Appello di preghiera al Papa da parte dei cattolici del Myanmar in occasione del Natale
"Il Myanmar era un Paese fiorente che un regime militare di 40 anni ha gettato nella
miseria e nello sfruttamento più totali. I giovani sono quasi tutti fuggiti all’estero
nella speranza di un futuro migliore". L’Osservatore Romano riporta l’intervista che
Asia News ha fatto a due giovani buddisti, rifugiatisi a Mae Sot, in Thailandia, dopo
l’ondata di proteste anti-governative di fine settembre. I due testimoniano atti di
repressione nei confronti di qualunque manifestazione di piazza; arresti per i giovani
attivisti e religiosi buddisti, che vengono poi torturati nelle carceri e viene loro
negata l’assistenza medica. I due giovani descrivono la loro patria come una “nazione
in ginocchio”, quasi senza più speranza. La crisi parte dai servizi sanitari fino
ad arrivare all’istruzione. Negli ospedali statali manca ogni forma di assistenza;
con la nazionalizzazione delle scuole nel 1962 e l’espulsione dei missionari dal Paese,
l’educazione ha subito una profonda crisi; con il divieto fino al 1985 di insegnare
la lingua inglese nelle scuole, non è stato possibile formare giovani professori che
ora non sono neanche in grado di leggere testi inglesi, fatto alquanto scoraggiante
considerando che la maggior parte dei testi universitari sono proprio in lingua britannica.
All’ignoranza si aggiunge una profonda depressione delle persone per lo status in
cui vivono e per la loro incapacità di reagire, attendendo che il mondo faccia qualcosa
per cambiare la loro situazione. Di qui l’appello al Papa di non dimenticare le sofferenze
del popolo birmano e di continuare a pregare per loro. (C. C.)