Con una serie di testimonianze, approfondiamo il significato del martirio dei cristiani
nei diversi continenti
L’odierna memoria liturgica di Santo Stefano, primo martire, è, come ha ricordato
il Papa all’Angelus, un’importante occasione per ricordare quanti hanno annunciato
e testimoniato il Vangelo fino a versare il loro sangue, ieri come oggi. Nelle diverse
aree del mondo il senso e le pagine di martirio sono sempre legate ad una fede incondizionata
e incrollabile, come quella di Santo Stefano. Il servizio di Amedeo Lomonaco:
La Chiesa
celebra oggi la festa di Santo Stefano, uno dei primi diaconi. E’ detto anche “Protomartire”,
perché fu il primo discepolo di Cristo a versare il suo sangue per Lui. Venne lapidato
per false accuse simili a quelle rivolte contro Gesù stesso e, come il Maestro, morì
perdonando chi lo ha ucciso. Celebrare la festa del primo martire nel giorno dopo
Natale significa, dunque, cogliere il legame tra i doni della Nascita del Salvatore
e quelli di chi ha suggellato la propria fede con l’offerta della vita. Come si traduce
questo legame in Europa? Risponde donSalvatore Vitiello,
docente di Introduzione alla teologia all’Università Cattolica di Roma:
"Certamente,
la consapevolezza che l’Europa ha sempre avuto di dover testimoniare il Signore Gesù
come Verbo fatto carne, in quello che allora era il mondo conosciuto, è stato il contesto,
il teatro in cui le due dimensioni sempre si sono incontrate. Basti pensare ai primi
martiri cristiani: il cristianesimo ha avuto un incontro con la storia che è stato,
per i primi tre secoli, segnato fondamentalmente dal martirio. Ma noi ben sappiamo
che il martirio è la prima forma di evangelizzazione".
“Se Gesù non
fosse nato sulla terra - ha detto il Papa all’Angelus del 26 dicembre dello scorso
anno - gli uomini non avrebbero potuto nascere al Cielo”. Ma quale eredità emerge
nelle società occidentali e, in particolare, in quella europea, dal contrasto tra
la pace e la gioia di Betlemme e il dramma di Santo Stefano, primo martire? Ancora
padre Vitiello:
"Il legame profondo che Santo Stefano ci suggerisce
è che la vera pace, proprio quella che promana dalla Grotta di Betlemme, deve coinvolgere
così totalmente le nostre esistenze e le nostre libertà, per renderci disponibili
al dono totale della vita, cioè al martirio. Solo questo tipo di pace è una pace duratura.
Non una pace che nasce dalle società opulente e distratte, dove i singoli non sono
disponibili a mettersi in gioco personalmente". Santo Stefano
ci ricorda che in varie parti del mondo non è possibile professare liberamente la
propria fede. Anche in Europa non sempre è facile vivere con coerenza il Vangelo.
"Oggi, in Europa, c’è una condizione particolarmente contraddittoria; è
un Continente che ha profonde radici cristiane, ma non si riconosce più. Non è facile,
oggi, essere cristiani in Europa e non è facile esserlo nelle istituzioni ufficiali,
in cui a volte sembra quasi che ci sia una volontà di marginalizzare, il più possibile,
il fenomeno cattolico e la Chiesa stessa. Tuttavia, dobbiamo riconoscere che proprio
per le sue radici cristiane, l’Europa – così come tutto l’Occidente, che ha profonde
radici cristiane – è il luogo in cui oggi con massima libertà si può vivere la propria
fede. Negli altri Paesi è peggio ancora. Dunque, dobbiamo dire che la libertà religiosa
è più grande laddove è arrivato il cristianesimo. E questo è un dato storico che certamente
ci rende lieti, perché vuol dire che il cristianesimo pone radici buone, radici feconde
anche per la convivenza civile". La spiritualità della solidarietà
ci sfida a globalizzare la giustizia, la speranza, la fraternità solidale, abbattendo
muri e frontiere, per aprirci ai popoli del mondo con un atteggiamento di rispetto
e dialogo fraterno. Un’evangelizzazione, questa, che viene messa in risalto dall’esempio
dei martiri dell’America Latina. La riflessione del nostro collega, esperto di questioni
latinoamericane, Luis Badilla:
"Da oltre 500 anni,
in America Latina, l’evangelizzazione ha saputo trarre forza, slancio e rinnovamento
da questa testimonianza di fede. Io direi che in America Latina a professare e vivere
la fede in Cristo, non è stato mai facile. Perciò, oserei dire che le nostre radici
cristiane sono profonde, solide; sono cresciute con la linfa del sangue di migliaia
e migliaia di testimoni sconosciuti e conosciuti. Sto pensando, per fare un esempio
concreto, alle centinaia di catechisti laici morti perché appunto erano catechisti,
in America Centrale, dagli anni Cinquanta in poi ..."
A quali pagine
di storia sono legate, soprattutto, le vite dei martiri dell’America Latina e quali
sono oggi le nuove cause di discriminazione, persecuzione nel Continente?
"In
quasi tutti i Paesi dell’America Latina, i cristiani hanno perso la vita affermando
i principi della giustizia, della riconciliazione, della pace e della fratellanza.
Da noi, storicamente, lungo i secoli, non è mai stata separata la testimonianza della
fede in Cristo dalla difesa irrinunciabile della promozione umana".
Il
vescovo Oscar Romero, ucciso il 24 marzo 1980, è il simbolo reale della moltitudine
dei martiri dell'America Latina. Ancora Luis Badilla:
"Mons. Romero
resta per i cattolici latinoamericani un modello, ancor di più dopo che si sono pulite
le incrostazioni politiche, ideologiche con le quali si è a volte oscurata la sua
figura di pastore. Il suo esempio resta limpido, il suo esempio di sacerdote morto
per la fede che predicava annunciando la giustizia e la riconciliazione". All’inizio
della diffusione del cristianesimo in Africa, furono uccisi diversi sacerdoti e catechisti
perché erano visti come dei nemici delle religioni tradizionali. Attualmente, invece,
la causa principale è di natura politica. Recentemente, i martiri in Africa sono stati
vittime dell’intolleranza politica di regimi totalitari e dittatoriali. Il missionario
comboniano, padre Giulio Albanese:
"Come indica
l’etimologia della parola “martirio”, “testimonianza”, da questo punto di vista i
missionari, le missionarie, i sacerdoti Fidei Donum, i laici che operano nel sud del
mondo, in particolare nelle Afriche, fanno il tifo per la gente.
Non si schierano, dunque, con governativi o ribelli ma, innanzitutto e soprattutto,
hanno fatto la scelta degli ultimi. Vivono, dunque, la dimensione della solidarietà.
E questo anche a costo di perdere la vita".
I martiri ispirano il rinnovamento
della missione. Si è diffuso in Africa il senso di missione e di solidarietà? Ancora
padre Giulio Albanese:
"I missionari si distinguono oggi in contesti
nei quali le emergenze umanitarie sono davvero indicibili. Penso, per esempio, alla
questione darfuriana. Pensiamo anche alla situazione di estrema emergenza che è presente
nell’est della Repubblica democratica del Congo. Io credo che da questo punto di vista
la loro testimonianza sia di grande edificazione, un esempio sicuramente da seguire".
Tra
le numerose storie di martirio in Africa, ce ne sono alcune emblematiche?
"Sono
delle storie straordinarie. Mi viene in mente, per esempio, la testimonianza emblematica
di padre Raffele Di Bari, missionario comboniano ucciso il primo ottobre del 2000,
nel Nord Uganda. Lui fece la scelta di rimanere accanto alla sua gente in una situazione
estrema, quando la sua missione era circondata dai ribelli. Era lì come una sorta
di forza di interposizione pacifica non violenta, in un contesto dove purtroppo i
valori umani venivano calpestati".
Gli esempi dei martiri cristiani,
sia di quelli proclamati dalla Chiesa sia di quelli che Dio solo conosce, sono un’ispirazione
e un incoraggiamento ai missionari che instancabilmente dedicano la propria vita all’opera
evangelizzatrice della Chiesa in Asia. Quali frutti fanno germogliare oggi in Asia
le testimonianze di chi ha unito La missione evangelizzatrice al martirio? Risponde
padre Rocco, missionario comboniano nelle Filippine:
"E’
evidente che sono diverse le chiese che possono vantare nella loro storia la presenza
dei martiri missionari, che sono giunti in quei luoghi ad evangelizzare, oppure persone
del luogo, cristiani, cattolici del luogo. E’ chiaro che lo sviluppo di Chiese come
la Corea, la Cina stessa o il Vietnam oggi sia difficile da spiegare, senza tenere
in considerazione il sacrificio dei martiri che in diversi momenti storici hanno accompagnato
la storia di queste chiese".
In Cina, poi, il cammino della Chiesa,
nonostante difficoltà e tensioni, è rischiarato oggi anche da luci confortanti… "Il
fatto stesso della recente lettera del Papa ai cattolici cinesi indica che siamo certamente
in una fase nuova per la Chiesa in Cina. E’ chiaro che sia nella comunità clandestina
che nella comunità ufficiale, l’esigenza del sacrificio non è assente". E
proprio in Cina non mancano testimonianze di martiri, conosciuti e sconosciuti, che
diventano punti di riferimento non solo per la comunità cristiana. Ancora il missionario
comboniano:
"Anche i martiri che non sono stati canonizzati, quei preti,
quei cattolici, quei vescovi, quelle suore che davvero hanno letteralmente dato la
vita sono ricordati ancora molto dai cattolici di oggi e sono figure ancora molto
vive nella memoria soprattutto degli anziani". I missionari martiri – ha
detto il Papa all’Angelus dello scorso 25 marzo - sono “speranza per il mondo”
ed il martirio cristiano “si giustifica soltanto come supremo atto d’amore
a Dio ed ai fratelli”.