Alla Messa della Notte di Natale il Papa ha rivolto un pensiero all’umanità che attende
Dio ma quando arriva il momento non ha posto per lui
“L’umanità attende Dio, la sua vicinanza. Ma quando arriva il momento, non ha posto
per lui”: così il Papa, durante l’omelia pronunciata nella Santa Messa della notte
di Natale nella Basilica Vaticana. Nelle sue parole, centrale anche l’attenzione alla
“terra maltrattata” e all’abuso delle energie, in un “mondo inquinato e minacciato
per il suo futuro”. Il servizio di Isabella Piro.
Il
bianco dei paramenti del Papa e dei concelebranti, dei marmi della Basilica di San
Pietro, delle candele sull’altare maggiore. E poi il rosso delle porpore cardinalizie,
delle stelle di Natale a circondare le colonne secolari, dei ciclamini portati da
quattro bambini ai piedi del piccolo Gesù, nato per salvare il mondo. Su questo sfondo
bicolore, simmetricamente disposto attorno ai tantissimi fedeli presenti, Benedetto
XVI ha presieduto ieri la Santa Messa della notte di Natale. Al centro della sua omelia,
il richiamo ad un mondo che cerca il Signore, ma non lo accoglie:
"In
qualche modo l’umanità attende Dio, la sua vicinanza. Ma quando arriva il momento,
non ha posto per Lui. È tanto occupata con se stessa, ha bisogno di tutto lo spazio
e di tutto il tempo in modo così esigente per le proprie cose, che non rimane nulla
per l’altro – per il prossimo, per il povero, per Dio. E quanto più gli uomini diventano
ricchi, tanto più riempiono tutto con se stessi. Tanto meno può entrare l’altro."
La
società nel suo insieme, ha aggiunto il Papa, non ha tempo per il sofferente che ha
bisogno di aiuto, per il profugo o il rifugiato che cerca asilo. Non ha tempo e spazio
per Dio, perché il nostro pensiero, il nostro agire è tutto occupato per noi stessi.
Ma grazie a Dio, ha ricordato il Santo Padre, nel Vangelo non troviamo solo notizie
negative:
"Il messaggio di Natale ci fa riconoscere
il buio di un mondo chiuso, e con ciò illustra senz’altro una realtà che vediamo quotidianamente.
Ma esso ci dice anche, che Dio non si lascia chiudere fuori. Egli trova uno spazio,
entrando magari per la stalla; esistono degli uomini che vedono la sua luce e la trasmettono."
Semplici
pastori o sapienti, ha continuato Benedetto XVI, la luce del Natale ci chiama “ad
uscire dalla chiusura dei nostri desideri ed interessi per andare incontro al Signore
e ad adorarlo”, aprendo il mondo “alla verità, al bene, a Cristo, al servizio agli
emarginati”. Forte poi il richiamo del Papa alle condizioni in cui si trova oggi la
terra “a causa - ha detto - dell’abuso delle energie e del loro egoistico sfruttamento
senza alcun riguardo”, in un “mondo inquinato e minacciato per il suo futuro”. Proprio
questo, Cristo è venuto in mezzo a noi:
"La stalla
nel messaggio di Natale rappresenta la terra maltrattata. Cristo non ricostruisce
un qualsiasi palazzo. Egli è venuto per ridare alla creazione, al cosmo la sua bellezza
e la sua dignità: è questo che a Natale prende il suo inizio e fa giubilare gli Angeli.
La terra viene rimessa in sesto proprio per il fatto che viene aperta a Dio."
Natale
diventa così “una festa della creazione ricostruita”, ha detto ancora Benedetto XVI,
in cui c’è “sintonia tra volere umano e volere divino”:
"Nella
stalla di Betlemme cielo e terra si toccano. Il cielo è venuto sulla terra. Per questo,
da lì emana una luce per tutti i tempi; per questo lì s’accende la gioia; per questo
lì nasce il canto."
Citando, infine, la preghiera
del Padre Nostro, il Papa si è soffermato sul significato della parola ‘cielo’:
"Il
cielo non appartiene alla geografia dello spazio, ma alla geografia del cuore. E il
cuore di Dio, nella Notte santa, si è chinato giù fin nella stalla: l’umiltà di Dio
è il cielo. E se andiamo incontro a questa umiltà, allora tocchiamo il cielo. Allora
diventa nuova anche la terra."
Nella notte di
Natale, l’invito di Benedetto XVI è stato quindi quello di toccare l’umiltà di Dio,
il suo cuore, per rendere più luminosi noi stessi e il mondo.