Il superiore dei Claretiani, padre Abella Batle, si sofferma sull’eredità di Sant’Antonio
Maria Claret a due secoli dalla nascita
Ricorre oggi il 200.mo anniversario della nascita, a Sallent (Barcellona), in Spagna,
di Sant’Antonio Maria Claret, fondatore della Congregazione dei Missionari Figli del
Cuore Immacolato di Maria, noti anche come Claretiani. Per l’occasione, Giovanni
Peduto ha intervistato il superiore generale, padre Josep Maria Abella Batle,
sulla figura e l’eredità di questo Santo, morto nell’abbazia cistercense di Fontfroide,
in Francia, il 24 ottobre 1870: R.
– Il suo itinerario spirituale parte dall’educazione ricevuta nella sua famiglia.
Fa un’esperienza di lavoro nel piccolo laboratorio di tessitura della famiglia e dopo
si trasferisce a Barcellona per specializzarsi nell’arte del tessile. La Parola di
Dio lo raggiunge con forza: “Che cosa vale guadagnare tutto il mondo se poi si perde
l’anima?” Diventa sacerdote e si dedica con passione alla predicazione delle missioni
popolari. Fonda la Congregazione dei Figli dell’Immacolato Cuore di Maria come comunità
con un chiaro scopo missionario. E’ nominato arcivescovo di Santiago de Cuba. Durante
i sei anni del suo servizio episcopale a Cuba, visita per ben tre volte tutte le parrocchie
della sua vasta diocesi, affidando ai suoi collaboratori l’amministrazione ordinaria
della diocesi. Lui preferisce dedicarsi all’annuncio della Parola a contatto vicino
con la gente. E’ richiamato dalla regina della Spagna come confessore, però approfitta
di qualsiasi opportunità per far arrivare alla gente e alle comunità religiose la
Parola di Dio. Fu scrittore e editore proficuo e mise in mano alla gente numerosi
libri ed opuscoli. Partecipò al Concilio Vaticano I. Sperimentò la persecuzione e
morì IN esilio, nel monastero francese de Fontfroide, accompagnato dai suoi missionari
e dai monaci della comunità. Sulla sua tomba i suoi missionari incisero le parole
di Gregorio VII: “Ho amato la giustizia e odiato l’iniquità, perciò muoio in esilio”.
Fu canonizzato da Pio XII il 7 Maggio, 1950. D. – Il
suo carisma …
R. – Il carisma di Sant’Antonio Maria Claret
è missionario. Lo abbiamo voluto esprimere attraverso il lemma di quest’anno bicentenario:
“Nato per evangelizzare”. E’ un carisma missionario segnato: da un costante ed attento
ascolto della Parola; da una opzione molto chiara per l’evangelizzazione del popolo,
una “opzione popolare”; da un impegno molto forte per coinvolgere i laici - uomini
e donne - nella missione della Chiesa; da un profondo segno di cordialità, che si
esprime nell’attenzione alle singole persone e alle situazioni sociali, e che scaturisce
da una spiritualità che si nutre dall’esperienza dell’amore del Cuore di Maria. D.
– Chi sono oggi i Claretiani, dove sono e cosa fanno? R.
– Siamo una Congregazione missionaria di 3200 membri sparsi in 64 nazioni nei 5 continenti.
Una comunità missionaria che cerca di vivere la missione come missione condivisa con
i laici e anche con persone d’altre religioni o che cercano la trasformazione del
mondo secondo il progetto di Dio; come missione in dialogo con altre Chiese cristiane,
con altre religioni e culture; come missione solidale che s’impegna per la giustizia,
la pace e lo sviluppo dei popoli; come missione con una impostazione vocazionale in
quanto accompagna le persone verso una opzione più matura per Cristo e per il Regno. D.
– Tra i missionari Claretiani molti hanno perso la vita durante la guerra civile spagnola,
i martiri di Barbastro. Vuole ricordare la loro testimonianza? R.
– I martiri costituiscono un patrimonio molto importante per una Congregazione religiosa.
Noi ne abbiamo molti: in Spagna, Messico e altrove. Alcuni sono stati beatificati.
Durante la guerra civile della Spagna (1936-1939) 272 confratelli segnarono con il
sangue la loro testimonianza cristiana e il loro impegno missionario. Particolarmente
travolgente è l’esperienza del martirio della comunità del Seminario claretiano di
Barbastro, dove formatori e giovani religiosi furono assassinati durante i mesi di
luglio e agosto del 1936. Papa Giovanni Paolo II li chiamò “il Seminario Martire”.
I loro scritti dalla prigionia che soffrirono prima del martirio sono bellissimi. D.
– La Congregazione per la Dottrina della Fede ha pubblicato in questi giorni una Nota
dottrinale in cui richiama i cristiani ad un annuncio esplicito del Vangelo senza
timidezze. Un suo commento… R. – Sí, vogliamo proclamare
il Vangelo del Regno con audacia e rispetto, aperti sempre al dialogo con le esperienze
concrete delle persone a cui si rivolge il nostro annuncio. E' un ideale che esprime
in un modo molto bello il nostro confratello, il vescovo Pietro Casaldaliga: “Non
ti stancare mai di parlare del Regno. Non ti stancare mai di fare il Rgno. Non ti
stancare mai de discernere il Regno. Non ti stancare mai di accogliere il Regno. Non
ti stancare mai di attendere il Regno”. L’annuncio del Regno di Dio è il centro della
nostra vita. D. - Il Papa alla vigilia di questo Avvento
ha promulgato l’Enciclica sulla Speranza. Cosa è la speranza cristiana per voi Claretiani? R.
- Il Papa ha regalato a tutta la Chiesa la sua nuova enciclica “Spe salvi”, e per
noi particolarmente è un bel messaggio nell’occasione del bicentenario della nascita
del Fondatore. La speranza è la forza che nasce dall’esperienza dell’amore del Padre
e che ci permette di camminare, accanto ai fratelli e le sorelle, nonostante le difficoltà
e le avversità, verso quell’orizzonte di pace, fraternità e gioia che tutti desideriamo
e che il Signore ci offre come dono. La lettera che il Papa ci ha regalato alla nostra
comunità ci invita a vivere quest’anno come un momento di rinnovamento spirituale
e missionario.