L'Europa di Schengen abbatte le frontiere: intervista con mons. Aldo Giordano e Federiga
Bindi
Niente code ai valichi di frontiera per i controlli, minori costi da sostenere per
le imprese e la possibilità di apprezzare le diverse culture europee. Sono alcuni
dei benefici, dopo l’abolizione nell’Unione Europea in applicazione del Trattato di
Schengen, delle frontiere interne di altri nove Stati membri. La notte tra giovedì
e venerdì è stata il momento della festa: ai posti di frontiera, leader politici nazionali
ed europei hanno condiviso le stesse speranze. In diversi Paesi dell’ex area comunista
è stata inoltre posta un’altra pietra su un passato spesso oppressivo. Ma quale significato
assume adesso per i cristiani questo nuovo assetto europeo? Risponde, al microfono
di Amedeo Lomonaco, il segretario generale del Consiglio delle Conferenze Episcopali
d’Europa (CCEE), mons. Aldo Giordano:
R. -
Per i cristiani è una cosa, diciamo normale, perché il cristianesimo è cattolico;
quindi, il cristianesimo è universale e guarda alla famiglia universale dei popoli.
Tutti i passi che sono in favore di questa famiglia universale, di una costruzione
dell’unità, sono visti positivamente.
D. – Quali
sono adesso le domande che si pongono dopo un simile provvedimento?
R.
– Qual è il ruolo dell’Europa nelle questioni cruciali del mondo per la pace, per
la salvaguardia del Creato? Qual è il ruolo dell’Europa davanti la questione energetica?
Qual è ilruolo dell’Europa davanti allo spostamento dell’asse geopolitico
appunto verso l’Asia, verso la Cina e l’India? Ecco, davanti a queste domande, un’apertura
di frontiere è una cosa positiva perché è un’Europa che ha meno paure. Questo non
vuol dire che all’interno dei Paesi non ci siano timori per questo, perché permane
la paura “dell’invasione”, la paura di minori opportunità nel settore lavorativo.
Si teme che la corruzione poi trionfi sulle frontiere, sui confini. Queste paure permangono,
ma questa è la nostra storia e non possiamo tornare indietro.
Oltre 400
milioni di cittadini europei possono, dunque, circolare liberamente da Lisbona a Tallin,
da Stoccolma alla Valletta. Cosa comporta questo per l’Unione Europea? Stefano
Leszczynski lo ha chiesto alla professoressa Federiga Bindi, esperta di
questioni europee:
R. -
Innanzitutto anche nei riguardi dei cittadini dei Paesi dell’Est è una cosa simbolica;
significa essere parte dell’Unione Europea, cosa che verrà completata quando tutti
faranno parte dell’unione economica e monetaria.
D.
– E’ effettivamente così libera la circolazione delle persone in Europa o siamo ancora
un po’ indietro?
R. – Dal punto di vista fisico senz'altro:
ormai, con i voli low cost, uno va a fare shopping, va dal medico, dal dentista in
molti Paesi europei. Dal punto di vista degli studi, sono sempre di più i ragazzi
che fanno esperienze formative all'estero. Dal punto di vista delle professioni per
le generazioni più giovani, inclusa la mia, è abbastanza normale passare da un Paese
all’altro.
D. – Sembra, tuttavia, che gli Stati abbiano
mantenuto per sé, la prerogativa di poter sospendere questi accordi sulla libera circolazione
in casi di particolare emergenza. Questo modifica lo spirito di Schengen?
R.
– No, direi di no, anche perché finora gli Stati hanno fatto uso di questa misura
con grande sapienza. E’ una misura che, tutto sommato, è giusto dare agli Stati.
D.
– Come mai in un periodo in cui tutti i governi nazionali europei lanciano allarmi
relativi a flussi immigratori, a presenze che minano la sicurezza, si decide comunque
un allargamento dell’accordo di Shengen di questo tipo?
R.
– C’erano delle date limite da rispettare. Poi di 27 ce ne sono 22 di Stati; Romania
e Bulgaria non fanno ancora parte di questo accordo di Schengen, che sono anche, per
quanto riguarda il caso italiano, forse i due casi più eclatanti. I nove Paesi che
sono entrati, in realtà, sono totalmente integrati. E non sono neanche Paesi sui quali
si innesta in modo rilevante il dibattito sull’immigrazione.