A tre anni di distanza, le popolazioni del sudest asiatico ricordano le vittime
dello tsunami e chiedono di non essere dimenticate
In questi giorni di Natale, l’Indonesia, l’India, lo Sri Lanka, la Thailandia e tutto
il sudest asiatico ricordano le vittime del tremendo tsunami, che il 26 dicembre
del 2004 devastò l’intera area. Circa trecentomila le vittime, secondo dati ufficiali.
Un’emergenza ancora in atto, per fronteggiare la quale le organizzazioni di tutto
il mondo rimangono impegnate. Caritas Italia, per esempio, è tuttora presente
nelle zone disastrate, con un budget di 33 milioni di euro. Tra le aree più colpite,
la provincia indonesiana di Aceh, nella parte settentrionale dell’isola di Sumatra,
già provata da un lungo conflitto interno tra ribelli indipendentisti del GAM e governo
centrale di Jakarta. Della situazione oggi nella zona, ci parla mons. Anicetus
Sinaga, vescovo coadiutore di Medan, l’arcidiocesi a cui appartiene la città di
Banda Aceh, intervistato da Giada Aquilino:
R. -
La vita sta migliorando adesso, perché tutto il mondo è venuto in aiuto di Banda Aceh
e della zona disastrata. Anche l’umore della gente è diverso ora. Diciamo che con
la tragedia, è maturato uno spirito nuovo di fraternità.
D.
– Quali emergenze ci sono ancora oggi?
R. – Ci sono
famiglie che hanno perso propri congiunti durante la guerra e ancora oggi vivono un
po’ distaccate dal resto della popolazione. Quindi, hanno bisogno di aiuto per poter
tornare alla normalità. Ci sono poi ancora odi e gelosie: c’era un gruppo di ribelli,
il GAM, che al momento non ha trovato una collocazione politica nella società. E inoltre
permangono delle urgenze che la Caritas di Medan continua ad affrontare per aiutare
la gente che soffre, i bambini, gli ammalati.
D.
– Cosa serve oggi all’Indonesia e ad Aceh?
R. – Stiamo
cercando di aprire una clinica a Banda Aceh: ci sono ancora troppe persone da aiutare
e tanta gente che vive in povertà.
D. – Come sono
impegnati musulmani e cristiani nel soccorso a queste popolazioni?
R.
– Noi siamo cristiani sempre pronti ad aiutare, nel rispetto della sensibilità altrui.
C’è una forte apertura: per esempio un anno fa abbiamo aiutato la comunità musulmana
locale a riparare un villaggio ed anche la moschea della zona. Quando i cattolici
- le suore e i frati - hanno finito il lavoro e sono andati via, ci sono state persone
che hanno pianto per il distacco. Per questo Natale abbiamo scritto una lettera alla
popolazione, dicendo che il nostro pensiero è sempre per Banda Aceh e per i nostri
compaesani musulmani. Alcuni di questi, tra l’altro, hanno espresso i loro auguri
per gli amici cristiani che hanno festeggiato il Natale.