Vivere la speranza cristiana in famiglia: la testimonianza di due genitori alla
luce dell’Enciclica “Spe salvi”
La seconda Enciclica di Benedetto XVI invita a riflettere sulla Speranza come dono
in virtù del quale è possibile affrontare il presente. Un presente che può essere
faticoso, ma che è possibile vivere ed accettare nella certezza della via mostrataci
da Cristo. Ma come vive quotidianamente una famiglia la speranza? Tiziana Campisi
ne ha parlato con Alessandro e Gabriella De Petris, genitori di due
bambini. A loro ha chiesto anzitutto come definire la speranza:
R. –
(Alessandro) La speranza è un affidarsi e da quell’affidarsi scaturisce un cambiamento,
un modo nuovo di vedere tutto il mondo, tutte le relazioni, quello che avviene nel
quotidiano. E’ veramente una trasformazione dinamica, di giorno in giorno ed è ovviamente
una scelta: quella di mettersi da una parte, dalla parte del bene. Da qui poi discende
tutto il nostro quotidiano e si trasforma in azioni, in un modo di vivere, nel modo
di educare i figli, nel dialogo tra noi, nella nostra relazione.
R.
– (Gabriella) Io vorrei dire prima di tutto che cosa non è per noi la speranza. Per
noi non è un’illusione, non è una speranza vana, in qualcosa di vago, ma la nostra
speranza è concreta, si basa sulla nostra vita, sul nostro incontro con Cristo, che
ci ha cambiato la vita, ce l’ha trasformata e ce la cambia ogni giorno.
D.
– Cosa significa vivere la speranza nel matrimonio?
R.
– (Gabriella) In questi tempi in cui il matrimonio è così attaccato e tante coppie
si dividono, lo sentiamo proprio forte. La nostra speranza, la nostra certezza è che
il nostro matrimonio è per sempre. Il Signore è venuto e sta con noi. Non siamo soli
ed è Lui che ci dà la speranza, ci dà la certezza che possiamo andare avanti. E poi
si alimenta ogni giorno, si alimenta nella preghiera insieme, nel dialogo, si alimenta
anche nel vivere la nostra intimità. E’ un continuo alimentare la speranza nei momenti
di fatica dello stare insieme. Ci sono, infatti, dei momenti di litigi, di scontri,
ma anche lì la speranza ci aiuta nella certezza di trovare comunque un punto di incontro.
E’ sempre così, infatti, e ci aiuta a crescere come coppia.
D.
– Quali spunti vi ha dato l’Enciclica di Benedetto XVI, la “Spe salvi”?
R.
– (Alessandro) Per esempio, c’è un riferimento alla libertà di fronte al possesso,
che secondo me è un segno forte della speranza: l’essere liberi di fronte al fatto
di possedere qualcuno o qualcosa. Non solo liberi, quindi indipendenti da questo,
ma anche nel dono. Il fatto di non avere, di non pensare al possesso, ai fattori economici
e che nel proprio piccolo si può dare qualcosa e tutti possono avere qualcosa e che
è facile donare. L’altro aspetto è il discorso della sofferenza. Tendenzialmente siamo
spaventati di fronte alla sofferenza. La speranza è veramente una risposta. La sofferenza
senza speranza è qualcosa che arriva ad una fine perversa. Se non sbaglio il Pontefice
usa questo termine. Invece, la sofferenza con la speranza è un grosso aiuto. E’ la
presenza di Cristo, è la presenza di Dio che ci prende per mano nelle situazioni più
difficili, nelle malattie, nelle grandi prove o anche nelle piccole prove e ci porta
proprio con sé e ci fa vivere la sofferenza in un’altra maniera: quasi dono per gli
altri.
D. – Lei è madre di due bambini, Chiara e
Francesco. Cosa significa essere madre e coltivare la speranza ogni giorno?
R.
– (Gabriella) Questo è mettere in atto la speranza che si ha dentro. E’ attraverso
di loro che vediamo crescere la speranza che abbiamo dentro. La vediamo crescere in
loro. Donargli la speranza in un mondo migliore, farli credere in questo e dargli
anche la libertà per poi poter vivere la loro vita.