Alta l’affluenza alle urne in Kenya, dove 14 milioni di elettori sono chiamati a rinnovare
le amministrazioni locali, la Camera e il capo di Stato, in un clima difficile e violento.
File ai seggi e momenti di tensione dovuti ad una serie di errori che hanno coinvolto
anche il candidato alla presidenza Odinga. Regna l’incertezza e la Chiesa locale,
nei giorni scorsi, ha fatto appello perché si cerchi la via del dialogo. Il nostro
servizio:
Bisogna
scegliere 210 membri del Parlamento, oltre 2.000 amministratori locali ma, soprattutto,
il nuovo capo dello Stato, ruolo chiave negli equilibri della Repubblica presidenziale.
I seggi sono stati aperti stamani alle 6, le 4 in Italia, e subito si è registrata
un’alta affluenza alle urne. Nel distretto di Kibera, cuore della baraccopoli più
grande dell'Africa sub-sahariana, gli elettori hanno fatto anche sei ore di fila.
Non sono mancati momenti di tensione perché in molti seggi non c’erano i registri
elettorali, oppure alcune persone non erano state registrate. Ssfortunato protagonista
di questa seconda eventualità è stato lo stesso Odinga, candidato dell’opposizione
alla presidenza del Kenya. Dopo l’imbarazzo generale, l’ex ministro dei Lavori pubblici,
che già denunciava il fatto come “una mossa calcolata”, ha potuto poi votare. Clima
teso, dunque, anche se non si segnalano incidenti. La stessa campagna elettorale si
è chiusa con toni infuocati: Odinga, sostenuto anche dalla minoranza islamica e con
un largo seguito nelle baraccopoli di Nairobi, ha accusato l’attuale presidente Kibaki,
in corsa per un alto mandato, di preparare brogli e per questo si temono violenze
durante lo spoglio delle schede. I sondaggi danno una sostanziale parità anche se
in leggero vantaggio lo sfidante Odinga perché Kibaki, pur avendo reso gratuita l’istruzione
primaria, non ha portato a termine le riforme accentuando poi le divisioni etniche.
Domani la proclamazione ma si temono ritardi, in questo clima, i vescovi del Kenya
hanno fatto appello, prima del voto, per favorire il dialogo e ricordato la necessità
di lavorare per una nazione unita.