si profila
la netta vittoria del leader dell’opposizione, Odinga. Intanto, gli incidenti che
si segnalano in diverse aree del Paese agitano gli spettri di un conflitto tra etnie.
Il nostro servizio:
Sebbene le
operazioni di spoglio siano ancora in corso, il leader dell'opposizione, Raila Odinga,
forte di un ampio margine di vantaggio sul presidente uscente, Kibaki, si è dichiarato
vincitore delle elezioni presidenziali. Questa mattina, a circa tre quarti dello scrutinio,
Odinga vantava il 49% delle preferenze contro il 45% del suo avversario. Netto anche
il vantaggio registrato in parlamento, ma sia il governo sia il partito di unità nazionale,
formazione politica vicina a Kibaki, si sono rifiutati di riconoscere la vittoria
dell’opposizione, sostenendo che mancano ancora i risultati di vaste aree schierate
con il presidente uscente. Dal canto suo, la Commissione elettorale non ha proceduto
alla proclamazione del vincitore, ritenendo che non ci siano ancora certezze assolute.
In un Paese con il fiato sospeso per i risultati, vengono intanto confermati i timori
della vigilia relativi ai possibili scontri tra gruppi etnici rivali, riaccesi dal
fatto che i due sfidanti rappresentano le maggiori etnie del Paese: i kikujo
e i Luo. Sul terreno si segnalano i primi scontri nelle roccaforti dell’opposizione,
dove giovani armati di machete saccheggiano bloccano strade e saccheggiano negozi,
mentre a Kisumo almeno una persona sarebbe morta i seguito di questi incidenti.
Medio
Oriente Dopo i violenti scontri di ieri, che hanno causato la morte di sette
miliziani palestinesi e di due coloni israeliani, in Cisgiordania resta alta la tensione
in seguito al fermo di tre israeliani, uno dei quali militare, introdottisi nel centro
di Betlemme. Spiragli per i negoziati di pace arrivano però dal ministro dell'Interno
palestinese, Abdul Razzak Yehya, che ha confermato la notizia secondo cui le milizie
di Fatah, Brigate dei Martiri di Al Aqsa, sono state completamente smantellate. L’esponente
dell’esecutivo palestinese ha inoltre annunciato che ora si procederà allo scioglimento
di tutte le altre milizie operative nelle aree palestinesi, auspicando la cooperazione
di questi gruppi al piano di disarmo.
Libano senza capo dello Stato Il
Libano, ancora senza presidente. E’ stata, infatti, rinviata anche l’undicesima sessione
per l’elezione del capo dello Stato convocata per oggi. La prossima convocazione del
parlamento, dalla quale si auspica l’elezione del successore di Lahoud, è stata fissata
per sabato 12 gennaio. Dopo undici rinvii, maggioranza e opposizione sembrano più
vicine ad una soluzione rispetto al nome del candidato da eleggere alla presidenza
della Repubblica.
Scontri in Somalia A Mogadiscio proseguono gli
scontri tra le forze filigovernative somale e ribelli integralisti islamici. Oggi,
il portavoce del sindaco di Mogadiscio è stato ucciso da una bomba fatta esplodere
al suo passaggio, tre i feriti. La vittima era considerata uno dei leader dell'ala
dura governativa, teorica della repressione violenta. Resta quindi molto alta la tensione
nella capitale somala, dove almeno 2000 civili hanno perso la vita nel 2007.
Georgia
- proteste Circa 10 mila oppositori del presidente georgiano, Mikhail Saakashvili,
sono scesi in piazza a Tbilisi per manifestare contro il rischio di brogli alle elezioni
presidenziali del prossimo 5 gennaio. Gli organizzatori della manifestazione hanno
annunciato che l'opposizione intende mandare in ogni seggio un nutrito numero di rappresentanti
per sorvegliare l'andamento del voto. Il Paese caucasico si avvicina alle elezioni,
che vedono favorito il presidente uscente, dopo un periodo di fortissime tensioni
politiche, culminate lo scorso novembre in scontri e disordini in tutto il Paese e
la proclamazione dello stato d’emergenza.
Hong Kong - regole democratiche Elezione
diretta del governatore dal 2017 e dei deputati del parlamento locale dal 2020. Sono
le importantissime tappe d’avvicinamento di Hong Kong ad una completa democrazia.
Ad annunciarlo è stato l’attuale governatore, gradito a Pechino, della ex colonia
britannica da dieci anni tornata sotto la giurisdizione della Repubblica popolare
cinese. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LI no. 363 E'
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