I vescovi del Pakistan: una battuta d'arresto per la democrazia l'uccisione di Benazir
Bhutto
E’ il giorno del dolore in Pakistan, scosso dalla morte dell’ex premier Benazir Bhutto,
uccisa ieri in un attentato kamikaze a Rawalpindi al termine di un comizio elettorale.
Una folla commossa ha partecipato ai suoi funerali in un clima di tensione e di violenza:
sono 20 le vittime dei disordini scoppiati dopo la sua uccisione, rivendicata da Al
Qaeda. Si teme il caos nel Paese nonostante il presidente Musharraf abbia confermato
le elezioni per l’8 gennaio. Parole di condanna sono giunte dai vescovi del Pakistan.
Il servizio di Benedetta Capelli: Padre
e figlia accanto nella morte e nel destino. La salma di Benazir Bhutto riposa da oggi
nel mausoleo di famiglia a Larkana, Paese natale che si trova a sud,
dove è sepolto il padre Zulfikar Ali Bhutto, primo premier pachistano eletto con voto
popolare nel 1973, deposto quattro anni dopo e impiccato nel 1979. Una morte terribile
come quella della figlia, uccisa ieri da un kamikaze, che ha messo fine alle speranze
di una parte del popolo pachistano, alla vigilia di nuove elezioni fissate e, confermate
oggi dal presidente Musharraf, per l’8 gennaio. Una folla commossa ha reso difficile
il passaggio del feretro, avvolto nella bandiera rosso-verde-nera - i colori del Partito
del popolo del Pakistan- dietro il quale c’erano il marito della Bhutto e i suoi tre
figli adolescenti. 5 km di tragitto tra due ali di gente in lacrime che ripeteva “Benazir
è viva”. Intanto il Paese è piombato nel caos. Un bollettino ufficiale parla di oltre
20 vittime nelle violenze di strada, negli incendi e negli scontri che sono seguiti
alla morte dell’ex premier in particolare nella provincia di Sindh e nel Punjab.
A Hyderabad, l’esercito ha avuto ordine di sparare sulla folla per impedire ulteriori
sommosse, 5 i feriti. 4 invece i morti per l’esplosione di un’autobomba durante un
comizio elettorale nella valle di Swat, nord-ovest del Pakistan, tra le vittime anche
un candidato del partito di Musharraf. Ordinata un’inchiesta governativa per l’uccisione
della Bhutto, rivendicata da una cellula di Al Qaeda, anche l’esecutivo di Islamabad
ha confermato che l’ex premier era un obiettivo della rete terroristica. “Una notizia
tragica, terribile. Partecipiamo al dolore della popolazione pachistana” così Padre
Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, sull’assassino dell’ex premier.
Il portavoce della Santa Sede ha poi aggiunto che il Papa è stato “immediatamente
informato” dell’accaduto. Moltissimi i messaggi di condanna e cordoglio per l’omicidio
di Benazir Bhutto anche i vescovi pakistani sono costernati per l'attentato
e per quanto sta avvenendo nel Paese. Ascoltiamo il vescovo di Islamabad-Rawalpindi
mons.Anthony Theodore Lobo, al microfono
di Lydia O'Kane:
R. – She
was campaigning for a democratic order... Lei si stava battendo per un ordine
democratico. Ora questo attentato è una battuta d’arresto per la democrazia. Sì, lei
combatteva per rendere il Pakistan un Paese libero, per distanziarsi da un sistema
autoritario, e per governare dopo essere stata liberamente eletta dal popolo. Ecco
perché la sua morte rappresenta una battuta d’arresto per la democrazia. Adesso,
non so proprio quello che succederà ora che è morta ...
Ed
ora si guarda al futuro del Pakistan dopo l’uccisione della Bhutto. Si teme in particolare
per la stabilità dell’area, l’India ha ordinato lo “stato di vigilanza” ed ha rafforzato
la frontiera mentre nello stato del Kashmir indiano la polizia si è scontrata con
centinaia di manifestanti scesi in piazza per protestare contro l’uccisione dell’ex
premier. Gli agenti hanno usato gas lacrimogeni per disperdere i dimostranti nelle
strade di Srinagar. La perdita di Benazir Bhutto quali conseguenze avrà sulle dinamiche
interne del Pakistan? Risponde il prof. Maurizio Simoncelli, esperto di geopolitica
dell’Archivio Disarmo, intervistato da Giada Aquilino:
R.
– Indubbiamente, Benazir Bhutto avrebbe potuto aiutare la difficilissima transizione
del Pakistan verso un sistema democratico. Va ricordato che il Paese, in realtà, è
una sorta di culla dell’integralismo islamico, perché è lì che si sono formati, addestrati
e preparati i combattenti integralisti che in passato hanno combattuto contro l’Armata
Rossa ed è da lì che Al Qaeda ha preso le mosse. Il sistema politico-militare pakistano
è profondamente permeato di integralismo islamico. Nell’immediato post 11 settembre,
Musharraf si era presentato come alleato degli Stati Uniti, ma in realtà ciò non è
mai avvenuto in modo chiaro e lineare: la prova è il fatto che continuava ad esserci
una forte presenza di talebani nelle zone di confine tra Afghanistan e Pakistan. Musharraf
ha giocato su due tavoli e sembra che, in realtà, ora il controllo dell’integralismo
musulmano gli stia addirittura sfuggendo di mano. Egli stesso, dicono gli osservatori,
rischia di rimanere vittima di questa ripresa di attentati di Al Qaeda e di gruppi
affini.
D. – L’obiettivo della Bhutto era un Pakistan
più democratico e meno fondamentalista. Quale sarà ora il prossimo passo delle forze
estremiste?
R. – Si temono addirittura attentati
di maggiore potenza, con l’obiettivo di far precipitare il Paese in una vera e propria
guerra civile, come in Afghanistan e Iraq.